
Cosa accade quando la cultura incontra una struttura politica, amministrativa, una macchina organizzata? Accade che o la "macchina" decide di rischiare e quindi di lasciare libera la cultura di manifestarsi; oppure succede che la "macchina" otturi i pori più pericolosi della cultura e, alla fine, la lasci agonizzare. Il duello che racconta Vittorio Sgarbi in "Clausura" è proprio questo: libertà della cultura o clausura. Non c'è margine di trattativa. O l'una o l'altra. Due anni alla guida dell'Assessorato alla cultura di Milano. Due anni di idee, battaglie per difendere valori assoluti e non negoziabili, opere che l'ignoranza amministrativa non può consentire di distruggere e che l'indifferenza quotidiana non può far dimenticare. Due anni di polemiche per affermare che il dio denaro, gli automatismi inerti della burocrazia, l'ignavia non devono avere la meglio sulla cultura. E all'appello non mancano niente e nessuno in questo libro: suor Letizia (Moratti), frate Clemente (Mastella), Glisenti, l'Expo, Berlusconi, Veltroni, l'Ara Pacis, le pale eoliche, la valle del Belice e molto altro. Perché la clausura di Milano si diffonde per tutto l'arco della penisola e ha due sinonimi: interessi e ignoranza. Ma ripartire si può. Da Salemi.
Tutto ha inizio con Tommaso Florio a metà Seicento in Calabria, a Melicuccà, e poi a Bagnara, dove il figlio Domenico e quindi il nipote Vincenzo esercitano il mestiere di fabbro. L'ascesa comincia con Paolo e Ignazio, figli di Vincenzo, sbarcati a Palermo a fine Settecento per dedicarsi al redditizio commercio delle droghe. Con Vincenzo, figlio di Paolo, la ditta si trasforma in una holding: dal commercio all'attività finanziaria, dalla pesca del tonno alla produzione vinicola e zolfifera. La svolta è legata allo sviluppo della navigazione a vapore: Vincenzo e il figlio Ignazio colgono l'onda della modernizzazione e creano una flotta, che consente a Ignazio di collocarsi ai vertici dell'high-society internazionale. I primi segni della crisi giungono dopo la sua morte nel 1891, ma il nuovo Ignazio non sembra rendersene pienamente conto e continua a vivere nel suo mondo dorato assieme alla moglie, la bellissima donna Franca celebrata da poeti e artisti. Il risultato è la lenta dissoluzione dell'impero economico ereditato con il fratello Vincenzo, l'inventore della famosa Targa Florio, nonostante i tentativi di salvataggio operati dai vari governi italiani, da Giolitti a Mussolini. E anche i Florio, non senza loro grave responsabilità, come recita un aforisma americano a proposito di famiglie di immigrati "che iniziarono in maniche di camicia, nel corso di tre generazioni si ritrovarono in maniche di camicia", come già gli antenati calabresi.
Il volume contiene i "Viaggi" e gli "Scritti letterari" di Cesare Brandi. Con la prefazione di Franco Marcoaldi e gli interventi di Roberto Barzanti e Vittorio Sgarbi.
Il linguaggio multimediale è uno degli ambiti più stimolanti e studiati dalle scienze della comunicazione negli ultimi anni. In questo volume l'autore - fra i maggiori esperti italiani del linguaggio filmico e televisivo - ha scelto di concentrarsi sugli effetti psicovisivi e psicoacustici che l'audiovisivo induce nello spettatore e, di conseguenza, sull'universo estetico ed estesico, emotivamente composito, al quale essi danno vita. Innanzitutto, egli riflette sugli effetti visivi e acustici sollecitati dalla fruizione del testo filmico o televisivo; poi, sulla dimensione narrativa prodotta contemporaneamente dall'immagine e dal suono; ancora, sulla prospettiva della comunicaione insita nei testi audiovisivi, intesa come complesso di atti, capaci di produrre situazioni di illocuzione e di perlocuzione; sugli effetti psichici ed estetici sullo spettatore; sulla dimensione estesica, antecedente a ogni presa di coscienza contenutistica o estetica dei testi audiovisivi. A fare da riferimento, per dare concretezza all'analisi, tre film: "Caterina va in città" di Paolo Virzì (2003), "Notturno bus" di Davide Marengo (2007), "Il flauto magico" di Kenneth Branagh (2007), e un mediometraggio girato dall'autore stesso per la televisione nel 1969, il cui argomento è la storia della musica dal Medioevo ai giorni nostri.
Le "forme di produzione precapitalistiche" costituiscono una parte dei "Lineamenti di critica dell’ economia politica" composti da Marx, sotto torma di appunti e in vista della stesura del "Capitale", tra il 1857 e il 1858. Vero e proprio "testo dentro il testo", esse rappresentano una sorta di interruzione momentanea dell’ indagine critica di Marx sul presente del modo di produzione capitalistico e volgono invece lo sguardo al passato dei mondi che lo hanno preceduto e ne hanno preparato l’avvento: i modi di produzione antico, asiatico e feudale, nelle loro specifiche articolazioni e dinamiche. Più precisamente, il nucleo tematico di questo laboratorio intellettuale, che permette di seguire Marx mentre elabora il proprio pensiero, è l’analisi della legge generale dello sviluppo storico e del legame reciproco dei diversi modi di produzione che si sono storicamente succeduti. Incentrato su una filosofia della storia stadiale e dialettica, conflittuale e orientata al fine ultimo della società senza classi, il progetto marxiano poggia su una salda convinzione: non è possibile comprendere pienamente il "funzionamento" del mondo capitalistico senza averne correttamente decifrato la genesi storica e senza essersi affrancati dalle spiegazioni ideologie che naturalistiche e "robinsoniane" dell’economia politica classica. Non si può fare luce sul presente né prefigurarsi le contraddizioni che accompagneranno l’umanità verso il futuro, senza aver preventivamente fatto i conti con il passato.
Le cose ci vengono incontro. E noi rispondiamo alla loro chiamata. Ma troppo spesso la nostra unica preoccupazione è quella di aver "ben inteso" che cosa sia quel che ci viene incontro. Una preoccupazione che ci guida anche in rapporto alle cosiddette opere d'arte. Si tratti di poesia, di arte visiva, di musica, ma si tratti anche di un'opera filosofica, o delle pagine di un testo religioso siamo tutti sempre istintivamente preoccupati di capire bene e non fraintendere. Facciamo di tutto per impadronirci del significato e di tenerlo ben a mente. Come se quest'ultimo fosse indipendente dal "modo" del suo presentarsi. E se fosse il caso di imparare a riconoscere, invece e innanzitutto, proprio il "ritmo" con cui l'essente sempre si fa esperire? D'altro canto, quello che siamo soliti chiamare "significato" non potrebbe neppure costituirsi, indipendentemente dal ritmo del suo manifestarsi; ossia, indipendentemente dalle movenze con cui si concede allo sguardo orizzontale dell'intelletto, costringendolo quasi sempre a bruschi volteggiamenti, sospensioni, curvature impreviste, andate e ritorni, obliqui attraversamenti. Troppo a lungo ci siamo accontentati di "comprendere" le cose dell'arte per il tramite di una catalogazione formale e stilistica, che ci ha consentito di rimuovere il fatto che l'opera si dà a noi, anche e innanzitutto, con un ritmo suo proprio e che forse proprio in quest'ultimo è custodito il suo enigma più profondo. (Con un contributo di Achille Bonito Oliva).
Pochi filosofi o storici della cultura hanno saputo restituire l'essenza del Romanticismo come Isaiah Berlin. L'età romantica rappresenta la sintesi definitiva del suo accurato lavoro. In sei illuminanti capitoli, Berlin spazza via con decisione i luoghi comuni su quella che egli considera la più grande rivoluzione culturale dell'Occidente moderno, e rintraccia nel Romanticismo le origini del lessico e dei concetti centrali della politica moderna e contemporanea. Dopo aver distinto un Romanticismo "temperato" e un Romanticismo "senza briglie", egli addita le ramificazioni politiche del Romanticismo nel corso del Novecento, da quelle devianti (sfociate nel fascismo) a quelle più autentiche che sviluppano le idee romantiche di libertà, identità e democrazia, parole chiave della nostra stessa vita contemporanea.
Cosa vuoi dire oggi "essere gay"? È proprio vero che la legge è uguale per tutti? L'omosessualità gode ormai del rispetto e degli stessi diritti riconosciuti all'eterosessualità o è ancora vista con sospetto e pregiudizio? Secondo uno degli avvocati più famosi d'Italia i casi di discriminazione sono ancora tanti, troppi, l'autrice riflette su alcuni principi della Costituzione italiana, e in particolare quelli espressi negli articoli 2 e 3, che risultano non applicati nel caso degli omosessuali. Inutile dire che particolare peso hanno, in tutto questo, la religione e le posizioni della Chiesa cattolica. Le nozze, le adozioni, le successioni, la convivenza: tutte battaglie ancora da combattere, in nome della legge. E inoltre, in appendice: una rassegna delle legislazioni sul tema omosessualità nel mondo (dalla pena di morte in Iran ai pari diritti in Olanda).
“Anche se la storia non potrà mai spiegarci esattamente il senso della musica, la musica può dirci qualcosa sulla storia.”
Alex Ross
“Un libro destinato a diventare un classico sul XX secolo.”
Kirkus Reviews
“Un lavoro ambizioso e pienamente riuscito.”
Geoff Dyer, New York Times Book Review
“Brillante, una lettura irresistibile.”
Anthony Tommasini, New York Times
Perché Pablo Picasso e Jackson Pollock sono oggetto di comune conversazione (nonché di aste milionarie), T.S. Eliot viene citato persino dagli studenti liceali, e al contrario la musica classica del Ventesimo secolo è in genere vissuta con diffidenza mista a disagio dal grande pubblico? Eppure gli accordi atonali hanno una parte importante nel jazz, le colonne sonore dei thriller hollywoodiani pullulano di sonorità mutuate dall’avanguardia, e il cosiddetto minimalismo ha lasciato tracce profonde nella musica rock, pop e dance.
Ricostruendo momenti cruciali e operesimbolo, Il resto è rumore conduce il lettore nel labirinto della musica del Ventesimo secolo, e allo stesso tempo rilegge la Storia attraverso il succedersi delle avanguardie musicali, dalla Vienna di inizio Novecento con Mahler e Strauss all’arte bolscevica di Sostakovic, dalla musica atonale e dodecafonica nella Berlino anni Venti fino a Messiaen e Ligeti. L’autore non si sofferma solo sulle figure dei musicisti, ma anche sui dittatori, i mecenati miliardari e i dirigenti che tentarono di controllare la musica che veniva composta; gli intellettuali che si sforzarono di porsi come giudici in fatto di stile; gli scrittori, pittori, ballerini e registi che accompagnarono i compositori sui sentieri solitari della ricerca; il pubblico che osannò, vituperò o ignorò quanto i compositori proponevano; le tecnologie che cambiarono il modo di realizzare e ascoltare musica; e le rivoluzioni, le guerre calde e fredde, i flussi migratori e le profonde trasformazioni sociali che rimodellarono il contesto in cui si svolgeva l’attività musicale.
Avvincente come un romanzo, rigoroso e documentato come un saggio accademico, Il resto è rumore è un viaggio nella vicenda epica eppure umanissima del secolo breve, ascoltato attraverso la sua musica.
Il "cattivo ragazzo" della narrativa contemporanea francese, come è soprannominato Michel Houellebecq, si accompagna per questo libro a uno dei filosofi più mediatici e alla moda del nostro tempo, Bernard-Henri Lévy: tra il gennaio e il luglio 2008 si scambiano lettere in cui parlano di molti temi, ma con un centro tematico ben presente: cosa può la cultura contro il potere? La cultura è scomoda? Attraverso un botta-e-risposta talvolta divertente, altre volte toccante, sempre sorprendente e sarcastico, i due famosi (o famigerati) scrittori francesi si provocano, si scoprono, si sfidano, in una meditazione a due che si fa intima come un diario e acuta come una riflessione filosofica. Un incontro, fra due delle personalità della cultura contemporanea più discusse di questi anni. Una sfida fra due scrittori che la pensano molto diversamente su molte cose. Una confessione da parte di due autori che hanno sempre evitato di cadere nel privato. Michel Houellebecq e Bernard-Henri Lévy ci dicono come ci si sente a essere additati da nemici pubblici. Nemici pubblici perché minacciano i luoghi comuni, nemici pubblici perché provocano il perbenismo, nemici pubblici perché indeboliscono le sicurezze in cui è comodo per tutti adagiarsi.
“Il libro di Fabrizio Dragosei aiuta a ricostruire come ha fatto un paese a cambiare in modo così tumultuoso e radicale da esserne stravolto. A conoscere dal di dentro i segreti della ‘rimonta’ della Russia che anno dopo anno si sta riprendendo nel mondo quel ruolo di grande potenza mondiale che dopo il crollo del comunismo e l’era sgangherata di Eltsin sembrava perduto.”
Dalla Prefazione di Gian Antonio Stella
C’è una “grande Russia” nell’orizzonte del Terzo millennio europeo da poco iniziato? Molte cose lo farebbero supporre. In questo libro Fabrizio Dragosei, corrispondente del Corriere della Sera da Mosca, profondo conoscitore dei sottili giochi di potere che si svolgono nei corridoi del Cremlino, ci racconta quello che sta dietro alle notizie ufficiali.
La Grande Rapina che ha consentito a un pugno di privilegiati di mettere le mani sulle ricchezze della Russia (petrolio, pietre preziose, minerali rari). La reazione che ha portato al potere assoluto Vladimir Putin: gli oligarchi riottosi sono finiti in galera o all’estero e gli altri eseguono gli ordini del Cremlino.
Lo strano tandem alla guida del paese, Putin e il delfino Medvedev, che nasconde feroci scontri sotterranei tra le varie fazioni: i democratici di San Pietroburgo e gli ex uomini del KGB.
In una Russia dove la cosiddetta “democrazia guidata” lascia spazio a soprusi, violenze inaccettabili (in Cecenia e altrove), omicidi eccellenti, come quelli della giornalista Anna Politkovskaya e della paladina dei diritti umani Natalya Estemirova eliminata nella capitale cecena nel luglio 2009. Un viaggio attraverso gli eccessi dei super-ricchi con le loro feste sfrenate, le pupe e i petrodollari, mentre milioni di russi lottano per sopravvivere. Un’inchiesta approfondita e documentata sull’uso politico del gas, sulle amicizie internazionali di Putin (da Schröder a Berlusconi) e sulle ricchezze occulte detenute in Russia e all’estero..