
«Non avevo nessuna intenzione di fare il maestro, come non avevo nessuna intenzione di fare la guerra e ho finito per fare sia l’uno che l’altra».
Per otto anni, dal 1960 al 1968, il maestro Alberto Manzi conduce Non è mai troppo tardi, la più celebre trasmissione educativa della Tv italiana. Quelle vere e proprie lezioni per insegnare a leggere e scrivere ad adulti analfabeti, seguite in duemila punti d’ascolto organizzati in tutto il Paese, consentirono a un milione e mezzo di persone di conseguire la licenza elementare. Nell’ultima intervista rilasciata prima della morte e affidata a Roberto Farné, Manzi ricorda gli anni di Non è mai troppo tardi, ma si sofferma anche su molti altri episodi della sua vita di educatore: la prima esperienza, subito dopo la guerra, nel carcere minorile Aristide Gabelli di Roma; la personale battaglia contro i voti, che lo portò otto volte sotto il Consiglio di disciplina; l’esperienza ventennale in Sudamerica per insegnare a leggere e scrivere a gruppi di Indios analfabeti.
In una riflessione che presta ascolto alla Bibbia ebraica e alla voce dei teologi, al pensiero di Freud e alla letteratura di Dostoevskij, Julia Kristeva affronta il tema dei giovani radicalizzati nel contesto dei malesseri della civilizzazione. L’impotenza del discorso politico, l’inarrestabile crescita del populismo, l’affermazione di culti identitari e l’esplosione della pulsione di morte sono sintomi di un disagio che, in alcuni casi, produce l’incapacità di distinguere il bene e il male, l’interno e l’esterno, il soggetto e l’oggetto. E’ un quadro che richiede di mobilitare tutti i mezzi, politici ed economici, «senza dimenticare quelli che ci danno la conoscenza delle anime», per accompagnare con la delicatezza dell’ascolto necessario, con un’educazione adatta e con la generosità che si impone, questa dolorosa malattia che irrompe su di noi. «Domandare perdono per il male commesso, accordare il proprio perdono per il male subìto – scrive Julia Kristeva - sono due condizioni necessarie perché l’avvenire cessi di ripetere il passato e rinasca la speranza».
Alle origini della democrazia, nell’Atene di Pericle, solo al presidente della boulé, il consiglio cittadino, era consentito prendere appunti sulla sua tavoletta di cera. Gli altri membri dovevano parlare a braccio, per garantire la sorgiva sincerità del confronto faccia a faccia. Oggi, al tempo di Internet, si può comunicare tutto a tutti, in tempo reale, su scala planetaria, ma non c’è più nulla da comunicare di umanamente significativo e profondo. Si sono persi il contatto diretto, il linguaggio del corpo, il fatto e l’antefatto, il peso e la complessità dell’esperire umano. Tutto è semplificato, alleggerito, velocizzato. Basta cliccare. Ma l’uomo numerico è preciso e svuotato nello stesso tempo. È rapido, veloce, perpetuamente nomade o navigatore nell’oceano-pattumiera del web, ma sedentario. Vede tutto e non tocca niente. È frenetico e immobile nello stesso tempo, informato di tutto e concentrato su niente. Perché nella nostra società irretita, sempre interconnessa e fragilissima, Internet e gli altri innumerevoli media celebrano e consacrano la confusione fra valori strumentali a valori finali.
Sommario
Prologo. I. Il miracolo dell’«ordine sociale». II. Macchina e persona. III. Filosofia della miseria e miseria della filosofia. IV. Alienazione e relazione umana. V. La protesta che non propone. VI. L’atrofia della memoria come collante sociale. VII. La socialità fredda e superficiale. VIII. La nuova preghiera del mattino. IX. L’avvento degli uomini vuoti. X. Conversare con se stessi. XI. Lacrime di coccodrillo. XII. La realtà de-realizzata. XIII. Il nomadismo sedentario. XIV. Una sfida al momento perduta. XV. I nuovi esclusi. XVI. La vita interiore in pericolo.
Note sull'autore
Franco Ferrarotti, professore emerito di Sociologia all'Università di Roma «La Sapienza», direttore della rivista La Critica sociologica, è stato deputato indipendente al Parlamento italiano dal 1958 al 1963. Tra i fondatori, a Ginevra, del Consiglio dei Comuni d'Europa, ha assunto la responsabilità della divisione Facteurs sociaux dell’Ocse. Nominato Directeur d’études alla Maison des Sciences de l'Homme di Parigi, ha ricevuto il premio per la carriera dall'Accademia nazionale dei Lincei ed è stato nominato Cavaliere di gran croce al merito della Repubblica. Con EDB ha pubblicato: La religione dissacrante. Coscienza e utopia nell'epoca della crisi (2013); Rivoluzione e trascendenza (2013); La concreta utopia di Adriano Olivetti (22016); Scienza e coscienza. Verità personali e pratiche pubbliche (2014); Elogio del piromane appassionato. Lettura e vita interiore nella società digitale (2015); Al Santuario con Pavese. Storia di un'amicizia (22016); Il conte di Vinadio. Felice Balbo e il marxismo come eresia cristiana (2016), Attualità di Lutero. La Riforma e i paradossi del mondo moderno (22017).
«No, non è correndo, non è nel tumulto delle folle e nella calca di cento cose scompigliate che la bellezza si schiude e si riconosce. La solitudine, il silenzio, il riposo sono necessari ad ogni nascita, e se talvolta un pensiero o un capolavoro scaturisce in un lampo, è perché l’ha preceduto una lunga incubazione di vagabondaggio ozioso».In questo breve testo degli anni Trenta Jacques Leclercq celebra le dolcezze e le virtù dell’indolenza e della lentezza, fondamentali per poter pensare, ammirare e rendere la nostra vita propriamente umana.
Sommario
Elogio della pigrizia. Supplemento all’elogio della pigrizia. Nota di lettura. Virtù della lentezza (E. Pace).
Note sull'autore
Jacques Leclercq (1891-1971), moralista e sociologo, è stato canonico e professore all'Università cattolica di Lovanio. Nel 1926 ha fondato e diretto la rivista La Cité chrétienne. Ha inoltre partecipato alla fondazione dell’École des Sciences politiques et sociales e della Société d'Études politiques et sociales.
Tra le sue opere: Leçons de droit naturel (5 volumi, 1927-37); Essais de morale catholique (4 volumi, 1931-38); Introduction à la sociologie (1948); La philosophie morale de St. Thomas devant la pensée contemporaine (1955); Du droit naturel à la sociologie (2 volumi, 1960), Le révolution de l'homme au 20e siècle (1963); Croire en Jésus-Christ (1967); Où va l'Église d'aujourd'hui? (1969).
Questo testo risale al 1967, anno in cui Perec entra a far parte dell'OuLiPo, l'opificio di letteratura potenziale, con Raymond Queneau, Jacques Roubaud e Italo Calvino.
La forza di rottura che il free jazz – o new thing – porta nello stallo e nella stagnazione che seguono la morte di Charlie Parker, consente all'autore di chiarire questioni che riguardano soprattutto i problemi della scrittura.
Il contributo di Perec – osserva Paolo Fabbri – potrebbe smussare il duro giudizio sull'esoterismo delle avanguardie pronunciato dal grande storico del Novecento Eric J. Hobsbawm, secondo il quale il jazz e il cinema, più del cubismo e delle ricerche musicali dotte, hanno rappresentato le esperienze estetiche più ricche di senso per gli uomini del XX secolo.
sommario
La cosa. Nota di lettura. Un gioco esemplare di vincoli e libertà (P. Fabbri).
note sull'autore
Georges Perec (1936-1982), scrittore francese, si impone con il primo romanzo Le cose e nel 1967 entra a far parte dell'OuLiPo divenendone ben presto figura di spicco. La sua opera principale è La vita, istruzioni per l'uso, nella quale descrive in modo metodico, tra ironia e pessimismo, le persone e le cose presenti e passate di un caseggiato parigino.
Paolo Fabbri, semiologo, ha collaborato per molti anni con Algirdas J. Greimas a Parigi e con Umberto Eco a Bologna. Ha insegnato nelle Università di Firenze, Urbino, Palermo, Bologna e in molti atenei europei e americani. È stato direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Parigi.
Non ci si può sorprendere se gli ebrei, almeno da quindici anni, lentamente ma in modo costante abbandonano l'Europa. Ogni cittadino europeo cosciente della propria storia culturale non può non avvertire il carattere problematico di questo intreccio tra violenza e partenza. L'urgenza, allora, è quella di riflettere nuovamente sull'emancipazione in Europa e provare a comprendere che cosa ne abbia bloccato l'impulso fino a impedirci di vedere la singolarità di ciò che ha insegnato il suo più eminente «caso esemplare». Con la ripresa della questione ebraica viene messo all'ordine del giorno un argomento attuale della filosofia politica, la cui urgenza viene dettata dalla condizione pratica e intellettuale del nostro continente.
Perché le tre religioni monoteistiche, pur avendo un capostipite comune, non hanno mai cessato, sul piano storico, di dar luogo a violenze e a guerre estremamente feroci e sanguinose? È possibile pensare a un impulso fratricida? Sarà mai possibile prospettare una soluzione duratura in nome del riconoscimento della comune paternità?
Se è vero che solo attraverso l’incontro fra culture e religioni differenti e anche violentemente contrapposte sarà possibile trovare una via d’uscita dalla crisi odierna di un mondo frammentato, in cui non esiste più alcuna garanzia contro l’auto-sterminio dell’umanità, nessuna cultura o religione può considerarsi sovranamente auto-sufficiente e strumento esclusivo di salvezza. E nessuna gerarchia fra le varie religioni e le varie culture come sistemi di simboli e significati appare oggi sostenibile. Solo l’accettazione e la convivenza di culture e religioni diverse mediante l’elaborazione del concetto e della pratica di «co-tradizioni culturali» sembrano aprire una via d’uscita dalle contraddizioni che oggi pesano sulla vita quotidiana dell’umanità e ne segnano duramente il destino.
Sommario
1. La crisi della coscienza storica europea. 2. Il minimalismo suicida. 3. «Pubblico» non è solo «statuale». 4. Le radici culturali della coscienza storica. 5. La forza delle differenze. 6. Il multilinguismo non è la nuova Babele. 7. Elogio della crisi. 8. Abitanti del villaggio e cittadini del mondo. 9. Una geopolitica di grande complessità. 10. Oltre il pregiudizio eurocentrico. 11. Convivere culturalmente. 12. Il viaggio salvifico condiviso.
Note sull'autore
Franco Ferrarotti, professore emerito di Sociologia all’Università di Roma «La Sapienza», direttore della rivista La Critica sociologica, è stato deputato indipendente al Parlamento italiano dal 1958 al 1963. Tra i fondatori, a Ginevra, del Consiglio dei Comuni d’Europa, ha assunto la responsabilità della divisione Facteurs sociaux dell’Ocse. Nominato Directeur d’études alla Maison des Sciences de l’Homme di Parigi, ha ricevuto il premio per la carriera dall’Accademia nazionale dei Lincei ed è stato nominato Cavaliere di gran croce al merito della Repubblica. Con EDB ha pubblicato: La religione dissacrante. Coscienza e utopia nell’epoca della crisi (2013); Rivoluzione e trascendenza (2013); La concreta utopia di Adriano Olivetti (42016); Scienza e coscienza. Verità personali e pratiche pubbliche (2014); Elogio del piromane appassionato. Lettura e vita interiore nella società digitale (2015); Al Santuario con Pavese. Storia di un’amicizia (22016); Il conte di Vinadio. Felice Balbo e il marxismo come eresia cristiana (2016); Attualità di Lutero. La Riforma e i paradossi del mondo moderno (22017); Un greco in via Po. Passeggiate silenziose con Nicola Abbagnano (2017); Il viaggiatore sedentario. Internet e la società irretita (2018).
La metafora medica ricorre di frequente nei testi di Seneca, la cui riflessione si muove secondo la distinzione tradizionale che accostava alla chirurgia altri due specifici settori di ricerca: la dietetica e la farmaceutica. “Cibo e cura” e “cibo e malattia” sono del resto due binomi tipici della riflessione ippocratica.
L’opera del medico avviene tuttavia nell’orizzonte più ampio della precarietà della salute e della finitezza della condizione umana. Talvolta, di fronte al male, neppure il dottore basta perché «la salute del corpo è temporanea e il medico, anche se la restituisce, non la può garantire». In questo modo riaffiora un’altra qualità del medico, quella di essere filosofo, poiché riflette sulla condizione umana e la sua fragilità, adotta sobrietà e temperanza e considera la malattia sempre a partire dall'uomo.
Quali sono i motivi profondi che ci spingono ad aiutare gli altri? La domanda può suonare persino superflua visto che l'attenzione è spesso catturata dal «come» bisogna aiutare. In effetti in un tempo nel quale l'accento sulle competenze si fa, di giorno in giorno, più pressante, l'interrogativo non è banale: spesso le intenzioni non bastano. Tuttavia a fronte di ripetute chiusure presenti nella nostra società torna di nuovo urgente interrogarsi anche sul «perché». Sul piano sia individuale sia collettivo si afferma che bisogna aiutare gli altri per almeno cinque ragioni: perché conviene in una prospettiva tanto economica quanto relazionale; per un moto di compassione solidale presente nell'animo umano; perché è comandato in ambito sia religioso sia civile; per la radicale comune non autosufficienza della condizione umana; per non espandere il male presente nel mondo. Quando si analizzano questi motivi si constata la presenza di incroci e sovrapposizioni nelle motivazioni e nelle applicazioni; lo provano esempi tratti dalla vita e dalla Bibbia. Nell'animo umano vi sono infatti molte stanze e parecchie porte che le mettono in comunicazione reciproca. Nella prassi ritorna infine il problema del «come». Un punto resta saldo: la dignità della persona. «Posso darti una mano?», nella sua dimensione più profonda il rispetto contenuto in quel «posso» costituisce un aiuto maggiore dell'operatività espressa nel «darti una mano».
«Più che un saggio questo libro è una “raccolta”, una breve galleria di quindici parole esplorate nel loro significato, un piccolo alfabeto, un primo lessico molto limitato quanto ricco, che permette di assaporare e intuire la profonda cultura dell'autore. Il fatto è che Valzania è uno di quegli scrittori “alla Chesterton” (uno dei pochi autori citati nel saggio) o come Borges, che sarebbe capace di conversare con il lettore praticamente su tutto donandogli sempre un lieto nutrimento» (Andrea Monda).
Sommario
Prefazione (A. Monda). Fiore. Sudoku. Sabbia. Nudità. Giardino. Deserto. Luce. Silenzio. Notte. Macchina. Icona. Libro. Pioggia. Preghiera. Sguardo.
Note sull'autore
Sergio Valzania, saggista e romanziere, insegna Scienza della Comunicazione nelle Università di Siena e Genova. In Rai dal 1978 al 2015, ha diretto per un decennio i programmi radiofonici. Ha pubblicato di recente il romanzo La Bolla d’Oro (Sellerio, 2012), il saggio La pace mancata. La conferenza di Parigi e le sue conseguenze (con Franco Cardini, Mondadori, 2018) e il libro per ragazzi I venti Personaggi che hanno fatto l’Italia (Rizzoli 2019).
Andrea Monda è direttore dell’Osservatore Romano.
La mattina del 15 settembre 2008 miliardi di persone in tutto il mondo si svegliavano ignare che la propria vita sarebbe notevolmente cambiata. Dall’altra parte dell’Oceano, una banca d’affari, sconosciuta ai più, dichiarava fallimento.
La Lehman Brothers non raccoglieva il denaro dei risparmiatori privati, né erogava prestiti come fanno le più note banche commerciali. Il suo principale «affare» era quello di prestare consulenza ad altre società; di aiutarle nel collocamento di azioni o di obbligazioni in borsa; di investire il proprio e l’altrui denaro al solo scopo di incrementarne il volume. In poche parole: di «utilizzare i soldi per fare più soldi».
Aver astratto il fine del mercato dalle sue implicazioni etiche (il tempio) e politiche (la città) costituisce una parte del problema, così come l’avere espulso dalla sfera dell’economico la dimensione della gratuità, della reciprocità, del bene comune, della fiducia e del capitale sociale.
Mercato, città e tempio, fin dall’antichità, sono stati uniti da uno stretto legame che la modernità ha interrotto e la post-modernità tenta di ripristinare. Quel che è certo è che ogni crisi è un tempo buono per sprigionare nuove energie, rompere vecchi schemi e crearne di nuovi.
Sommario
1. La crisi dei subprime e l’effetto farfalla. 2. Dal tempio alla basilica. 3. Le radici medievali (e francescane) dell’economia di mercato. 4. Dall’economia civile all’economia in-civile. 5. To profit or not (only) to profit! This is the problem. 6. Dalla «ricchezza delle nazioni» a quella delle multinazionali. 7. Finanza, diritto e alchimia. 8. Il capitalismo sotto assedio. Creating shared value. Conclusioni. Il rovescio della moneta. Bibliografia.
Note sull'autore
Alessandro Mazzullo, avvocato tributarista, si occupa di legislazione e politiche fiscali. Ha fatto parte del Tavolo tecnico istituito dal Governo per la Riforma del Terzo Settore (su cui ha scritto un commento pubblicato da Giappichelli). Docente in numerosi corsi di specializzazione, compresi quelli della ex Scuola Superiore di Economia e Finanze, è autore di diverse pubblicazioni scientifiche. Tra le sue pubblicazioni: Il nuovo Codice del Terzo Settore. Profili civilistici e tributari, (2017) e Diritto delle imprese sociali (2019), entrambi pubblicati da Giappichelli.
Le tecnologie dell'informazione hanno smesso di essere semplici mezzi di comunicazione e si sono trasformate nel nostro contesto esistenziale. L'ambiente digitale, affascinante e per molti aspetti ancora inesplorato, segnato da confini sempre più incerti tra reale e virtuale, è una vera e propria rivoluzione culturale. Essa condiziona l'esperienza individuale e sociale e deve essere compresa a fondo, se si vuole che le persone riescano ad attribuire un nuovo significato al silenzio e a riappropriarsi di uno sguardo più contemplativo sulla realtà. Con l'obiettivo di equilibrare l'ecosistema della comunicazione, donando profondità alla parola, spessore all'ascolto e autenticità al dialogo tra le persone.