
Ogni tanto nella storia si combinano strane costellazioni di eventi e incontri. A guardare indietro, con gli occhi smaliziati di chi sa com'è andata a finire, sembrano quasi impossibili. Così nel 1925, in quella Germania che è ancora il cuore della cultura europea, ma sta rapidamente correndo verso il baratro della catastrofe nazista, Günther Anders, fresco della sua dissertazione con Edmund Husserl, e la giovane studentessa di filosofia Hannah Arendt si conoscono a Marburgo, dove seguono entrambi il seminario di Martin Heidegger sulla Critica della ragion pura. Si incontrano di nuovo solo nel 1929, questa volta a Berlino, in occasione di un ballo in maschera. Si sposeranno subito dopo, precipitosamente, per separarsi poi già nel 1937. Lei avrebbe in seguito ricordato il matrimonio con Günther come la fuga dal grande e impossibile amore della sua giovinezza, quello per Martin Heidegger. Per Günther, invece, Hannah sarebbe sempre rimasta il primo, forse l'unico vero amore di tutta una vita. Nel Natale del 1975, all'indomani della morte di Hannah, Günther riprende in mano gli appunti degli anni berlinesi trascorsi con lei; è soltanto tra il 1984 e il 1985 che prende la sua forma definitiva questo testo. Scritto sull'onda del dolore per una perdita che la lunga separazione non ha reso meno amara, e rimasto da allora nel segreto delle carte andersiane, questo piccolo, unico gioiello è qui pubblicato per la prima volta in edizione italiana, pressoché in contemporanea con l'uscita tedesca.
"Quota zero" è uno studio sulla lunga durata di un disastro e sull'ordine sociale derivato da un evento apocalittico come il terremoto di Messina del 1908. La città dello Stretto viene qui vista come uno dei primi spazi di applicazione di quella shock economy che, secondo orientamenti prevalenti, sarebbe tipica della contemporaneità e del neoliberismo. Secondo l'autore, però, molte delle forze attive nel contemporaneo capitalismo dei disastri sarebbero state all'opera nella città siciliana già all'inizio del secolo scorso. Al punto che Messina ha finito con l'anticipare di decenni tutte le contraddizioni del capitalismo contemporaneo. Pietro Saitta ripercorre la storia di Messina, dei suoi abitanti marginali e del Mezzogiorno, alla luce di categorie analitiche mutuate dagli studi postcoloniali e subalterni, oltre che dalle teorie sul sistema-mondo. Testimoni privilegiati e diretti sono differenti generazioni di reietti dei cantieri edili, di abitanti delle baracche e simili figure ugualmente impegnate a sopravvivere e "resistere", sfruttando gli interstizi lasciati liberi da un sistema pervasivo e spietato che si rinnova da decenni. Quel che discende da questo sforzo è una visione intorno a un evento centrale della storia nazionale, delle utili osservazioni comparative sulla gestione dei disastri nel nostro paese e l'avanzamento di una proposta metodologica nei termini di un approccio alla ricerca sociale teso a coniugare storiografia, sociologia... Prefazione di Biagio Oriti.
L'11 maggio 1831 il giovane aristocratico francese Alexis de Tocqueville sbarcò a New York, e da lì iniziò un viaggio per gli Stati Uniti terminato il 20 febbraio 1832. Il risultato delle sue osservazioni e riflessioni fu "La democrazia in America", la cui prima parte venne pubblicata nel 1835 e la seconda nel 1840. Il testo, scritto in una prosa superba, fece scalpore in Europa - ad essa l'autore aveva diretto il messaggio che, nel nuovo mondo, la democrazia aveva trovato un'attuazione straordinaria, rivelando una forza "irresistibile" destinata a raggiungere inevitabilmente anche le sponde europee. Tocqueville segnalò nelle sue pagine l'inizio di una nuova storia. Sennonché, al di là di questo vigoroso messaggio, si poneva e si pone tuttora la questione se negli Stati Uniti la democrazia si presentasse effettivamente con i tratti da lui descritti. Il saggio ripercorre l'analisi di Tocqueville concludendo che esse presentano per aspetti cruciali limiti assai significativi, in quanto delineano un'immagine dell'America che appare poco corrispondente, se non persino deviante rispetto a ciò che la società americana era nella sua realtà concreta. Di qui l'interrogativo: Tocqueville ha davvero capito l'America?
Intellettuale e politico di spicco nel secondo Novecento, Manlio Rossi-Doria è stato senza dubbio l'ultimo grande meridionalista italiano. Ma quel che a quasi trent'anni dalla sua scomparsa non è mai ancora emerso appieno è il ruolo centrale occupato dall'Europa nel suo pensiero e nella sua azione politica. Nel ventennio tra gli anni quaranta e gli anni sessanta, Rossi-Doria fu infatti costantemente impegnato nella costruzione e affermazione dell'idea dell'integrazione europea; da senatore per il Psi, favorevole alla costruzione di un partito progressista europeo, diventa poi un attivissimo osservatore dei problemi della politica agricola comune e delle relazioni internazionali (come nel caso della repressione in Cecoslovacchia nel 1968), e dunque un riformatore convinto della necessità che l'Italia sfrutti attivamente il "vincolo" europeo, per portare avanti la modernizzazione democratica e civile del paese e del suo Mezzogiorno. Queste pagine svelano l'intenso carteggio da lui intrattenuto, tra il 1945 e la metà degli anni ottanta, con esponenti del mondo della cultura, della politica meridionalistica, del movimento federalista e delle istituzioni europee (Altiero Spinelli, Antonio Giolitti e altri). Introduzione di Umberto Gentiloni Silveri.
Il cibo, la sua produzione e il suo consumo, la percezione che se ne ha e l'utilizzo politico che se ne fa, è una grande sfida, forse la più grande del nostro mondo globalizzato. La globalizzazione ha definitivamente trasformato i sistemi agricoli e alimentari, cambiando profondamente lo scenario mondiale: mutano i protagonisti dei flussi commerciali, si trasformano le strategie che guidano le politiche degli Stati, si evolvono gli orientamenti e le scelte dei consumatori. È da questo passaggio denso di opportunità e di rischi che si deve partire per comprendere le grandi sfide che la contemporaneità pone ai sistemi alimentari. Questo libro affronta con uno sguardo di sintesi le questioni di scenario poste al centro dell'Expo, e percorre con lungimiranza ed equilibrio i nodi strategici dell'appuntamento milanese. Nei prossimi decenni, saremo di più e consumeremo enormemente di più, il che coinvolgerà inevitabilmente tutti. Bisognerà rispondere a una domanda crescente di cibo con soluzioni più sostenibili rispetto al passato, mentre la doppia incognita dell'adattamento dei processi produttivi ai cambiamenti climatici e della loro mitigazione porrà vincoli inediti ai sistemi produttivi. Prefazione di Matteo Renzi.
"Quali possibilità c'erano che Julia e Philippe, le cui storie rivelano singolarità incommensurabili, si incontrassero a Parigi nel 1966? Che si amassero prima, durante e dopo il Maggio '68? Che restassero sposati dal 1967? Poche possibilità: il calcolo delle probabilità avrebbe bisogno di una serie astronomica di cifre dopo lo zero...". Eppure, tutto ciò è successo. Due "stranieri" nel corpo e nell'anima hanno deciso di restare saldamente in un luogo che essi stessi hanno scelto di disegnare come il loro matrimonio dal momento in cui ciascuno ha sentito che il "vivere con l'altro" gli era inevitabile. Prende avvio da qui un dialogo serrato sull'amore, che assume la forma di un vero e proprio lessico della vita matrimoniale. Julia Kristeva, psicanalista e scrittrice, e Philippe Sollers, scrittore e filosofo, due personalità di spicco della cultura del nostro tempo, si interrogano sull'arte di costruire un matrimonio che duri e che resista agli urti della società globalizzata, ma anche sulle ragioni per cui hanno scelto di armonizzare le loro diversità all'apparenza inconciliabili in un "luogo vivente come un organismo, le cui parti perdono un po' di se stesse in nome della libertà dell'altro".
"La prima cosa è un cambiamento del punto di vista. Non più un mezzogiorno chiuso a contemplare se stesso e i suoi difetti : al contrario, una regione cruciale per gli sviluppi storici di un'area assai più vasta, si cui si colloca ben al centro. Mezzogiorno cuore d'Europa e del Mediterraneo".
La democrazia - il potere, il governo, la sovranità suprema del popolo - ha sempre costituito, dalla Grecia antica in poi, un problema: circa il modo di intenderla, le sue possibilità di attuazione, i suoi lati positivi o negativi, il suo essere soprattutto un mito o anche una realtà. Dal Settecento in avanti non sono mai venute meno le aspre divisioni che hanno contrapposto i fautori della democrazia diretta ai sostenitori della democrazia rappresentativa. In queste pagine, uno dei maggiori storici della politica ci consegna un'opera con un duplice intento: da un lato ricostruire la storia del pensiero dei grandi filosofi politici classici - dall'età di Pericle a quella contemporanea - sul tema della democrazia e sui suoi dilemmi, dall'altro offrire una serie di riflessioni sui limiti e persino gli stravolgimenti che la sovranità popolare in quanto mito, potente ideologia, progetto astratto, ha conosciuto e non poteva non conoscere nelle sue molteplici attuazioni. A corollario di questo doppio livello di lettura, Salvadori mette a fuoco il processo di grave deterioramento che la democrazia liberale - proclamata trionfante dopo il crollo politico e morale del comunismo totalitario che aveva preteso di incarnare la "vera" democrazia - ha subito a partire dall'offensiva vittoriosa del neoliberismo iniziata alla fine degli anni settanta del secolo scorso, la quale ha spostato in maniera crescente il centro del potere decisionale dai singoli Stati alle grandi oligarchie finanziarie e industriali sovranazionali.
Una grande novità si sta affacciando nelle abitudini alimentari delle nostre società postindustriali: il consumo del cibo torna ad essere un atto di socializzazione. La cultura della sostenibilità si fonda infatti sull'assunzione di una reciprocità nelle decisioni di produzione e consumo. Agricoltori e consumatori si ritrovano in un modello comune di comportamento, caratterizzato dall'interrelazione continua, attraverso il quale vengono definite e realizzate le loro aspirazioni attuali e per il futuro. A rendere possibile la diffusione di questo comportamento nei confronti del cibo sono le molteplici e diversificate soluzioni di distribuzione diretta che gli agricoltori stanno sperimentando con crescente successo e che hanno come fattore comune un uso intelligente e personalizzato delle nuove tecnologie della comunicazione e della logistica. Si va dal mercato urbano, dove l'atto di acquisto e di consumo, oltre a rispondere a una scelta di appagamento del gusto, poggia su motivazioni relazionali e culturali, alla consegna a domicilio di prodotti freschi e sicuri; dal punto vendita aziendale al negozio di prossimità, dove oltre a fare la spesa è possibile degustare prodotti che l'agricoltore-gestore ha accuratamente selezionato secondo i propri valori e conoscenze; dall'acquisto online di tutte le componenti della cena e delle "istruzioni" per realizzarla all'agri-catering per eventi e pranzi di lavoro dove tutto è fornito dal "contadino". Prefazione di J. D. Van der Ploeg.
Una profonda trasformazione politica e sociale ha investito il nostro paese negli ultimi vent’anni. Un cambiamento che non poteva non coinvolgere il mondo dell’associazionismo, la parte più attiva e sensibile della società civile. Impegnate in molteplici attività, le reti associative favoriscono la diffusione della cultura democratica e della solidarietà sociale, rafforzando i legami fra le persone e l’efficacia delle politiche pubbliche. Fino agli anni novanta, la loro azione era strettamente intrecciata con quella di altri attori politici, in primo luogo i partiti. Il crollo che li ha travolti avrebbe dovuto trascinare con sé anche le associazioni; al contrario, ci si è rivolti alla società civile come alla principale risorsa per rinnovare la politica, cooptando gruppi dirigenti e mettendola al centro del dibattito pubblico. In un contesto del tutto nuovo, sono cresciute le responsabilità delle associazioni, indotte ad andare oltre le tradizionali funzioni di «scuola di democrazia», per supplire in modo diverso ad alcuni dei compiti storicamente svolti dai partiti e dalle istituzioni pubbliche. Questo libro, frutto di un lavoro collettivo, ricostruisce la storia della partecipazione associativa in Italia, da Tangentopoli a oggi, considerando in particolare un’area molto ricca di reti associative come quella lombarda. Lo fa con un approccio sociologico, che scava nei pensieri e nei comportamenti dei singoli cittadini impegnati in gruppi, comitati, club, centri sociali, cooperative, movimenti e associazioni. Speciale attenzione è dedicata alle disuguaglianze di genere, alla dimensione religiosa e al rapporto dei volontari con la cultura politica della sinistra. Interviste, sondaggi e osservazioni raccolti nel corso di vent’anni sono usati per delineare il profilo, le differenze e le trasformazioni nel tempo degli attivisti di tutti i settori associativi. Ne emerge una storia unica della partecipazione sociale, e di ciò che ha offerto alla democrazia in Italia.
«La prima parte della Costituzione superava ampiamente gli orizzonti culturali del tempo e proiettava il paese nel futuro: inevitabilmente invece la seconda parte – quella di cui oggi si discute – fu fortemente influenzata dai rischi incombenti, dalle incognite e dalle paure di allora. Tutto questo si aggiungeva all’esperienza ancora bruciante del fascismo. Di qui l’impostazione che poi prevalse, al termine di un percorso accidentato e non lineare». Guido Crainz
«Non siamo a un cambiamento della Costituzione, a una sua trasformazione in qualcosa di diverso, tanto meno – come pure i critici più accaniti sostengono – a un suo stravolgimento: siamo di fronte a una incisiva modificazione che punta ad adeguare e ammodernare la sola seconda parte della Costituzione per renderla più funzionale». Carlo Fusaro
A quasi settant’anni dalla sua entrata in vigore, la nostra Costituzione è al centro di un passaggio referendario importantissimo. Non sono, beninteso, in discussione i principi fondativi. La riforma, approvata dai due rami del Parlamento – dopo trent’anni di discussioni e dopo un lungo e complesso itinerario tra Camera e Senato – riguarda la seconda parte della Carta, ovvero quella che interessa i meccanismi di funzionamento del nostro ordinamento democratico. Il quesito che avremo davanti non consentirà distinguo. Non saremo, in altri termini, chiamati a decidere tra diverse ipotesi possibili. Dovremo dire soltanto se vogliamo che sia mantenuto intatto il vecchio ordinamento o che vengano introdotti degli aggiornamenti – perché di questo si tratta – nella parte che regola questioni essenziali per la vita del nostro paese: la fiducia ai governi, la natura del Senato, i rapporti tra le due Camere, la snellezza delle procedure di approvazione delle leggi, la distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni. Per paradosso, proprio la nettezza del quesito ci chiama alla responsabilità di valutarne bene la portata. Cosa cambia davvero nella riforma che il Parlamento ha approvato? Cosa rimane invece saldamente immutato? E qual è lo spirito complessivo, il senso dei cambiamenti proposti? Il punto da cui tutto prende le mosse non può che essere l’esperienza storica della nostra vicenda repubblicana. Non vi è dubbio che all’origine la Costituzione, in fatto di equilibri del sistema, fu il frutto di un compromesso tra le istanze delle diverse forze politiche e ideali che diedero origine alla Repubblica. Vi sono anche pochi dubbi circa il fatto che quel compromesso abbia prodotto, nel tempo, disfunzioni, farraginosità, inefficienze che hanno reso complicato il percorso della nostra democrazia. Naturalmente il nostro ordinamento si sarebbe potuto cambiare in maniere diverse. L’unica cosa che è davvero difficile sostenere è che esso fosse «buono in sé», e che dunque non si dovesse assolutamente toccare. Così come l’esperienza storica dimostra quanto sia complicato, data la frammentazione del nostro sistema politico, aggregare una maggioranza parlamentare in grado di varare una riforma costituzionale. Si tratta perciò di una occasione difficilmente ripetibile. Questo libro, scritto a quattro mani da uno storico e da un giurista, vuole essere una guida ragionata ai cambiamenti ipotizzati. Per comprenderli, per valutarli, per soppesarli. E alla fine per scegliere, nell’unica maniera in cui si può decidere in una democrazia complessa: secondo il principio di responsabilità.
«Mentre scrivo queste righe, il campanile di Amatrice cade sotto la forza del terzo terremoto che ha colpito, in meno di sei mesi, i paesi dell'Italia centrale. L'immagine del campanile viene riproposta ossessivamente. E una sequenza che angoscia e che però chiede di essere guardata e riguardata. Le immagini delle rovine, le visioni dei vuoti, delle assenze, dei luoghi a cui è stata sottratta la vita sono immagini perturbanti di cui abbiamo bisogno». Scrive così Vito Teti, nell'incipit di questo libro. Nell'immagine del campanile di Amatrice, Teti scorge un mondo ben più vasto, che va anch'esso inesorabilmente franando. Mentre i grandi agglomerati urbani si preparano a ospitare la gran parte della popolazione mondiale, interi territori si spopolano. E lo spopolamento è la cifra delle aree interne di numerose regioni d'Italia e d'Europa. Di fronte a questo scenario, l'antropologo coglie l'abbandono come la forma culturale dello spopolamento e si chiede: cosa fare dei segni del passato, delle schegge di un universo esploso? Nella prospettiva di Teti, il passato può e deve essere riscattato come un mondo sommerso di potenzialità suscettibili di future realizzazioni. In agguato, certo, c'è il rischio che la retorica e la nostalgia restaurativa seppelliscano quel poco che, del paese, resta. Viceversa, la nostalgia positiva, costruttiva può essere sostegno a innovazione, inclusione e mutamento. L'antropologia dell'abbandono e del ritorno, di cui Teti definisce in queste pagine i tratti essenziali, è un tentativo d'interpretazione dei luoghi a partire da quel che resta, e che occorre ascoltare, prendendosene cura. Come scrive Claudio Magris nella prefazione: «In questo libro di scienza e di poesia c'è una profonda partecipazione al destino nomade e ramingo non solo degli emigranti partiti con le loro povere cose, ma di ognuno, delle stesse civiltà, del loro nascere e passare, ma forse mai definitivamente».