
Facendo seguito alla sua diagnosi delle eresie e degli esorcismi della politica economica italiana, pubblicata, nel 2012 per gli stessi tipi, che ha raccolto molti consensi. Le ricevuto due riconoscimenti autorevoli, con questa nuova raccolta di scritti l'autore traccia un quadro organico dei problemi urgenti che l'Italia deve affrontare al suo interno e in Europa. Egli muove tre J'accuse ai Governi che si sono succeduti dal 2008, data di inizio della crisi finanziaria mondiale: quella di aver trascurato di riaccendere il secondo importante motore della crescita italiana, le costruzioni, come hanno fatto gli Stati Uniti e la Germania; quella di considerare la crescita reale come il principale problema italiano, mentre lo è la spaccatura economica e politica tra il Nord e il Sud; quella di aver aumentato imposte e tasse per sanare la finanza pubblica, mentre le ha usate per accrescere la spesa pubblica primaria. Completano il quadro quattro lettere aperte destinate ai protagonisti della crisi - Juncker, Draghi, Visco, Padoan - già pubblicate e una nuova rivolta al Governo e alla Banca d'Italia, invitandoli a cambiare obbiettivi perseguiti e strumenti usati al fine di invertire la traiettoria verso il sottosviluppo del Paese.
La storiografia sulla politica di massa può essere scandita in un "prima" e un "dopo" George Mosse, uno storico divenuto celebre soprattutto per i suoi lavori sull'immagine dell'ebreo, sulla cultura dell'Europa occidentale e sulle origini intellettuali del Terzo Reich. Il peculiare approccio di Mosse emerge anche in questa nota e controversa intervista del 1979 su Aldo Moro, riproposta nel presente volume, con un ampio corredo critico. Mosse collega l'esperienza politica dello statista, la sua cultura, le sue analisi, i suoi problemi, alle grandi trasformazioni e sfide della democrazia occidentale, in particolare alla crisi del sistema di governo parlamentare che si è manifestata in tutta la sua gravità nel corso del XX secolo. Quella di Moro, spiega Mosse, era una reale consapevolezza della fragilità dei sistemi democratici contemporanei, strettamente legati alla necessità di tenere in considerazione le aspirazioni, le speranze, i miti delle masse. Ciò si era tradotto nell'elaborazione di una originale e personale soluzione alternativa, connessa a un'idea dello Stato come un processo, come qualcosa continuamente in fieri, un organismo sensibile ai mutamenti. Per Mosse, nel pensiero e nell'azione di Moro era costante la volontà di integrare e far partecipare quanto più possibile le masse italiane, di dare loro un senso di rappresentanza... Prefazione di Renato Moro. Nota critica di Donatello Aramini.
La Repubblica, secondo l'articolo 3 della Costituzione, ha fra i suoi compiti quello di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti all'organizzazione dei diversi aspetti della vita del Paese. La democrazia è cosi proposta come un'esperienza di libertà e di legami, di diritti e di doveri, di individui e dei rapporti ai quali la Costituzione dedica la sua prima parte: civili, etico-sociali, economici, politici. Questi rapporti, che dovrebbero generare e sostenere pratiche "inclusive", diventano spesso strumenti di disuguaglianze insostenibili, di mortificazione del merito, di umiliazione delle vulnerabilità, di omologazione di saperi e valori, di distorsione del mercato ad esclusivo vantaggio di pochi, di un potere del quale non si riconosce più lo spirito di servizio. Questo libro parte dalla consapevolezza che la sfida della costruzione di una democrazia che sia davvero di tutti e di ciascuno è ancora aperta e cerca una via alternativa tanto alla rassegnazione che la vuole ormai perduta quanto al cinismo che la lascia all'ingenuità delle anime belle. Ci vogliono proposte concrete, a partire da alcune premesse: la libertà dallo Stato ha bisogno anche della libertà attraverso lo Stato; mettere la persona al centro significa partire dalle garanzie fondamentali della casa, di ospedali e scuole.
"Storia dell'Italia mafiosa" rappresenta un'importante innovazione nello studio e nell'analisi dei fenomeni mafiosi in Italia. Viene ricostruita in maniera unitaria la storia della mafia, della 'ndrangheta e della camorra, dalla nascita nel Mezzogiorno borbonico, allo sviluppo nell'Italia post unitaria, al definitivo affermarsi in età repubblicana, fino ai nostri giorni. Si è dinanzi ad un grande affresco storico che individua le ragioni di fondo di un modello criminale il cui successo dura ininterrottamente da duecento anni. Il volume rappresenta inoltre il contributo più significativo al superamento delle interpretazioni dominanti delle mafie come frutto esclusivo del Mezzogiorno, della sua arretratezza economica e sociale, di una cultura omertosa e complice. Isaia Sales dimostra come quel racconto, pressoché immutato da due secoli, continui a costituire un formidabile ostacolo alla comprensione delle mafie e a rappresentare, nella migliore delle ipotesi, un colossale abbaglio. Pagine appassionanti svelano perché le mafie, nonostante gli auspici di tanti, non siano state sconfitte dalla "modernità", anzi si siano trovate pienamente a loro agio dentro di essa, senza alcun imbarazzo. E sono ancora qui nell'Italia post moderna di oggi, nel mondo di Google e dell'I-pad. E non solo nel Mezzogiorno.
Noi siamo il nostro comportamento, e il comportamento umano è prodotto dall'attività del cervello. Comportamento e cervello umani sono a loro volta il risultato di centinaia di migliaia di anni di evoluzione avvenuta sotto la pressione di fattori selettivi molto diversi tra loro e dalle nostre attuali quotidiane condizioni di vita. Ne consegue che non sempre un cervello individuale o il comportamento di una persona sono consonanti con il mondo che i cervelli collettivi hanno creato, e che le nostre naturali imperfezioni possono risultare dissonanti, predisponendoci ad ammalarci o rendendoci individualmente poco adatti al complesso di abitudini e relazioni nel quale si svolge la nostra vita. Nell'insieme però funzioniamo bene, soprattutto quando decidiamo usando informazioni controllate e siamo lasciati liberi di agire. Il libro illustra attraverso numerosi esempi sia le conseguenze mediche delle imperfezioni umane, in particolare per quel che riguarda le malattie mentali e i disturbi alimentari, sia in che modo il "legno storto" di cui siamo fatti si manifesta attraverso tratti non clinici del comportamento umano come i cosiddetti vizi capitali o le preferenze politiche. Ma descrive anche perché e come la scienza, la più straordinaria delle invenzioni umane, ci ha migliorati.
"Sono omosessuale ma non gay. Ho sempre fatto la scelta di vivere in coppia, eppure sono contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso, non per motivi di unione tra due persone che si amano, ma per il problema fondamentale del bambino e del suo diritto ad avere un padre, una madre e dei nonni. In realtà sono molti gli omosessuali che non provano alcun desiderio di sposarsi e ancor meno di avere un bambino! Le cifre parlano chiaro. A 25 anni ho preso in considerazione l'idea di avere un bambino per potergli trasmettere un patrimonio, uno status sociale [...] in breve, volevo avere un bambino per i motivi sbagliati. Senza dubbio gli avrei dato tutto l'amore che aveva il diritto di aspettarsi ma c'era anche un'altra domanda da porsi: quella riguardante la filiazione. Quali sarebbero stati i riferimenti di questo bambino, il suo non-rapporto con la madre? E poi penso anche agli altri bambini. Quelli che la genitrice ha avuto come madre vera e propria. Libertà, uguaglianza, fraternità, sì! Libertà per il bambino di non essere escluso in quanto figlio di omosessuali (maschi o femmine che siano) nelle piccole città e in campagna. Uguaglianza per il bambino affinché possa crescere con un padre e una madre. Questo libro costituisce la voce di tutti coloro che non vengono ascoltati durante il dibattito sul 'matrimonio per tutti' e le sue conseguenze sul nostro avvenire comune; costituisce la speranza di essere finalmente capiti."
Nessuno, ma proprio nessuno di noi, cittadini dell'Occidente avanzato, accetta più di considerarsi o di venire considerato "vecchio". A qualsiasi età qualcuno muoia, muore giovane. Anzi: troppo giovane. E tutto ciò perché la vecchiaia nel nostro tempo è scomparsa, ostracizzata, resa oscena, diventata non più degna di venire a parola, praticamente espulsa dal ciclo naturale dell'esistenza umana. Siamo messi così di fronte all'effetto più conturbante che l'odierno fenomeno della longevità di massa ha sull'immaginario diffuso: grazie ad essa, non si pensa di avere oggi una vita semplicemente più lunga dei nostri antenati, il cui ultimo tratto si chiama appunto vecchiaia, naturalmente proiettato sull'evento della morte. Si ritiene piuttosto di avere a propria disposizione più vite, più esistenze, più possibilità, più occasioni, in cui ricominciare sempre daccapo e grazie alle quali potersi sentire sempre giovani e disponibili a nuovi cambiamenti e progetti, eterni tirocinanti nel laboratorio dell'esistenza. In ogni caso mai adulti o vecchi o semplicemente mortali. Ed è per questo che si muore sempre troppo giovani ed alla realtà della morte viene tolto quel valore di questione ultima e decisiva per la qualità della vita stessa. Questo libro interroga in profondità tali cambiamenti, la loro ripercussione nell'ambito delle relazioni educative e sociali, ed infine il loro effetto sulla pratica della fede, mai immune da ciò che tocca l'umano che è comune.
Nelle pur radicate democrazie dell'Europa occidentale, le competizioni elettorali sono in declino, i maggiori partiti registrano un calo di iscritti e di partecipazione, e anche coloro che rimangono fedeli militanti sono fiaccati nel loro entusiasmo. L'ultimo libro di Peter Mair, uno dei più grandi scienziati politici del nostro tempo, prematuramente scomparso, pesa l'impatto di questi cambiamenti che hanno portato gli elettori, dopo un secolo di aspirazione e di pratica democratica, a disertare l'arena politica. Mair esamina lo sviluppo parallelo allarmante che ha visto le élite politiche europee chiudersi sempre più su se stesse, in circoli autoreferenziali che le hanno portate a rimodellarsi come classe professionale omogenea e ad arroccarsi all'interno delle istituzioni statali, come un riparo in grado di offrire relativa stabilità in un mondo popolato da elettori volubili. Nel frattempo, guadagnano potere le agenzie e le pratiche non democratiche che vanno proliferando, non ultima tra loro la stessa Unione europea, un'organizzazione che contribuisce alla depoliticizzazione degli Stati membri e il cui famigerato "deficit democratico" riflette le intenzioni deliberate dei suoi fondatori. Questo testo offre una valutazione autorevole e agghiacciante delle prospettive della rappresentanza politica popolare di oggi, non solo nelle varie democrazie d'Europa, ma in tutto il mondo sviluppato.
Il Novecento è stato, per il pensiero liberale, il secolo delle sfide più drammatiche e dagli esiti più tragici. Il pensiero liberale ha dovuto vedersela, nel corso di pochi decenni, con i grandi movimenti totalitari di massa, di destra come di sinistra. È stato il secolo della politica e della militarizzazione delle coscienze, dell'ideologia, della teoria che ha voluto farsi immediatamente prassi, dell'intellettuale militante e "impegnato". E anche della critica e della crisi dei valori "borghesi", del parlamentarismo, della divisione dei poteri e della rappresentanza. Tutti questi elementi sono entrati in violenta frizione con la cultura e la prassi liberale. Che la sfida si sia infine conclusa con una vittoria ideale, e anche pratica, del liberalismo non era affatto, nel corso della lotta, un esito scontato. Anche perché gli intellettuali che non hanno "tradito", cioè che non hanno assecondato le pretese del pensiero illiberale, sono stati veramente pochissimi. Qui se ne individuano cinque, i più importanti, di cui si ricostruisce in modo originale il pensiero: Benedetto Croce, Michael Oakeshott, Karl Raimund Popper, Friedrich von Hayek, Isaiah Berlin. Si tratta di pensatori liberali di enorme statura intellettuale ma molto diversi fra loro per linguaggio, impostazione metodologica e risultati dell'analisi. A conferma della concezione liberale in esso delineata, il volume contiene anche una serie di saggi su vari aspetti del pensiero crociano.
Gli scritti politici di David Hume, raccolti in questa prima edizione italiana integrale e completa, sollevano questioni scomode, difficilmente collocabili nelle classificazioni canoniche della storiografia moderna e contemporanea, che ha sin qui delineato dello Hume politico un'immagine di pensatore ambiguo, indecifrabile, persino "inquietante". Ciò nonostante, le sue idee sull'origine dello Stato e dell'obbedienza politica, la sua visione della libertà, della proprietà, della giustizia, della natura immutabile dell'uomo, delle istituzioni, del libero mercato, della stabilità politica e delle relazioni internazionali, oltre ad iscriverlo di diritto nel novero dei principali teorici politici moderni, costituiscono anche una preziosa fonte di ispirazioni per lo sviluppo del liberalismo e, soprattutto, del conservatorismo. Hume, infatti, si rivela il primo, vero conservatore dei tempi moderni, per avere inaugurato, anticipando di qualche decennio le tesi controrivoluzionarie di Edmund Burke, un conservatorismo "politico" nel vero senso del termine, libero dall'influenza del tradizionalismo religioso e basato sulla difesa dell'ordine, della sicurezza e dell'interesse della nazione, su una visione realistica dell'esperienza politica e sulla diffidenza verso il radicalismo, lo spirito di innovazione violenta, l'arroganza razionalista, la retorica ideologica e il fanatismo settario.
Come un gabbiano in volo, tema di un sogno che lo ha accompagnato sin dalla giovinezza, Francesco Forte guarda «da un punto mobile, un po' lontano», i suoi trascorsi e quelli della nazione, dal fascismo ad oggi. Intellettuale libero e irregolare, più volte ministro e sottosegretario, sempre al vertice di posti chiave, giornalista, accademico, economista appassionato, il racconto della sua vita è un'istantanea fedele dell'Italia intera. L'autore racconta la sua verità: senza compromessi. Dall'infanzia - quando con il fratello faceva da scudo umano durante i bombardamenti angloamericani e l'Italia era divisa in opposte fazioni - sino alle vicende più intricate della nostra democrazia. Un'autobiografia vigorosa e ricca, la cui forza maggiore è nella qualità delle informazioni di prima mano raccontate con pathos e affilata ironia. Vicende e uomini che hanno segnato in maniera indelebile la storia degli ultimi decenni: Enrico Mattei e l'ENI, Pier Paolo Pasolini e Petrolio, Roberto Calvi, il caso Moro, Bettino Craxi, Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano. L'Italia di oggi come prodotto delle sue tante contraddizioni, vagliate con la capacità di analisi del grande economista o sviscerate con un'emotività che non conosce filtri. Un racconto genuino che non disdegna di assumere, talvolta, i toni del risentimento e della critica feroce verso sfere di potere e uomini di eterogenea appartenenza, il cui peso specifico si è spesso rivelato decisivo per le sorti del nostro Paese. Sempre chiamato a dare conto di azioni e decisioni, l'autore si sente finalmente «libero e felice», come il gabbiano del sogno, di raccontare il suo vissuto senza reticenze. Anche se avverte «solo alcune cose ed alcuni fatti si vedono in modo nitido, altri sono sfocati, o ci sono solo alcuni dettagli. Del resto questo libro è stato scritto in gran parte a sprazzi, quando mi è accaduto di dover ricordare».
Chiese, abbazie, palazzi affrescati, fontane, piazze, non sono lì a dirci cosa siamo stati, ma che cosa siamo. Guardare, conoscere, scoprire il patrimonio artistico dei luoghi in cui viviamo ci fa comprendere quanto possediamo in bellezza e splendore e quanto stiamo perdendo in violento degrado e cupo disinteresse. Questo libro è un viaggio tra le grandezze, le nefandezze e le ruberie dei luoghi d'arte e di storia italiani di cui siamo chiamati ad essere consapevoli custodi.

