
Un progetto comune, il traguardo di un cammino percorso in due, il frutto desiderato di un Tu e un Io che sono diventati un Noi: questo rappresenta un figlio per la maggior parte delle coppie. Ma quando l'infertilità si frappone tra il desiderio e la sua realizzazione, molte ombre calano sui mancati genitori, modificando profondamente la percezione sociale e individuale che uomo e donna hanno di sé. In questo libro Pier Luigi Righetti e Serena Luisi, entrambi psicologi (con la collaborazione di diversi specialisti) analizzano le conseguenze della genitorialità inappagata, le ansie, le aspettative che accompagnano ogni momento del ricorso ai protocolli di procreazione assistita. Un momento di crisi per la coppia, ma anche un'opportunità di crescita e rafforzamento del legame reciproco. Gli aspetti fisiologici e quelli psicologici trovano entrambi spazio in questa trattazione piana ed esaustiva di un tema quanto mai di attualità: psiche e soma, corpo e mente sono entrambi in gioco in un momento di vita così delicato da esigere una cura e un'attenzione che non possono e non devono limitarsi all'aspetto esclusivamente medico.
Il rancore è un sentimento (o un'emozione?) oggi più che mai diffuso, un sentimento che permea e ammorba la società e i singoli. Gli autori si propongono (tralasciando volutamente l'aspetto religioso) di esplorare i possibili itinerari attraverso i quali il rancore si esprime: dal piccolo astio all'invidia, dalla rabbia all'odio, fino agli esiti più propriamente psicopatologici. Ecco quindi che il rancore (dal latino "ranceo", essere rancido) si differenzia dal risentimento per la ruminazione continua e torturante, che induce l'individuo a tornare sul torto subito - e talvolta perpetrato -, e che spesso non si estingue neanche con la vendetta. In questo volume sono esaminate tutte le declinazioni di questo sentimento complesso e sfaccettato, tanto nelle sue espressioni "sociali" (arte, storia, antropologia, politica), quanto in quelle "psicologiche" (criminologia, psicopatologia, componenti cognitive).
il contenuto
«Quale sarà la condizione della società e della politica di questa Repubblica di qui a settant’anni, quando saranno ancora vivi alcuni dei bambini che adesso vanno a scuola? Sapremo salvaguardare il primato della Costituzione, l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e l’incorruttibilità della giustizia, oppure avremo un governo del denaro e dei disonesti?» Joseph Pulitzer se lo chiedeva all’’inizio del Novecento, quando per sua iniziativa nasceva la Scuola di giornalismo della Columbia University di New York. Era convinto che la risposta dipendesse in buona parte dalla qualità dell’informazione. A distanza di un secolo, nel momento in cui il consumo di notizie ha raggiunto ritmi prima inimmaginabili e rischia paradossalmente di rovesciarsi in disinformazione, la richiesta di qualità è ancora più decisiva per il bene pubblico. Perché «la nostra Repubblica e la sua stampa progrediranno o cadranno insieme».
l'autore
Joseph Pulitzer (1847-1911), ungherese naturalizzato americano, fu uno dei più grandi giornalisti ed editori. Emigrato negli Stati Uniti nel 1864, quattro anni più tardi venne assunto come reporter nella testata di lingua tedesca «Westliche Post» di St Louis e ne diventò in breve comproprietario. Dopo aver fondato e portato al successo il «St Louis Post-Dispatch», nel 1883 acquistò un piccolo giornale di New York, il «World», trasformandolo in pochi anni, grazie a una grafica e a una impaginazione innovative, in una testata di grande diffusione. Dalle colonne del quotidiano, Pulitzer promosse un giornalismo di inchiesta che diede vita a memorabili campagne di denuncia della corruzione politica e finanziaria. Il suo nome è legato a un lascito di due milioni di dollari che permise di istituire nel 1912 la Scuola di giornalismo della Columbia University, e a un fondo per il più ambito premio americano di giornalismo, letteratura e musica, a lui intitolato.
La relazione analista-paziente è uno dei temi più delicati e centrali della teoria e della pratica psicoanalitica che Stefano Bolognini affronta con decisione in questo suo saggio, descrivendone i modi, i tempi, i successi e gli scacchi. I molti casi clinici, narrati, trasformano l'esposizione in un racconto. Intelligente spirito critico e anticonformismo si uniscono così a un solido impianto teorico per descrivere quello che rimane pur sempre un rapporto tra due esseri umani, un viaggio comune verso terre poco note, là dove si incontrano le condizioni più destrutturanti della vita mentale e, in fondo, della vita in generale.
A quale prezzo psicologico si ottiene un "bravo bambino"? Di quali sottili violenze è capace l'amore materno? Per l'autrice, il dramma del "bambino dotato" - il bambino che è l'orgoglio dei suoi genitori - ha origine nella sua capacità di cogliere i bisogni inconsci dei genitori e di adattarvisi, mettendo a tacere i suoi sentimenti più spontanei (la rabbia, l'indignazione, la paura, l'invidia) che risultano inaccettabili ai "grandi". In tal modo, viene soffocato lo sviluppo della personalità più autentica, e il bambino soffrirà di insicurezza affettiva e di una sorta di impoverimento psichico. Da adulto, sarà depresso, oppure si nasconderà dietro una facciata di grandiosità maniacale. Numerosissimi esempi documentano la sofferenza inespressa di questi bambini e, al tempo stesso, le difficoltà dei genitori, incapaci di essere disponibili verso i figli.
Ruth Ammann, forte della doppia esperienza di architetto e psicoterapeuta, coniuga la concezione reale di giardino come elemento naturale con quella simbolica di "giardino dell'anima", ossia luogo terapeutico, archetipo della vita, immagine interiore positiva, fonte di energia e speranza, spazio vitale. Ricordi di gioventù, momenti di vita, sogni, viaggi e accenni alla pratica professionale accompagnano il racconto dell'affascinante relazione che lega l'autrice al giardino, per poi abbracciare in modo più ampio l'analisi di quel magico influsso benefico e rivitalizzante che la natura esercita sull'essere umano.
A trent'anni dalla "180", la cosiddetta "legge Basaglia", che segnò la progressiva chiusura dei manicomi, un dialogo tra uno dei protagonisti di quegli anni e uno storico della medicina. Per fare luce su una vicenda spesso mitizzata e messa al servizio delle ideologie. Un percorso che va oltre gli slogan, che offre dati, date, fatti, numeri, e descrive lucidamente i corsi e ricorsi della politica psichiatrica italiana. Uno sguardo dissacrante che dai problemi sociali e medici legati al disagio mentale si allarga sull'Italia dell'ultimo mezzo secolo. Dal riformismo dei primi sessanta alla controcultura giovanile, dalla sinistra dei settanta ai problemi di gestione sul territorio, un pezzo di storia culturale e politica in un Paese che ancora non sembra aver sconfitto i suoi vecchi tabù. Etica della medicina, diritti del malato, autodeterminazione personale, garanzia della libertà individuale: temi drammaticamente attuali, che già risuonavano tra le righe pubblicate dallo Stato italiano il 13 maggio 1978. Eppure, nodi ancora tutti da sciogliere, oggi come trent'anni fa.
Ritrovato fra le carte di Winnicott e pubblicato postumo, questo lavoro ricostruisce la storia del trattamento psicoanalitico di una bambina (chiamata in famiglia "Piggle", porcellino), dai due anni e mezzo ai cinque anni. Il libro ci offre la registrazione fedele delle sedute, i commenti e altro materiale fornito dai genitori della bambina, e le osservazioni di Winnicott. Il lettore ha così la rara opportunità di seguire dal vivo il rapporto fra terapeuta e paziente in un resoconto che appare di eccezionale interesse per quanti si occupano dei problemi dello sviluppo infantile. Il rendiconto testuale di quello che l'analista diceva, e di come lo diceva, ha un doppio interesse teorico e tecnico. Per la sua stessa formazione e la lunga pratica pediatrica, Winnicott era maestro nell'adattare la propria tecnica al caso particolare, senza farsi condizionare da schemi troppo rigidi. Il lettore assiste all'incontro di due persone, che lavorano e giocano insieme, con impegno e con piacere. La drammatizzazione del mondo interno della bambina, operata da Winnicott, mette "Piggle" in grado di fare esperienza delle fantasie che tanto la disturbano, e di viverle nel gioco.
Il 7 agosto 1974 un giovane funambolo percorre, a quattrocentododici metri di altezza, lo spazio che separava le Torri gemelle dal World Trade Center. Oggi vive in una cattedrale e il decano che lo ospita dice di lui: "Philippe non crede in Dio, ma Dio crede in Philippe". Il punto di vista di un uomo che percorre il vuoto. Philippe Petit (1949), artista e autodidatta del funambolismo, si esibisce in tutto il mondo da trentacinque anni, più o meno clandestinamente. Oltre a scrivere, tiene seminari sulla creatività e la motivazione, disegna, pratica l'arte dello scasso, è un esperto di vini francesi, ama gli scacchi e padroneggia la tecnica settecentesca della carpenteria in legno. È stato arrestato più di cinquecento volte mentre faceva il giocoliere per strada. Divide il suo tempo fra la Cattedrale di St. John the Divine, dove è Artist in Residence e il suo rifugio nei monti Catskills. Sono stati tradotti in Italia "Trattato di funambolismo" (Ponte alle Grazie 1999), il libro che ha affascinato artisti e intellettuali di tutto il mondo (tra gli altri il regista tedesco Werner Herzog), che ha scritto il testo che appare sulla quarta di copertina, e lo scrittore statunitense Paul Auster, che ha redatto la prefazione) e "Toccare le nuvole" (Ponte alle Grazie 2003). Introduzione di Michele Serra.
A giudicare dalle macerie, si direbbe che la cometa sia già transitata. O forse il corpo celeste non smette di incombere sui destini umani con un presagio ancor più nefasto. In ogni caso, meglio lasciare ai creduli lo scrutinio del cielo, ed esercitare una scepsi tutta terrena, ripetendo il gesto intellettuale che compì oltre due secoli addietro Pierre Bayle nei "Pensieri diversi sulla cometa", incunabolo dell'Illuminismo venturo. L'oscurità dei tempi odierni è un neomorfismo che esige, per essere analizzato sino in fondo, la stessa mobilità di spirito, lo stesso raziocinio acrobatico, acutissimo e immune da basso furore, che condussero l'ugonotto a vedere chiaro nell'impostura. Se qualcuno oggi può raccoglierne il testimone, costui è Franco Cordero. La sua è una partitura per voce sola, senza alcun ingombro strumentale; è contraddistinta da un timbro discorsivo che non ha eguali: la riconosciamo subito mentre fulmina gli ultimi quattro anni di vicende nostrane - l'"impasto d'ilare e macabro" che ha ridotto il diritto a subcultura, la politica a signoria privata, il pensiero a funzione stereotipa - praticando magistralmente l'arte dell'analogia. L'attuale zona grigia tra legalità e delitto richiama archetipi malfamati e precedenti non così remoti: solo una dottrina che padroneggi insieme testi normativi, teologie millenarie, classici letterari ed estri della lingua sa svelarli, e con essi i fondi cupi del "morbo italico".
Marilyn Monroe, Jean Seberg, Dalila: tre donne bellissime, celebrate dive dello spettacolo che al colmine del successo hanno preferito la morte. Alice Miller, scrutando l'enigma di questi suicidi, vi scorge la sofferenza del bambino che ha visto prematuramente soffocata la propria vitalità. Niente è infatti più mortifero del mettere a tacere i propri sentimenti profondi di ribellione contro i maltrattamenti subiti da piccoli. Perché si può forse sopravvivere a un'infanzia di umiliazioni, ma non si può tornare a vivere davvero, riprendendosi l'esistenza, se non dopo aver riconosciuto la rabbia e il dolore di un tempo. Indagando su infanzie celebri o meno celebri, l'autrice ripercorre le tappe degli "omicidi dell'anima" perpetrati su bambini - sempre innocenti e inermi - che saranno poi desitinati a riprodurre sofferenze e violenze: scampati ai tormenti subiti, si tramuteranno a loro volta in carnefici. Ed è proprio nel circolo vizioso della violenza, prima patita e poi rimessa in atto in età adulta, che Alice Miller indica la radice del male, dai fatti di cronaca quotidiana, fino alle guerre e agli eccidi di massa.
Una nota e apprezzata esperta di politica internazionale riflette sul caos dei rapporti tra le nazioni e sulla fragilità rassicurante dei legami familiari, tra ricordi tristi e affetti forti, incontri con i potenti della terra e scoperte di mondi distanti dal nostro. Un autoironico taccuino familiare e politico, scritto con leggerezza e intelligenza, che è anche un tentativo di trovare delle risposte al lacerante interrogativo sollevato da Freud e Einstein nel loro carteggio "Perché la guerra?".