
Il volume raccoglie i seguenti saggi: "La libertà e i diritti di libertà" di Michelangelo Bovero, "Libertà personale" di Stefano Rodotà, "Libertà di pensiero" di Alessandro Pizzorusso, "Libertà di religione" di Ermanno Vitale, "Libertà di insegnamento" di Marcello Vigli, "Libertà di informazione" di Alfonso Di Giovine, "Libertà di riunione e di associazione" di Valentina Pazé, "Libertà di circolazione" di Luigi Ferrajoli.
C'è differenza tra l'individuo e la persona: la persona è quell'entità morale che è dotata di autonomia e relazionalità con l'altro, l'individuo massimizza invece l'utilità personale. Mettere al centro la persona vuol dire mettere al centro un'antropologia positiva. Comprendere il contesto attuale e individuare le opportunità per dare vita a una rinascita umana e culturale è la strada obbligata per guardare al futuro dell'Europa senza l'incubo di un fallimento epocale. Che cosa sta accadendo nel Vecchio continente dopo la crisi degli ultimi anni? Quali cambiamenti comporta in termini di governance delle istituzioni nazionali e transnazionali? Riflettendo sui fattori finanziari, sociali e politici che hanno portato alla crisi, gli interventi raccolti nel volume individuano le strade che possono restituire fiducia al tessuto economico e culturale che costituisce la forza del nostro Paese e che può rappresentare un modello per gli altri partner europei: dal ruolo che le famiglie possono avere nella ripresa ai modi più efficaci di investire in istruzione e capitale umano, fino alle strategie per costruire equilibri più solidi in Italia e in Europa. Esperti provenienti da diversi campi si cimentano in un dialogo ricco e stimolante e ci guidano attraverso i segni di novità e cambiamento che già oggi emergono nel nostro tessuto civile.
"In che Europa viviamo? Quale Europa vogliamo? Abbiamo la possibilità di incidere sulle decisioni che contano per poter costruire insieme l'Europa che desideriamo?". Ne parlano Alberto Bagnai, Lelio Iapadre, Fabrizio Politi e Stefano Zamagni, tra rigorose analisi delle cause profonde della crisi economica, democratica e culturale dell'Europa e visioni diverse a confronto per le possibili vie d'uscita. Il libro nasce dal convegno "Quale Europa? Crisi economica e partecipazione democratica", organizzato dal MEIC dell'Aquila.
Se la causa dell'Europa ha avuto un limite è stato quello di aver incontrato un'accoglienza benevola ma anche generica. La sua quasi ovvietà apparentemente le ha spianato la strada, in realtà le ha occultato gli ostacoli. In particolare ha contribuito a frenare il processo di elaborazione di una classe dirigente specifica e il sorgere di quel sentire comune senza il quale non si può saldare in una nuova unità la storia di nazioni e popoli diversi, con destini a lungo separati se non contrapposti. Strada facendo i problemi sono emersi, con una particolare virulenza oggi, di fronte alla prospettiva dell'imminente allargamento dell'Unione ai molti paesi ex-comunisti, e in presenza delle nuove contraddizioni e paure suscitate dalla globalizzazione.
Tra il 6 e il 9 giugno in tutta Europa le urne saranno aperte per eleggere il nuovo Parlamento europeo. I partiti scaldano i motori: scelgono nomi, avanzano candidature, pensano tattiche. E i programmi? Il vento del nazionalismo e la diffusa resistenza a credere e battersi per una vera alternativa in quasi tutti i paesi membri rischiano di condurre a proposte di scarso respiro, timide nel-l'affrontare le sfide della doppia transizione, digitale e ambientale; ambigue, al meglio, nei confronti dei migranti; inadeguate a contrastare il nuovo disordine mondiale, le guerre e anche le tante ingiustizie ereditate. Di fronte a questo scenario il Forum Disuguaglianze e Diversità ha deciso con questo volume di scendere in campo. Non è una discesa nell'arena elettorale. È l'offerta di alcuni tratti dell'Unione europea che servirebbe alla giustizia sociale e ambientale, un contributo informativo e di confronto, un metro per giudicare - prima e dopo le elezioni - programmi, partiti, candidature ed eletti, una bussola per il monitoraggio civico delle azioni che l'Unione realizzerà nella prossima legislatura. L'Unione auspicata in questo libro è un luogo di promozione del welfare universale, non penalizzato dall'austerità; dove la conoscenza e i dati siano accessibili e a disposizione delle comunità; dove la trasformazione ecologica sia accelerata nell'interesse prima di tutto dei più vulnerabili per realizzare un modo più giusto di vita e di lavoro e dove politiche pubbliche e governo siano democratizzati. Un'Europa che prenda consapevolezza del proprio ruolo fondamentale nei processi migratori e che agisca come costruttore di cooperazione e pace.
Invitato a Brescia nel 1959, Norberto Bobbio tenne una conferenza, Quale democrazia?, che, nonostante sia passata quasi inosservata, appare come l’enunciazione di un programma di ricerca. Regole di funzionamento, teoria delle élites e del realismo politico, tensione tra vocazione dell’uomo alla libertà e necessità di istituire una società con un potere efficiente, l’antinomia tra ideale dell’uguaglianza e quello della libertà: sono i temi, qui per la prima volta enunciati, che torneranno, con continui scavi, nelle opere che hanno reso Bobbio tra i più importanti filosofi della politica della seconda metà del Novecento. Il testo ha quindi una doppia classicità: è la cellula originaria della riflessione bobbiana sulla democrazia, ed è la lezione di un classico. Come ha scritto Bobbio stesso: «Quale democrazia? Un titolo che ha continuato ad essere attuale in tutti questi anni. Oggi più attuale che mai. Se dovessi ripeterlo, quel punto interrogativo non lo toglierei. Ne potrei, se mai, aggiungere un altro».
NORBERTO BOBBIO (1909-2004), senatore a vita della Repubblica, ha insegnato filosofia del diritto e filosofia della politica all’Università di Torino. Tra le sue opere: Politica e cultura (Einaudi); Il problema della guerra e le vie della pace (Mulino); Il futuro della democrazia (Einaudi); L’età dei diritti (Einaudi); Destra e sinistra (Donzelli).
COMMENTO: Uno stupendo e attualissimo libro inedito di Norberto Bobbio del 1959 che spiega che cosa è e come funziona la democrazia, nella tensione tra uguaglianza e libertà.
Un libro per tutti: studenti delle scuole medie superiori, universitari e lettori comuni.
1994-2024: sono passati trent'anni da quando la "Balena bianca", soprannome giornalistico dato alla Democrazia cristiana, si è inabissata nel mare agitato della storia italiana, travolta dal crollo del Muro di Berlino, dagli scandali di Mani pulite, dalla questione morale e, soprattutto, dall'esaurirsi della spinta ideale che ne aveva ispirato l'azione nei decenni precedenti. Qualcuno era democristiano rilegge i sei tormentati anni che vanno dal 1989 al 1994, durante i quali si consuma la parabola finale dell'"impero democristiano". Attraverso la voce di dodici fra i principali protagonisti del partito di quel sessennio, nella prima parte a livello nazionale e, dalla seconda parte, con particolare attenzione al Veneto, territorio nel quale la Dc era fortemente radicata, il volume offre un'analisi delle cause che hanno provocato la fine dell'unità politica dei cattolici, approfondendo i possibili scenari per un loro nuovo impegno in politica e nei partiti. I cattolici hanno ancora qualcosa da dire e da dare all'interno della res publica?
L'Italia è un Paese dove i giovani dipendono dai vecchi, dove "è Anchise a portare sulle spalle Enea mentre la città brucia. Non il contrario, come sarebbe naturale". E "dove nessun futuro è stato pensato per Ascanio, il nipote". Partendo da questa constatazione, Giuseppe "Pippo" Civati, uno dei politici più noti della sinistra italiana, ci racconta la sua versione dei fatti. Ci dice quali sono gli attori che si contendono la scena. Quali sono gli ostacoli a un cambiamento che non può più essere rimandato. Perché se oggi è il momento di fare, e di fare in fretta, non possiamo però ripetere l'errore che segna da sempre la vita del nostro Paese, quello di agire senza riflettere, senza pensare alle ripercussioni delle nostre scelte sulle prossime generazioni.
"Sono gli anni in cui dalle nostre parti, in Europa e in giro per il mondo, la sinistra conosce un inesorabile destino di perdita e dissipazione. Perdita di popolo e di consenso e dissipazione di culture che sono eredi, nel bene e nel male, di una grande storia che sembra ormai irrevocabilmente alle nostre spalle." Per la prima volta nella nostra storia repubblicana una politica populista e sovranista occupa il discorso pubblico e lavora per smantellare la prospettiva di civiltà e di arte della convivenza nella diversità. Secondo Salvatore Veca, c'è un compito difficile ma ineludibile al quale non possiamo sottrarci: "Ragionare insieme sulla prospettiva alternativa di una sinistra europea per il ventunesimo secolo". Rinunciare a questa sfida significa arrendersi a una classe politica disposta a cancellare il principio della pari dignità per tutti e l'impegno a rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona. Eppure, abbiamo ragioni fondamentali contro la trasformazione della democrazia in oligarchia, in dominio della maggioranza, in tirannia populistica. Abbiamo ragioni fondamentali contro la demonizzazione del disaccordo e del dissenso, che sono invece il succo della democrazia. Abbiamo ragioni fondamentali contro lo spettro che ritorna e si aggira, dalle nostre parti, di una società castale, caratterizzata da una crescente e intollerabile forbice delle disuguaglianze economiche e sociali. Questo libro ricorda alla sinistra ciò che ha perso: l'idea di sviluppo umano come libertà di chiunque, ovunque. E compie il gesto coraggioso di aprire un dibattito, per ragionare insieme e restituire al presente un futuro disegnato da una nuova visione politica.
Antonio Gramsci (Ales 1891-Roma 1937) è uno degli autori italiani più tradotti e studiati al mondo: il che testimonia l'attualità delle questioni cui dedicò le proprie analisi, ma anche l'originalità del suo pensiero e la forza della sua personalità. La sua parabola esistenziale tocca le principali tappe della storia della prima metà del Novecento, dalla Grande guerra al fascismo, dalla Rivoluzione bolscevica al "biennio rosso" in Italia: momenti cruciali che Gramsci visse in prima linea, coniugando l'impegno giornalistico, con l'azione politica, dalla giovanile adesione al Partito socialista al sostegno alle lotte di fabbrica sullo sfondo della Torino capitale industriale, fino alla fondazione del Partito comunista nel gennaio 1921. A dispetto di una detenzione durissima, Gramsci si impegnò in una eccezionale produzione teorica, che ci ha consegnato pagine tra le più illuminanti del pensiero di ogni tempo. I "Quaderni dal carcere", composti tra il 1929 e il 1935 e pubblicati postumi, rappresentano il lascito di un rivoluzionario che riflette non solo sulle ragioni delle sconfitta, ma altresì sulla possibilità di una diversa ipotesi rivoluzionaria "in Occidente" e della costruzione di un altro socialismo. La sua riscoperta internazionale dopo il crollo del Muro si spiega proprio in ragione della diversità del pensiero gramsciano da quello del "comunismo realizzato".
Ormai è chiaro: la crisi in cui l'Occidente si sta dibattendo non assomiglia a nulla di conosciuto. È una crisi di valori, di democrazia, economica, finanziaria, ambientale, politica senza precedenti. Tutti i riferimenti stanno crollando, la leadership USA non è più invincibile, e anzi mostra la guardia. E quando il potere si sente debole, cerca un nemico da additare. Qualcuno su cui scaricare responsabilità e colpe, qualcuno di cui avere paura. Tutto pur di non ammettere la verità, cioè che le risorse stanno finendo e il sistema sta viaggiando a marce forzate verso il collasso. La Russia è quel nemico. Lo è stato in passato, e oggi quell'ossessione ritorna in versione aggiornata. La Russia e il suo uomo forte Vladimir Putin sono il nuovo "nemico numero 1". Rispolverando gli slogan della Guerra Fredda, sono tornati a essere l'Impero del Male e Putin è un mostro da dare in pasto alle masse, opportunamente dipinto come tiranno psicopatico, responsabile di stragi o cinico tessitore di trame imperialiste. La guerra in Ucraina, le sanzioni economiche, persino la negazione del ruolo russo nella sconfitta del nazismo, tutto spinge in quella direzione. Ma è davvero così, o la "Putinfobia" spacciata da molti media è solo un grande specchio su cui l'Occidente riflette le proprie mancanze e i propri guai?
Risultato di più di vent'anni di ricerche e analisi sul tema della violenza, delle sue espressioni estreme, dei suoi usi politici e degli esiti che hanno scandito la storia del XX secolo, questo libro si propone di reperire una logica, per quanto atroce e terribile, nell'inferno dei genocidi. Il che è possibile solo attraverso una minuziosa ricostruzione dei tragitti politici, delle poste in gioco, delle tattiche e strategie per mezzo delle quali la violenza ha potuto trapassare - superando interdetti ancestrali relativi alla stessa concezione dell'umanità - in pratica genocidiaria e purificazione etnica. La violenza in questione è quella estrema, apparentemente più ingiustificabile e terrificante, che Sémelin invita a guardare senza subirne gli effetti sideranti o addirittura l'atroce fascinazione, e che diventa comprensibile non appena venga inscritta nelle condizioni, nei meccanismi e nei processi che conducono alla messa a morte di massa. Il libro prende in considerazione in particolare le tragedie della Shoah, dell'ex Iugoslavia e del Ruanda, alla ricerca degli "operatori" logico-storici che hanno funzionato nel progetto di distruzione del popolo ebraico, nel programma di pulizia etnica attuato in Bosnia e nel genocidio ruandese, mettendo a confronto ricerche, resoconti e testimonianze, e intrecciando al lavoro di carattere storico l'analisi psicologica, sociologica, antropologica, politologica.

