
Raccontando in prima persona il suo diretto coinvolgimento nei processi di mediazione in aree di conflitto in Mozambico, Corno d'Africa e Nagorno Karabakh (dai primi anni '80 al 2018), l'Autore, in particolare attraverso le vicende dell'Africa Australe, spiega come la pace non sia mai il frutto di una buona predicazione, quanto piuttosto della costruzione di un contesto nuovo (fatto di elementi economici, istituzionali, garanzie interne e internazionali) che consenta alle parti in causa non di diventare amici, ma di continuare ad essere diversi (anche antagonisti) passando però dalla "critica delle armi" alla "armi della critica". Insomma, dalla guerra alla politica.
Tre suicidi spettacolari dell'alta società greca, in diretta televisiva, suscitano la curiosità del commissario Charìtos, ancora convalescente dopo l'ultima vittoriosa indagine. Scavando nel passato dei suicidi, questa sorta di Maigret greco scopre che i tre uomini appartenevano ad un gruppo terroristico avverso ai Colonelli, debellato perciò dai servizi segreti del regime. Dopo aver evitato il carcere, i tre erano riusciti a farsi strada nel mondo politico ed economico a colpi di tangenti e corruzione. Mentre la polizia e i giornalisti brancolano nel buio, il commissario Charìtos tenta di dipanare l'enigma che si cela dietro al concatenarsi dei suicidi pubblici, portando alla luce i segreti nascosti nel passato dei loro autori.
"Noi non scivoliamo in stato di shock quando succede qualcosa di brutto e grosso, deve essere qualcosa di brutto e grosso che ancora non comprendiamo. Lo stato di shock subentra quando si spalanca un baratro tra i fatti e la nostra capacità iniziale di spiegarli. Tantissimi di noi, quando si trovano in una situazione del genere, diventano vulnerabili alle autorità o alle figure autoritarie che ci dicono che dobbiamo temerci l'un l'altro e rinunciare ai nostri diritti per il bene superiore. Oggi è un fenomeno globale, non è limitato agli Stati Uniti." L'elezione di Donald Trump segna una pericolosa crescita di tensione in un mondo sempre più afflitto dalla crisi della politica. Secondo Naomi Klein, sbaglia chi considera un caso soltanto americano il programma del nuovo presidente, che prevede protezionismo e deregulation per favorire gli interessi delle grandi multinazionali, una guerra totale al cosiddetto "terrorismo radicale islamico" e un cieco rifiuto delle politiche climatiche. Trump rappresenta un fenomeno globale, una tendenza già presente in tutte le democrazie occidentali. Una visione distorta della politica che ha la potenza di un brand. E che sarà ben presto all'origine di una catena di crisi in economia, nella sicurezza nazionale e per l'ambiente. Infatti, spiega Klein, il fenomeno Trump non è tanto un'aberrazione, ma piuttosto la logica estensione degli orientamenti politici ed economici più pericolosi dell'ultimo mezzo secolo. In una lucida analisi delle dinamiche che hanno portato alla diffusione globale di questo fenomeno, Klein pone le basi per un movimento di massa capace di opporsi al militarismo, al razzismo e al corporativismo che stanno crescendo nel mondo occidentale. E dimostra che il concetto di resistenza è tutt'altro che obsoleto.
«La libertà non è qualcosa che una volta data esiste per sempre. Ogni generazione, a patto che le vengano garantite le condizioni per vivere in libertà e in democrazia, deve acquisire di nuovo una pratica con essa. Molti tedeschi dell'Est non hanno vissuto o non hanno percepito il salto verso la libertà come una liberazione. È questo che io chiamo shock da libertà». Ovunque in Europa le forze politiche che aspirano a un ritorno di strutture statali autoritarie stanno riguadagnando terreno. In Germania l'ascesa degli estremismi di destra e di sinistra - dall'Alternative für Deutschland (AfD) all'Alleanza di Sahra Wagenknecht - sembra inarrestabile, e in particolare nell'ex Germania Est ha assunto proporzioni dilaganti. Com'è possibile che la democrazia liberale venga messa in discussione soprattutto in quella parte del paese in cui, con la caduta del Muro, sembrava che si fosse realizzata una rivoluzione pacifica per la libertà? In questo vibrante e appassionato pamphlet Ilko-Sascha Kowalczuk, autorevole intellettuale nonché tra i maggiori esperti di Germania Est, rilegge la storia della Germania dal 1989 ai giorni nostri, mostrando come l'esperienza della dittatura vissuta dai tedeschi orientali plasmi ancora oggi gli atteggiamenti politici e il comportamento elettorale di larga parte del paese. Nella «più grande prigione a cielo aperto d'Europa dopo il 1945» - così l'autore definisce il regime della Repubblica democratica tedesca - la libertà era preclusa, ogni aspetto della vita quotidiana era inquadrato dallo Stato in un ordine monotono e oppressivo. Con la riunificazione, i tedeschi orientali hanno guadagnato la libertà e la democrazia, ma si sono trovati a fare i conti con le sfide che esse pongono in termini di impegno e responsabilità personale, generando un senso di frustrazione e di insicurezza che ha spinto molti a rimpiangere la vita «sicura» sotto il regime. Kowalczuk, tedesco dell'Est di origini ucraine, descrive con particolare vividezza quella dittatura, smontando le «leggende» su cui è stata costruita e che l'hanno alimentata, e racconta le promesse e le delusioni della riunificazione a Est e a Ovest. La tagliente analisi degli ultimi trentacinque anni di storia tedesca che l'autore conduce in questo libro è essenziale per comprendere non solo la realtà attuale della Germania, ma anche le questioni cruciali che l'Europa si trova a dover affrontare, in primo luogo il rapporto con la Russia di Putin e la gestione del conflitto in Ucraina. La Germania Est, in questo senso, viene vista come una sorta di laboratorio della globalizzazione, dove si manifestano, prima che altrove, tendenze e sviluppi che minacciano di dilagare in tutta Europa. Quello di Kowalczuk è dunque un inno alla libertà, unico argine contro le tendenze antidemocratiche. Senza la libertà nulla è possibile, neanche la pace.
Carlo Galli torna ad occuparsi di Schmitt, circoscrivendo l'attenzione ad alcuni aspetti del suo universo intellettuale: le attitudini fondamentali di Schmitt verso lo Stato, la vasta gamma di significati che la nozione di "teologia politica" assume nel lungo svolgersi della sua riflessione, il confronto che lo impegna a più riprese con gli altri pensatori della politica (Machiavelli, Spinoza), la perdurante validità dei paradigmi schmittiani per la comprensione dell'età globale. Una approfondita analisi - quella contenuta in queste pagine - che illumina magistralmente uno dei più discussi protagonisti della cultura filosofica del Novecento, costantemente sospeso fra decostruzione e costruzione, tradizione e spregiudicatezza, prevedibilità e intuizione geniale, ideologia e dottrina, e tuttavia sempre capace di attingere alla struttura profonda della modernità.
Non c'è veramente alternativa valida e motivata allo scontro delle civiltà teorizzato e perseguito dai diversi fondamentalismi? Il pluralismo è la grande sfida del tempo che viviamo. "Dialogare per non morire" ed imparare a dialogare è il compito che ci attende nel XXI secolo.
É evidente che in Italia sia mancata una Norimberga. Il nostro Paese, infatti, non ha mai fatto i conti col fascismo e con la sua memoria storica. Proprio per questo già Beppe Fenoglio temeva che certi squadristi si sarebbero prima o poi riciclati, e dunque reinseriti, nelle istituzioni. E così è stato. "Sfascistoni" è al tempo stesso un catalogo e un manuale. Catalogo di soggetti politicamente e moralmente irricevibili, che proliferano nella destra italiana oggi baciata dai consensi. E manuale di resistenza, perché a questa politica degenere occorre resistere. In questo libro, scritto con arguzia e tagliente ironia, Andrea Scanzi mette in fila una lunga serie di fascisti dichiarati e mascherati, macchiette e pesci piccoli, camerati e criminali. Qualcuno vi farà persino sorridere, molti altri vi faranno rabbia e basta.
La verita' storica del '68 con gli occhi di un cronista cattolico. Il sessantotto e' entrato ormai lentamente nella mitica, che se ne parla come un evento storico, di una svolta epocale, di un 'movimento' che ha comunque portato l'Italia a svegliarsi, a cambiare, a uscire dal suo torpore. Ma siamo sicuri che tanta retorica non nasconda altro, soprattutto per chi ottenne carriere politiche e tanti altri vantaggi? Una rilettura storica precisa e documentata ci parla di un sessantotto che fu anche esplosione di violenza, distruzione di valori, senza averne altri validi da proporre, scuola di prevaricazione e di odio. Questo libro e' la cronaca di un uomo che in quegli anni era studente del quinto anno del liceo, e poi matricola in Universita', che vide e visse quegli avvenimenti e che ora li ricorda, nella loro crudezza e nella loro sostanza. E' brutto parlare di violenza, si sopraffazione, di svilimento della figura femminile, di gioventu' smarrita, usata e tradita. Ma queste sono le cose che l'Autore ha visto, vissuto e che ora racconta.