
“Guarda qui che cicatrice mi sono fatto. Me lo ricordo ancora.
Il profumo del pane. Mi piaceva da matti. Il problema era che piaceva anche a lui, al cane gigantesco che comincia a rincorrermi.
Ero soltanto un bambino.
Ho iniziato a correre quel giorno e non mi sono fermato più.
Io andavo avanti per quella strada di polvere, scalzo, con il sacchetto del pane in mano e le poche monete di resto.
L’ho seminato, ovvio, il disgraziato. Ma ho colpito in pieno un ferro che spuntava da non so dove.
Le strade di Nkon non sono mica perfette come il Camp Nou.
O San Siro.”
Se deve scegliere una sola immagine dal suo – primo – annus mirabilis con l’Inter, Samuel Eto’o pensa al re Juan Carlos, dopo la finale di Champions al Bernabeu, che gli dice una cosa semplice e bella: «Felicitazioni, hermano». In quel momento gli scorre davanti agli occhi tutta la sua vita, l’infanzia in Africa dove si trova a scegliere tra bicicletta e pallone, i rimproveri della madre che non voleva vederlo perder tempo a giocare, una Mercedes nera del Real che si addentra nel suo quartiere perché qualcuno deve chiedergli: “Vorresti fare un provino da noi?”. Eccolo allora atterrare a Madrid in calzoni corti e con un gran freddo e lì, subito, mettersi a correre come un nero per vivere come un bianco, collezionando completini del Real (e non usandoli praticamente mai). Il resto è storia del calcio, spagnolo, africano e italiano, una cavalcata elettrizzante, senza precedenti, macchiata solo qua e là da quei buuu razzisti di chi non capisce che hermano, fratello, è la parola giusta da usare con qualsiasi uomo, proprio come ha fatto il re.
Samuel Eto’o non è soltanto un calciatore fenomenale, oggi implacabile trascinatore del sogno nerazzurro. È anche l’esempio vivente della stupidità di ogni razzismo e un’icona dell’Africa che cresce in campo e fuori. Veloce di pensiero, non solo di gambe, sorprendente, profondo, spassoso, ammalierà tutti con I piedi in Italia, il cuore in Africa. Come quando è in campo.
Giordano Bruno Guerri è uno dei più noti studiosi del Novecento italiano, e la biografia di Giuseppe Bottai è il primo saggio che dimostra l’esistenza di una cultura fascista. Intellettuale raffinato e politico attivissimo, Bottai fu “la mente migliore del fascismo”, creatore di un progetto di rivoluzione politica, culturale e sociale. Il grande influsso che ebbe su giovani e intellettuali, fascisti e antifascisti, gli valse la duplice accusa di antifascismo da parte dei fascisti e di opportunismo da parte degli oppositori. In realtà era un uomo lacerato fra la necessità del compromesso e la fedeltà a un’idea. Seppe riscattare i propri errori con la decisiva partecipazione all’ordine del giorno Grandi, che provocò il crollo del regime, e li volle espiare combattendo contro i tedeschi nella Legione straniera. Bottai appare ormai come una figura centrale del Ventennio, e oltre. Il saggio di Giordano Bruno Guerri – liberandolo dai luoghi comuni – ce lo restituisce intero, come uomo, politico e grande organizzatore di cultura.
Vittorio mi ha trovato un po' inquieta, e ha deciso di sposarmi. Un matrimonio da attori. Sarò breve. A Ventimiglia, una grande chiesa un po' triste. Il prete chiede, forse presagendo qualcosa: «Avete gli anelli?». Io giro furtivamente un anellino d'oro con brillante e Vittorio va nella merceria di fronte a comprarne uno da tenda. La conclusione comica è stata di mia madre.
«Mamma, allora ci siamo sposati».
E lei: «Sei sicura che sia valido?»
Franca Valeri, Bugiarda no, reticente
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L'attrice e drammaturga milanese ci sta raccontando una vicenda artistica e umana oggettivamente straordinaria (la sua), ma lo fa con un tono fieramente dimesso, defilato. Quasi che il primo destinatario di queste pagine non sia un lettore da impressionare coi fuochi d'artificio, ma il cane Roro IV, compagno di chiacchiere notturne.
Il libro, d'altronde, si presenta come una «veglia dei ricordi» che si dipana notte dopo notte. E i ricordi, come noto, arrivano quando vogliono loro e al modo in cui vogliono loro. Senza seguire nessuna scansione cronologica e tantomeno nessuna gerarchia. Dunque, tutto si gioca sul fronte della scrittura, e la Valeri, si sa, è dotata di una penna sopraffina. Capace di scoperchiare interi mondo con un solo capoverso. (...)
La secchezza è la cifra principale di una prosa fratta, baluginante, capace di inframezzare l'andirivieni narrativo con una scarica ininterrotta di pensieri paradossali e vigorosi, lasciati cadere in ogni direzione e con assoluta nonchalance.
Franco Marcoaldi, la Repubblica
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Le deliziose memorie autobiografiche di Franca Valeri - abilmente sceneggiate come piccole pièces teatrali - ci rimandano valanghe di ricordi pubblici e privati, generazionali e coetanei.
Alberto Arbasino, la Repubblica
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Il debutto in Francia, l'infanzia in famiglia, le leggi razziali, la guerra, le serate alla Scala da bambina, i due matrimoni, sei cani e due gatti, il mestiere di attrice, il trasferimento da Roma a Milano, il talento, il destino e l'invenzione dei personaggi più celebri - la Signorina Snob, nata come imitazione delle signore bene di Milano, «a beneficio di un pubblico di amici, anche quello sostanzialmente bene», la Cesira, linguacciuta manicure, e la Cecioni, sarta della Roma popolare
«Mi ribello all'affermazione corrente che sia un dono di natura. La comicità è un lavoro di cervello»: memorie sintetiche e condensate, la vita di una straordinaria interprete del teatro italiano, ma anche una grande lezione di stile e il ritratto di un'intera generazione di donne. Franca Valeri si racconta in un'autobiografia ironica, spiazzante e concentrata, senza compiacimenti, seguendo il filo di una tagliente leggerezza, perchè «a un certo punto non ho avuto più paura di essere banale, così tutte le domande che non mi sono fatta agli inizi della mia carriera me le faccio adesso. Perchè parlo da sola (altra conquista: sono sola), perchè ho materiale, perchè in fondo non è vero che tirare le somme è un brutto segno. Avere una vita a disposizione è anche un divertimento».
Franca Valeri tornerà sul palcoscenico a partire dal 23 gennaio con il suo nuovo testo, la commedia Non tutto è risolto, in scena al Teatro Valle di Roma.
Allen Ginsberg. Ginsberg che nasce, Ginsberg che cresce, che studia, che scrive. Ginsberg che urla. Ginsberg che viaggia, che ama, che soffre. Ginsberg e l'America, il Messico, l'India. Ginsberg che lotta. Per la libertà, per i diritti, per l'uguaglianza. Ginsberg che incontra, alla Columbia University, Kerouac e Burroughs. Ginsberg e il buddismo tibetano, Ginsberg e l'amore per Peter Orlovsky, Ginsberg e le droghe. Ginsberg cittadino del mondo, Ginsberg eroe, Ginsberg poeta. Mille i Ginsberg in questo "Io celebro me stesso", la vita quasi privata dell'uomo più coraggioso d'America.
Si chiama Nicola Legrottaglie ed è nato a Gioia del Colle nel 1976. È difensore titolare in una delle squadre più blasonate della serie A, la Juventus, ma a chi oggi gli domanda: «Chi sei?», risponde senza indugio: «Sono fratello Nicola, ho incontrato Gesù, leggo la Bibbia».
Come calciatore, ha raggiunto l’apice della carriera nel 2003, quando è stato acquistato dalla società bianconera. Al trionfo in campo si è subito accompagnato il successo mondano, condito da larga fama, belle donne e tanti soldi. Tanto da diventare presto il “fighettino” con le mèches bionde e la fama di tiratardi. Fino a quando un incontro gli cambia la vita: quello con Gesù, che gli fa riscoprire la gioia di credere, di pregare e di vivere rispettando i comandamenti. La sua conversione diventa materia di gossip su tutti i giornali. Ma Nicola non si cura delle voci e delle maldicenze, poiché deve mantenere una promessa fatta da bambino: aveva detto a Dio che, se lo avesse fatto arrivare in serie A, gli avrebbe reso testimonianza. È quello che ha deciso di fare raccontando in questo libro tutta la sua storia.
Una biografia di Giordano Bruno e al tempo stesso un romanzo sulla vita, sul rapporto intrattenuto con i grandi personaggi dell’epoca, sulla visione cosmica di un uomo instancabilmente in lotta contro ignoranza, bigottismo e ipocrisia.
“Troppe volte Bruno sembra vivere ineluttabilmente con la scardinante dedica dell’Oscuro ‘ai vaganti di notte, ai maghi, ai posseduti da Dioniso, alle menadi, agli iniziati’ (Eraclito 14, A 59, trad. Giorgio Colli). Un empito dionisiaco avviluppante il Dio in una danza a spirale che sfonda secoli inutilmente pesanti solo per gli umani. Perché la forza del Nolano è racchiusa in un perenne vaticinio donativo. Circolarità senza fine, Sphairos consustanziale con Afrodite iperuranica. Per questo è contemporaneo di Hermes, il donatore agli umani, e quindi con Spalle Larghe (Platone), Porfirio e Giamblico lo scrutatore degli Egizi e poi a Giuliano l’Apostata e ‘all’altro’ Giuliano il Kremmerz degli anni nostri. Ma i filamenti luminosi de ‘gli eroici furori’ hanno troppo scandagliato Anima sempre eterna per non parlare continuamente a quell’Amore che ‘ratto s’apprende’ ai ‘Cor’. Così il Nolano adepto ai sacri misteri di Orfeo continua il suo canto donativo in nome di quella ‘necessaria Follia’ che rende qualsiasi suo lettore un processionario nelle file dei seguaci dei Maghi, in nome del divino ardore che nessun rogo potrà mai cancellare. Ecco perché tutti noi siamo fermi al 17 febbraio del 1600. Per ricordare come su ogni creatura e cosa domini ‘la Folgore’. Ovvero l’abisso radioso che si apre dal Bacio degli Amanti.”
Gabriele La Porta
Il volume è il risultato degli studi compiuti sull'archivio personale di Giulio Andreotti. Il libro è diviso idealmente in due parti. Nella prima si affrontano diversi aspetti del carattere del senatore e della sua filosofia di vita: dalla Gioventù democristiana ai rapporti con la sinistra, alle posizioni sulla questione monarchica, del petrolio e del nucleare. Nella seconda parte ampio spazio è dedicato alla politica estera e ai rapporti con la Russia, l'Est e il mondo arabo, ai governi Andreotti e alla difficile Democrazia degli anni Settanta, ai suoi rapporti con il mondo cattolico e il Vaticano.
Il libro a più autori, reca anche un lungo pezzo inedito di Ivan Della Mea. Un libro che è anzitutto espressione di affetto per un uomo che con le sue canzoni, i suoi scritti e la sua presenza è riuscito ad interrogare e far comunicare tra loro mondi diversi che, nella triste Italia di questi anni, a malapena considerano l’esistenza l’uno dell’altro.
"Un libro controcorrente... la brillante monografia su Cavour finisce per tradursi in un appassionato elogio della politica" (Simonetta Fiori)
Il primo miracolo italiano è stata l'Italia stessa e Cavour ne fu il geniale regista. Uomo di cultura economica, politica, amministrativa, e non letteraria, era il più europeo degli italiani del tempo e il meno italiano degli uomini del Risorgimento: e questa fu la sua carta vincente. L'Italia nacque infatti da una volontà di allineamento al progresso europeo. "Virtuoso" e "fortunato" come un eroe machiavelliano, Cavour fu un politico autentico, un grande alchimista di quell'arte che tenta di estrarre l'oro da una combinazione di metalli vili.
Luciano Cafagna, già professore di Storia contemporanea nell'Università di Pisa, è stato commissario dell'Autorità garante per il mercato e la concorrenza.
Corsaro per l'indipendenza, generale per la libertà, difensore della Repubblica romana, combattente della guerra d'indipendenza, liberatore del Regno delle due Sicilie, capo delle spedizioni per strappare Roma al governo del pontefice, soccorritore della Repubblica francese e poi deputato, agricoltore e simpatizzante per le prime lotte d'emancipazione dei lavoratori. Per mare e per terra, le imprese dell'eroe dei due mondi, un mito che sembra legare gli italiani nel tempo.
«Se possiamo sentirci solidali gli uni agli altri e amici di tutti gli abitanti del mondo; se possiamo riconoscere nel nostro vicino noi stessi, e per questo essergliene grati, lo dobbiamo a uomini che, come Giuseppe Garibaldi, hanno onorato la loro patria e, con essa, l'intera umanità.»
Questo libro racconta la storia di una donna siciliana che con la mafia ha fatto i conti denunciandola, nella paura di nuovi attentati e nel ricordo delle violenze subite.
Michela: donna fiera e libera. Ma a caro prezzo.
L’Italia delle riforme, l’Italia delle contraddizioni, l’Italia del degrado. L’Italia della politica senza valori e senza ideali. L’Italia in crisi nera. L’Italia che Carlo Azeglio Ciampi non sognava. Lui che, da ragazzo e poi da Presidente, sognava l’Italia del Risorgimento, l’Italia della Resistenza, l’Italia delle università e dei saperi. L’Italia di Dante e Petrarca. In questo colloquio con Alberto Orioli, Carlo Azeglio Ciampi costruisce un taccuino laico per i centocinquant’anni del paese; un taccuino fitto di riflessioni sul passato e sul presente, dalla nascita della nazione all’avvento dell’euro fino a oggi. Oggi che il Presidente osserva il suo paese. Un paese che Carlo Azeglio Ciampi non immaginava così. Un paese diverso, un paese che non sognava.