
Dio perdona sempre, l'uomo qualche volta, la natura mai. Questo noto proverbio racchiude ciò che possiamo chiamare una metafisica del perdono, nella quale si possono distinguere tre tipi di essere: l'essere infinito di Dio che è sorgente di ogni perdono, l'essere finito dell'uomo, che è capace di perdonare perché dotato di libertà, e l'essere altrettanto finito della natura, incapace di perdonare perché obbedisce soltanto a leggi fisiche o psichiche. Nel perdono umano vi è la compresenza di tutti e tre: la natura come causa dei processi psichici che devono essere superati (la vendetta o il rimorso), l'uomo come soggetto che offende o che viene offeso e, soprattutto, Dio quale origine e fine ultimo del perdono. Ma è l'esistenza stessa di una relazione fra l'offensore e l'offeso inficiata dal male a suggerire la necessità di elaborare un'Antropologia del perdono. Essa poggia sue due tesi. La prima verte sulla necessità del perdono sia da parte dell'offensore sia da parte della vittima, poiché senza perdono non è possibile il pentimento ma solo la colpevolezza, il rimorso e la disperazione; viceversa, senza pentimento non vi è nessun vero perdono ma solo l'oblio dell'offesa, della colpa... o la pura indifferenza. La seconda tesi è ancora più forte: oltre ad essere una necessità per l'offensore e per l'offeso, il perdono è un dovere perché soltanto esso è capace di trasformare una relazione corrotta dal male (e perfino di rigenerarla), che altrimenti si cristallizzerebbe nella paura, nel rancore o nell'odio, ossia in una totale sfiducia in sé e nell'altro. Il perdono è dunque un bene relazionale.
Il rinnovamento dell’ecclesiologia, avvenuto durante la prima metà del XX secolo, deve molto all’apporto offerto dal movimento liturgico, e questo per due motivi principali: il risvolto pastorale della liturgia e una rinnovata visione della Chiesa portata alla luce dalla riflessione dei primi teologi della liturgia, assieme ai movimenti di ritorno alle fonti e ai vari fermenti all’interno del pensiero e della vita ecclesiale. Questo volume si occupa proprio di questo prezioso contributo della liturgia al rinnovamento ecclesiologico, che spesso non è debitamente riconosciuto. Accanto a una presentazione del contesto storico, teologico ed ecclesiale, si analizzeranno i contributi di alcuni illustri rappresentanti del movimento liturgico alla rivitalizzazione dell’ecclesiologia. Pilar Río è docente di Ecclesiologia e Sacramenti presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce. È Professore Visitante presso l’Università di Los Andes (Santiago del Cile) e membro della Pontificia Accademia di Teologia. Tra le sue pubblicazioni, ricordiamo: Teología nupcial del Misterio redentor de Cristo. Estudio en la obra de Odo Casel (2000), Los fieles laicos, Iglesia en la entraña del mundo. Reflexión teológica sobre la identidad de los laicos en un tiempo de nueva evangelización (2015), e altri contributi ecclesiologici in opere collettive, come Dono e compito. La Chiesa nel Simbolo della fede, nonché in riviste specializzate.
Nel vangelo di Giovanni, Gesù parla di se stesso in primis come «l'inviato del Padre», ed è in questa veste che Egli, rivolgendosi al Padre, affida agli apostoli la loro missione, la quale continuerà poi nei vescovi, loro successori, coadiuvati dai presbiteri: «Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo» (Gv 17,18). L'inviato svolge la sua funzione non come qualcosa di proprio, ma come ricevuta, e solo nella fedeltà al mandato ricevuto troverà efficacia reale il suo ministero. Si tratta, infatti, di un dono concesso non a beneficio proprio, ma degli altri, e perciò la dimensione di servizio segna in modo essenziale la funzione sacerdotale. Più che svolgere il suo ruolo "con spirito di servizio", il sacerdote deve "realizzare un servizio". L'invio e il servizio si trovano dunque non solo fra loro intrinsecamente collegati, ma affondano le loro radici nel sacramento ricevuto. Consacrazione, ministero e spiritualità s'intrecciano così saldamente, da non poter essere né pensati né vissuti separatamente.
La sofferenza appartiene a quelle esperienze fondamentali che definiscono la qualità della condizione umana. Indagando sulle diverse obiezioni poste dal soffrire, quest'opera raccoglie i frutti di una figura contemporanea ancora inesplorata, quella del Beato Luigi Novarese (1914-1984). Con le sue intuizioni pastorali e con l'opera da lui fondata (Centro Volontari della Sofferenza) egli ha percorso l'itinerario centrale nella riflessione antropologica e teologica, approfondendo la questione del soffrire che appare, nell'attuale riflessione teologica, tanto urgente quanto complessa. Si tratta della inscindibile relazione esistente nella persona sofferente tra la sua vita di fede ed il suo agire morale.
Il volume offre, a studiosi e a cultori di cristologia, uno sguardo attento e ben documentato sul dibattito contemporaneo su Gesu, affrontando in principal modo la questione dell'identita messianica di Gesu. L'Autore analizza, con uno stile chiaro e scorrevole, una delle questioni centrali della cristologia, ossia l'identita messianica di Gesu. L'argomento viene sviluppato a partire dalla tradizione neotestamentaria, soprattutto dai vangeli di Marco, Matteo e Luca, e offre nuovi impulsi al dibattico contemporaneo su Gesu.
La questione dei rapporti tra il mito cosmico e il Cristo metacosmico è decisiva per la comprensione della storia della salvezza.
Illuminati dalla narrazione biblica, guidati dal magistero ecclesiale e con l'apporto del dibattito contemporaneo, diventa possibile parlare di Dio che vive, a modo suo, la sofferenza umana, e che fa diventare la propria Chiesa ripensata alla luce del Vaticano II - una comunità che è sacramento della compassione divina, 'luogo' di solidarietà, di giustizia, di liberazione e di esperienza viva del Dio compassione, popolo della condivisione del dolore e della vicinanza agli ultimi.
Questo trattato di Zarmati costituisce un felice tentativo di sintesi tra i dati in continuo sviluppo delle scienze della natura fisica (biologia, zoologia, psicologia, antropologia) e le risultanze più certe delle ricerche filosofiche sulla natura metafisica dei viventi in rapporto con il proprio ambiente.
Vengono così a essere evidenziati e fondati i principi primi dell’etica, sia in relazione con i problemi della bioetica (aborto, eutanasia, manipolazioni genetiche) che in relazione con i problemi suscitati oggi dalla sensibilità ecologica (strategie globali dell’economia politica, uso e della condivisione delle risorse materiali, tutela dell’ambiente).
Al centro di tutta la trattazione di Zarmati sta la precisa individuazione dei valori fondamentali della vita umana in quanto vita propriamente spirituale (intellettiva), che include e trascende la vita meramente vegetativa e quella sensitiva. L’Autore non manca di segnalare opportunamente il ruolo non secondario che nell’insieme della vita spirituale svolgono le attività politiche, religiose e artistiche, tra le quali la poesia in tutte le sue forme, colte o popolari.
Il dibattito teologico contemporaneo, eccezion fatta per chi coltiva la ricerca e frequenta le fonti, è sostenuto in massima parte dal richiamo al Concilio Ecumenico Vaticano II. È quasi sempre un richiamo materiale, fin al limite della pura e semplice ripetizione. Ultimamente, però, sta svegliandosi un timido senso critico, che potrebbe essere d'aiuto a chi intende uscire dal ripetitivo e dal generico. Un primo risultato positivo è il diffondersi dell'appello alla tradizione. Ma di tradizione si parla troppo spesso in termini non univoci. L'autore, pertanto, si propone di orientare il dibattito verso un concetto di tradizione sul quale possano pacificamente incontrarsi quanti, anche seguendo percorsi teologici diversi dal suo, hanno a cuore la verità rivelata ed il suo impatto con la storia.
Nel panorama degli studi paolini manca una trattazione globale della categoria della figliolanza in Paolo. Presente in ognuna delle lettere autentiche dell'Apostolo, essa è trattata su tre livelli: il primo concerne il Figlio di Dio, Gesù Cristo; il secondo, i credenti in lui e gli Israeliti; il terzo, il rapporto tra l'Apostolo e i destinatari delle sue lettere, insieme ai collaboratori più stretti. Analizzando le diverse applicazioni del vocabolario della figliolanza, emerge come sia possibile prospettare un itinerario argomentativo e teologico tra le diverse lettere: rispetto al resto del Nuovo Testamento, Paolo approfondisce la tematica della figliolanza divina dei credenti, legandola saldamente a quella del Figlio, motivandola a partire dal dono dello Spirito e aprendola in chiave escatologica alla risurrezione finale dai morti. Così l'Apostolo si serve di questa categoria per indicare la salvezza mediante Cristo dei credenti, per manifestare la prima e positiva conseguenza della giustificazione dalla fede e per raffigurare la chiesa come comunità dei figli e delle figlie di Dio.
Amore, amicizia, denaro, lavoro, scelte di vita, gioia e dolore. La Guida del gesuita... a quasi tutto è un manuale di spiritualità che parla di (quasi) tutto e si ispira alla vita e all’opera di sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù. Centrato attorno al concetto ignaziano di “cercare Dio in ogni cosa”, ci parla di preghiera e quotidiani momenti di vita con una serietà mista al senso dell’humour tipico di questo autore, amatissimo in America e nel mondo gesuitico, papa Francesco compreso. Ricco di esempi, di storie umoristiche, di aneddoti tratti dalle vite dei santi, si inserisce nel novero dei grandi libri di spiritualità che parlano alle donne e agli uomini di oggi. Un volume che insegna, a chi avrà la fortuna di leggerlo, “come si cerca Dio nelle cose e nelle persone che circondano la nostra vita” ma soprattutto come “Dio cerca noi” attraverso ogni cosa che ci accade.

