
Il 16 ottobre 1978 fu eletto Giovanni Paolo II. Per la prima volta dopo 455 anni, a guidare la Chiesa cattolica non era un italiano. Rilevante per la storia del cristianesimo, il fatto assumeva valenze geopolitiche per l'origine del nuovo papa: Karol Wojtyla veniva infatti dalla Polonia, fulcro dell'impero sovietico in Europa orientale. In un contesto internazionale caratterizzato dal riacutizzarsi della guerra fredda, l'elezione del papa polacco impresse una svolta decisiva ai rapporti tra i blocchi e il suo paese divenne il crocevia di uno dei cambiamenti più vasti e radicali della storia del Novecento: la fine del comunismo. Dall'elezione di Giovanni Paolo II alla nascita di Solidarnosc, fino alla Tavola rotonda e alle elezioni del 1989, il cui risultato sorprendente diede vita al primo governo non comunista in Europa dell'Est, l'autore ricostruisce i passaggi decisivi di un decennio di storia grazie a una documentazione largamente inedita, frutto di ricerche negli archivi polacchi e di numerose interviste ai protagonisti di quegli anni. "Una rivoluzione senza sangue rappresenta davvero una conclusione positiva per un Novecento tanto insanguinato dalle sue guerre e rivoluzioni. [...] La storia è piena di sorprese - osservava papa Wojtyla. Tra queste non va dimenticata la 'capitolazione docile' dell'URSS all'evoluzione polacca, impensabile fino a poco prima..." (Dalla prefazione di Andrea Riccardi)
Di Leopoldina Naudet (Firenze 1773 - Verona 1834), fondatrice delle Sorelle della Sacra Famiglia, poco sappiamo degli anni precedenti la sua venuta a Verona. Per questo motivo, la pubblicazione di alcune sue Conferenze, tenute alle Dilette tra il 1800 e il 1806, risultano particolarmente significative, perché offrono indicazioni preziose in un periodo delicato per la comunità religiosa che si stava definendo. Le Conferenze, qui edite per la prima volta, mettono in evidenza una Naudet amabile e sensibile oratrice, che svolge un importante ruolo di direzione spirituale per esortare, correggere e animare le sorelle della comunità, facendole camminare nelle vie della virtù. Nelle parole di Leopoldina confluiscono la spiritualità carmelitana di Teresa d'Avila, che educa nella disciplina dell'orazione, la teologia della soavità, espressa da Francesco di Sales e da Giovanna Francesca de Chantal, che conduce per le vie della carità accogliente, la corrente francescana, che indirizza verso la sequela Christi all'insegna della semplicità e il modello ignaziano, che apre le porte dell'apostolato. Ma in queste Conferenze emergono anche elementi nuovi che anticipano le delicate caratteristiche della spiritualità delle Sorelle della Sacra Famiglia, che sono chiamate a seguire con semplicità Gesù, maestro misericordioso di umiltà e di pazienza, vivendo nella trasparenza di vita che, sostenuta dalla preghiera e dall'amore dei gesti quotidiani, si oppone all'ambiguità delle parole, all'ipocrisia...
Il volume va alla ricerca dell'origine della spiritualità chiaravallense, che ha lasciato un'impronta profonda e incancellabile nella vita della Chiesa, nella sua sensibilità e nei suoi gusti, nelle sue lettere e nella sua arte. Al principio troviamo la Sacra Scrittura, che offre a Bernardo di Clairvaux i principi e le risorse del suo pensiero, della sua predicazione e, prim'ancora, della sua esperienza. E, infatti, la dottrina dell'"ultimo dei Padri", proviene dall'intimo e inesausto contatto personale con la Parola di Dio, ritrovata nel corso e ricorso della Liturgia. Egli è "Dottore mellifluo", poiché dalla "spremitura" di tale Parola si distilla e fluisce il sapere del quale viene alimentata senza sosta la Chiesa. Non mancano certo in lui la considerazione e la stima dell'aspetto intellettivo del mistero di Cristo, a cui è ininterrottamente volto il suo sguardo appassionato; ma egli mira a comprendere per amare, a illuminare per ardere, preoccupato a che la "filosofia" e la dialettica incontinente non stemperino il mistero e quindi disciolgano la cristologia. Ed esattamente nei confini della cristologia egli trova l'antropologia, in intima connessione e implicazione. La sua teologia la sua immagine di Dio - sale e si dispiega nella realtà della vita, della morte e della risurrezione di Cristo, il quale può essere definito l'epifania di Dio e la parabola dell'uomo.
Il caso Louis Duchesne è uno spaccato sulla storia della censura e sul nascere del cosiddetto "modernismo". Nato in Bretagna nel 1843, Duchesne intraprese una folgorante carriera scientifica tra l'Institut catholique di Parigi e l'École française di Roma, conclusasi bruscamente trent'anni dopo con la messa all'Indice della sua opera maggiore - una monumentale, tripartita Histoire ancienne de l'Église. Seguì l'immediata sottomissione al silenzio del suo autore, protrattasi fino alla morte avvenuta nel 1922. Per quale motivo Duchesne rischiò fin dai suoi esordi la messa all'Indice? Come lavorò e come riuscì a intrecciare vocazione sacerdotale e interessi di studio? Quale fu la sua attitudine fondamentale verso la religione e la ricerca storica? Vengono qui presentate la storia di un quarantennio che separa una condanna mancata da una vera, la Protesta scritta da Duchesne e mai inoltrata - riportata in Appendice - e la cronologia della vita e delle opere, tanto più certa quanto meno lo sono le ragioni profonde che la mossero. Una testimonianza della complessa genesi dell'approccio storico, critico, filologico alla materia religiosa, che si riflette sulla stessa storia del cristianesimo.
L'origine della mistica occidentale è in Grecia - dall'"Iliade" alla filosofia di Eraclito, Platone, Aristotele, Plotino - e della grande tradizione filosofica classica essa è stata l'unica erede e continuatrice, fedele al precetto dell'Apollo Delfico: "Conosci te stesso, e conoscerai te stesso e Dio". L'esperienza mistica non è infatti devozione, non si identifica con la santità e meno ancora con la vita religiosa, ma è quella via del distacco che conduce all'unità profonda dell'uomo con l'infinito, con Dio e col mondo, senza bisogno di mediazione alcuna di Chiese o Scritture. Essa è perciò innanzitutto un'esperienza di libertà, per cui non di rado è stata oggetto di condanna da parte delle autorità ecclesiastiche, dato che contiene una non celata esplosività: può esser vista come altissima pietà e compimento della religione, ma anche come sua completa distruzione e superbo ateismo. Da un lato la storia della mistica occidentale si intreccia perciò strettamente con quella della filosofia, come lo mostrano grandissimi pensatori - da Cusano a Spinoza, a Hegel. Dall'altro lato, essa innerva tutta la vicenda religiosa cristiana, che non può essere davvero compresa senza di essa.
Il libro propone una lettura parallela di due grandi questioni della storia della Chiesa alto medievale: il discorso contro gli spettacoli (II-V sec.) e la querelle tra iconoclasti e iconofili (VII-IX sec). L'intento è comprendere se al fondo delle singole argomentazioni esista una struttura di pensiero comune e condivisa, e se questa struttura possa essere intesa come una compiuta e articolata "teoria cristiana della rappresentazione". In che modo la condanna di ogni forma di spettacolo può coesistere con la strenua difesa delle icone e del loro culto? Per quali ragioni i Padri della Chiesa vietano gli idoli, ma esortano l'uomo a essere attore della propria vita? L'analisi dei concetti di dramma e di immagine, condotta sulle fonti patristiche, dimostra che l'idea cristiana di rappresentazione è segnata da un'incolmabile distanza rispetto al pensiero greco-ellenistico. Spettacolo e dramma, spettatore e sguardo, attore e azione assumono un nuovo significato; immagine, icona, relazione e somiglianza, vedere e rappresentare sono termini che rimandano a nuovi presupposti epistemologici. Fondato sul paradosso dell'incarnazione che unisce l'invisibile al visibile, il pensiero cristiano comporta una vera e propria rivoluzione della visio e dell'actio. Una rivoluzione teorica decisiva per comprendere il vasto capitolo del "teatro cristiano", fiorito nell'Europa medievale a partire dal X secolo.
L'esperienza di Dio che il mistico è portato a trasmettere non è esibizionismo, ma uscita da sé per "essere-con". Teresa di Gesù e Giovanni della Croce mistagoghi, attraverso l'attestazione e il discernimento della loro esperienza, aiutano il lettore di queste pagine ad ascoltare la propria personale esperienza per trasformarla in fonte e progetto di vita.
Il volume, a cura di Giorgio Vecchio, ordinario di storia contemporanea presso l'Università di Parma, narra la storia dell'Azione cattolica negli anni Sessanta e Settanta, nel periodo in cui si svolse il Concilio Vaticano II, e ne fa una ricostruzione a partire dalla laicità, uno dei concetti chiave emersi dalla riflessione conciliare. In particolare, i contributi di Giorgio Vecchio e Paolo Trionfini affrontano il rapporto dell'Azione cattolica con la politica, mentre Elisabetta Salvini ci parla del tormentato processo di promozione ed emancipazione delle donne nella fase di emersione del femminismo. Infine, il saggio di Andrea Villa si occupa dell'acquisizione della laicità da parte dell'associazione nel campo della scienza e della tecnologia.
Il volume è il frutto di un percorso sull'eredità che il Vaticano II ha consegnato all'Azione cattolica: grazie ai contributi teologici, pastorali e storici di studiosi e protagonisti della vita associativa, si colgono i nessi sia del contributo dell'associazione alla preparazione e alla ricezione del Concilio, sia delle implicazioni che gli insegnamenti conciliari hanno avuto rispetto al suo rinnovamento. Contributi di Matteo Truffelli, Giuseppe Dalla Torre, Piergiorgio Grassi, Vittorio De Marco, Giacomo Canobbio, Stella Morra, Salvador Pié Ninot, Marco Ivaldo, Franco Miano, Roberto Repole, Lisa Moni Bidin, Emilio Inzaurraga.
Sebbene deplorato da eminenti storici di professione, l'uso dell'aggettivo "medievale" come sinonimo di "retrogrado", "superato" o "caratterizzato dalla superstizione e dall'ignoranza" è ancora corrente. Eppure - dimostra James Hannam - senza i traguardi raggiunti dagli studiosi medievali non ci sarebbe stato né un Galileo, né un Newton, né, più in generale, la scienza moderna. Di questa, La genesi della scienza rintraccia le radici proprio nel Medioevo, sfatando molti miti duri a morire: non è vero che i medievali pensavano che la Terra fosse piatta, né che bisognò attendere Colombo per "dimostrare" che fosse sferica; nessuno è finito al rogo per le sue opinioni scientifiche; Copernico non visse nel timore di subire persecuzioni, né alcun Papa ha mai scomunicato comete o provato a bandire la dissezione umana e il numero zero. Al contrario, risalgono al Medioevo tutta una serie di sorprendenti scoperte e invenzioni in ambito scientifico e tecnologico: sia gli occhiali che gli orologi meccanici, per esempio, sono comparsi nell'Europa del secolo XIII. Nella stessa area geografica, inoltre, idee e strumenti provenienti dall'Estremo Oriente come la bussola, la polvere da sparo e la stampa furono perfezionati e utilizzati in ambiti prima di allora e altrove impensabili. Consapevole di sfidare un luogo comune, l'autore spiega come la mentalità e le istituzioni germogliate dal cristianesimo abbiano favorito, piuttosto che ostacolato, molti progressi scientifici.
"In questo nostro mondo, dove tutto è mercato e dove si sopprimono gli spazi del gratuito, la vita cristiana, ma soprattutto quella religiosa, rappresenta la rivolta del gratuito. Vivere non per accumulare, ma per donare gratuitamente, mostrando che c'è più gioia nel dare che nel ricevere: questo è il contrario dell'adattamento allo spirito del tempo."
Una parabola, quella della Compagnia di Gesù (Societas Iesu) che dal fondatore Ignazio di Loyola giunge fino a papa Bergoglio, gesuita argentino. La Compagnia ebbe un ruolo rilevante tra Cinque e Settecento: in particolare nell'istruzione delle élite europee, e nell'intensa opera missionaria di cui è simbolo la fortuna del gesuita Matteo Ricci in Cina. Soppressa nel 1773 e ricostituita nel 1814, essa rappresenta tuttora una realtà assai importante della Chiesa.