
Il "distacco dal mondo" è espressione della tradizione spirituale, ascetica, cui spesso è stata data una connotazione negativa. Bobin ne recupera in questo libretto tutta l'essenzialità vitale, liberatoria e costruttiva per l'uomo. Il distacco infatti è vera azione amorosa. "L'amore è distacco, oblio di sé. Non possiamo arrivarci con le nostre forze, perché tutte le nostre forze sono costantemente impiegate nell'ammassare il mondo alla superficie del nostro "io"."
Consumazione è un libro senza progetto fatto per accogliervi la vita, perché l'evento che ha accecato l'autore per la prima volta nella vita ritorni una seconda volta per abbagliarlo sulle pagine. "Un evento nella vita - dice Bobin - è una casa con tre porte separate: morire, amare, nascere. Non si può entrare se non varcando le tre porte simultaneamente. È impossibile, ma questo avviene". Bobin è un autore particolare che sembra indifferente a tutto ciò che appartiene all'ordine del sapere. La persona viva che ripetutamente evoca è il bambino, colui che ama, che gioca ad amare, che non deve giustificare le proprie azioni. Nessun autentico incontro può avvenire fuori dall'amore, ma nessun amore è possibile se non comincia dalla spogliazione del proprio io, dal ristabilire dentro di sé il silenzio che prelude all'accoglienza.
Nei quadri narrativi di Bobin, a colorire le sfumature dell'anima c'è solo una lucida consapevolezza e un'attesa della verità, di quella verità che accompagna ogni esistenza. All'inizio, nel primo dei racconti che s'intitola proprio "La parte mancante", si trova un passo che tacitamente segna l'intero sviluppo narrativo e in un certo senso etico di tutto il testo: "È sempre ciò che sei tu ad essere il vero". È vero ciò che si è, quando quello che si è il nucleo originario della persona - è formato dall'io e dal tu, dall'amore e dall'assenza, dal tempo che scorre e dal tempo che rifluisce, dal Dio che tace e si attende scrivendo. Questo è l'io che è sempre vero. E che è sempre mancante.
L’ottavo giorno non è un tempo, ed è tuttavia “il tempo” sempre tacitamente presente, necessario a vivere il senso di un frangente che è vita, la più fonda, la più vera. Parallelo al silenzio, contiene tutto l’ineffabile, ma insieme avvolge ogni parola, la sua anima, ogni evento, ogni passaggio. L’ottavo giorno è la fine, la consumazione, la trasfigurazione, e insieme il principio, l’origine, la bellezza e l’incanto, la pienezza e il vuoto che la fa risaltare.
«Da noi nascondiamo la faccia. Il corpo, non conta. Il corpo va nudo sotto il sole, il biondo sole che arde di giorno, che arde la notte.
Da noi infatti non c’è notte. Ciò che chiamiamo notte lo è per comodità, quando l’amore va incontro agli innamorati, quando due corpi si stringono l’uno contro l’altro come due spighe di grano sotto lo stesso vento.
Anche quando fanno la notte, gli amanti non si mostrano la faccia. Proibito. Intoccabile. Impensabile.
Nessun volto allo scoperto, mai.
I corpi, la minuziosa contemplazione dei corpi, delle pieghe di una pelle, dei fremiti di una schiena, delle luci d’una mano, sì i corpi adempiono a meraviglia quella funzione di conoscere che da voi viene attribuita alle facce.»
Il modo di riconciliarsi con il mondo è di separarsene. E l'amore è l'invincibile solo nella misura in cui è totalmente impotente davanti a ciò che lo distrugge.
Se ne va a capo scoperto. La morte, il vento, l'ingiuria: tutto riceve in faccia, senza mai rallentare il passo. Si direbbe che ciò che lo tormenta è nulla rispetto a ciò che egli spera. Che la morte è nulla più di un vento di sabbia. Che vivere è come il suo cammino: senza fine. L'uomo che cammina è quel folle che pensa che si possa assaporare una vita così abbondante da inghiottire perfino la morte.
Christian Bobin ci offre quindici racconti: ritratti di persone care (suo padre), incontri (Maria la bambina zingara, una mendicante), figure emblematiche (Soulages, Glenn Gould, Matisse, Pascal), visioni (un ramo di mimosa, una cattedrale) e una lunga lettera alla donna che ha amato e perso, «la più che viva». Tra questi racconti fanno capolino brevi paragrafi, a volte scritti a mano, che condensano un pensiero, abbagliante di profondità e umanità.
Il lettore, «sognatore dei grandi cammini» è al cuore di questo testo, tanto breve quanto denso, in cui Christian Bobin offre ancora una volta la sua trasparente meditazione sul mistero del quotidiano. Il colporteur - parola francese che nell'italiano letterario è stato reso con il termine raro di "colportore" - è il venditore ambulante, e indicava in particolare chi un tempo andava di casa in casa a offrire le Bibbie protestanti. «Bobin è soprattutto un poeta o forse, come direbbe lui stesso, un colporteur, un viandante che vorrebbe portare di casa in casa parole di sollievo per aiutare a vivere. E non sorprende se l'aggettivo più utilizzato per definire la prosa di Bobin dai suoi lettori e dai critici sia poetico; e lui stesso viene presentato come un poeta benché egli non scriva propriamente versi. Poetico è senz'altro il suo sguardo verso la vita: come un monaco o un pittore di icone, spalanca la mano per accogliere l'oro della luce del mondo e intingerlo nell'inchiostro» (M. Cavalleri).
Da Montecassino a Bose, da Camaldoli a Subiaco, dall'abazia di Noci, nella Murgia pugliese, ai contrafforti di Serra San Bruno in Calabria, da Praglia sino alla badia del Goleto, sui crinali dell'Irpinia orientale, "Hai trovato il monastero giusto?": la domanda che qualcuno di tanto in tanto mi pone mette in guardia i fraintendimenti che il mio vagar eremi e cenobi potrebbe suscitare. No, non sto cercando il monastero giusto. Vado per questa strada perché ho il sospetto che le luci nascoste che giungono da questi luoghi siano ancora capaci di offrire qualche solido orientamento. Perfino nella densa penombra calata sui giorni italiani. Busso a queste porte perché ho l'impressione che qui si impari davvero che si può cambiare il mondo, ma impresa piuttosto complicata - a patto di cominciare a cambiare se stessi, partendo dalle cose più semplici e concrete. Ad esempio, cercando di stare nel mondo prendendone nel frattempo la giusta distanza. Governando in modo diverso faccende quotidiane e basilari come il dormire e il mangiare, il desiderare e il bisogno di riconoscimenti, il silenzio con se stessi e l'incontro con gli altri. Sembrano bazzecole, ma quelli che vi si sono cimentati seriamente dicono che la sfida sia di vertiginosa difficoltà. E, soprattutto, pare duri tutta una vita.
Giorgio Boatti ha percorso per diversi mesi migliaia di chilometri, facendo tappa in monasteri famosi e in dimenticate comunità spirituali. Da Montecassino a Bose, da Serra San Bruno nel cuore della Calabria a Subiaco, da Camaldoli a Viboldone, da Finalpia a Monte Oliveta Maggiore, da Noci a Porto Maurizio sino all'isola di Barbana, dai contrafforti di Chiusi della Verna sino al Goleto, sui crinali dell'lrpinia orientale: luoghi dove ha preso corpo un viaggio diventato personalissimo resoconto. Soste, incontri, vite straordinarie, esistenze minime ma ugualmente significative: "normalisti" diventati abati, laureate in medicina che hanno dismesso il camice per la tonaca, ufficiali antiguerriglia passati al servizio della Liturgia delle ore. Dal chiedere ospitalità ai monasteri, in nome del "bussate e vi sarà aperto", è scaturita l'osservazione diretta, discreta e rispettosa della vita quotidiana che vi si svolge. Davvero si può scegliere di vivere in un'essenziale povertà? Basta questo per ridare senso alle nostre giornate? Quanto possono la quiete del cuore e la pratica del silenzio contro un immaginario sempre più frastornante e invasivo? Perché la disciplina della solitudine riesce a creare legami più autentici? Sono le esperienze concrete a fornire le risposte più esaustive: vicende di uomini e donne votati alla ricerca di Dio e alla lontananza dal mondo eppure immersi nel nostro tempo. Condividono lo smarrimento di comunità frantumate.
Biografia e antologia di scritti e riflessioni di Loris Capovilla (1915-2016) prete, vescovo e cardinale. Dal 1953 al 1958 è stato scelto come segretario particolare dal patriarca di Venezia Angelo Roncalli, che lo volle al suo fianco anche una volta eletto papa col nome di Giovanni XXIII. Dal 1988 ha vissuto a Sotto il Monte, a Camaitino, nella casa-museo di papa Giovanni, intessendo relazioni con tutto il mondo e dialogando in spirito ecumenico con personalità della chiesa cattolica, di altre chiese cristiane e altre religioni e con figure e istituzioni del mondo laico e di ogni ispirazione culturale. È stato padre e maestro, fratello e amico di intere generazioni, aperto al dialogo evangelico con tutti.