
«Non sapevo bene che cosa dirgli. Mi sentivo molto maldestro. Non sapevo bene come toccarlo, come raggiungerlo. Il paese delle lacrime è così misterioso» (Il Piccolo Principe). Elaborare un lutto significa entrare in quel «paese delle lacrime» di cui parla il Piccolo Principe, un paese così misterioso sia per chi lo attraversa per la perdita di chi amava sia per chi decide di mettersi accanto per provare a percorrerlo insieme. Chi prova ad aiutare una persona in lutto ha spesso la sensazione di essere maldestro, di non sapere cosa dire e come dirlo e soprattutto di non sapere come raggiungere il dolore dell'altro. Eppure la ferita che fa piangere non è solo una disgrazia che ci può capitare ma anche un'opportunità di crescita e di maturazione. Il ricordo della persona che non c'è più può diventare una sorta di polvere d'oro - come avviene nell'arte del kintsugi - che non solo ripara il danno causato dalla ferita della perdita ma consentirà a quella ferita di diventare preziosa, occasione per riscoprire la bellezza di qualcosa che nasce, e soprattutto il modo con cui diciamo che la morte non è l'ultima parola sulla vita. Prefazione di Parolari Enrico.
Per imparare a vivere nel concreto ogni giorno ciò che celebriamo
Il Signore Gesù si lascia toccare e coinvolgere così profondamente dalla fame dell’uomo da trasformare la parola in pane dopo che, quale Verbo eterno del Padre, si è fatto carne per abitare in mezzo a noi, per essere salvezza per noi. Spezzare insieme il pane eucaristico significa lasciare che la logica del vangelo permei tutta la vita trasformandola fino a offrirla come si fa con un pezzo di pane, con un sorso di vino, capaci di rimettere in piedi la speranza di vivere in modo umano e degno.
MichaelDavide Semeraro (Fasano 1964), monaco benedettino, ha conseguito il dottorato in teologia spirituale presso l’Università Gregoriana di Roma. Collaboratore di diverse riviste, coniuga la sua esperienza monastica con l’ascolto della realtà contemporanea.
Testo letterario dall’architettura elegante e cesellata, la Meghillath Ekhah (il rotolo delle Lamentazioni) si rivela un alfabeto della disperazione, una sillabazione dello strazio, un ululato che modula ciò che altrimenti risulterebbe inarticolabile. Per l’ebraismo, questa meghillah rinvia alla distruzione del Santuario di Gerusalemme e al doloroso esilio di Israele, perdurato per numerosi secoli. Per il cristianesimo, si tratta di rinvii simbolici, evocativi e prolettici, afferenti alla missione di Gesù di Nazaret. Nei secoli, purtroppo, queste pagine veicolarono anche, da parte cristiana, insegnamenti e comportamenti antiebraici. L’ebraismo contemporaneo, in generale, non ha fatto ricorso alle Lamentazioni per rileggere la tragedia della Shoah. A differenza di quanto narra il libro biblico in relazione a Israele, nessuna Chiesa cristiana ha sperimentato sulla propria pelle, a livello di popolo e di singoli individui, la conquista e la razzia, lo stupro, l’esilio, la diffamazione e il dileggio, l’annientamento e il genocidio, se non quelle armena e assira. In questo volumetto tre voci diverse ma con
cordi (una cristiana cattolica romana, una ebraica e una cristiana armena) riascoltano un urlo mai sopito.
Da anni, nei suoi interventi, nelle comunicazioni pastorali alla diocesi, monsignor Olivero utilizza l'immagine della vita conviviale, della tavola, del brindisi, per indicare un luogo di incontro dove anche la fede possa tornare a dirsi a tutti (ma davvero a tutti) in una maniera comprensibile ai vicini e ai lontani, a coloro che vivono la compagine ecclesiale e a coloro che la incrociano nelle loro vite spesso "ai margini- di questa stessa Chiesa. Ebbene, in questo libro il pensiero del vescovo di Pinerolo trova una sintesi in cui il sedersi a tavola si incrocia con la ricerca dell'altro che ci sta accanto e di quell'Altro così unico che è Dio stesso. Cristo ci ha insegnato nella sua vita terrena che la tavola poteva e può essere l'occasione dello scambio, dell'incontro, dell'ascolto: Derio Olivero ripercorre questo "progetto- rendendolo comprensibile per il nostro tempo. Un altro elemento è, oggi, particolarmente attuale nell'ambito dell'annuncio: quello dell'arte, portatrice "sana- di bellezza. L'uomo d'oggi è sensibile al tema della bellezza e Dio, non a caso, ci viene incontro nello splendore del suo amore: ecco dunque che tavola e bellezza diventano due alleate nel ricondurre l'uomo verso l'uomo, affinché questo incontro possa mostrare l'incontro decisivo, quello con il Dio che ci ha fatti fratelli nella fatica e nella gioia.
In questo fantastico racconto, natalizio e pasquale insieme, il protagonista, un panettiere di Betlemme, attraverso un itinerario di incontri e rivelazioni, è condotto gradualmente alla conoscenza di Gesù risorto, il Pane di Vita. L'Autore testimonia, in modo originale, "Dio Amore", che ci ha amato fino all'eccesso, immolandosi come Agnello innocente per la nostra Redenzione. La storia, infatti, che trasuda di Eucaristia, è un viaggio immaginario alla scoperta di quell'"ingrediente", capace da 2.000 anni, di trasformare l'acqua, il lievito e la farina in Corpo di Cristo. Quell'ingrediente si chiama Amore. Età di lettura: da 10 anni.
Come madre so che ciò che do alla mia bambina non è solo latte, ma me stessa, fisicamente, affettivamente e spiritualmente: in quella dolce sostanza è contenuto simbolicamente e nei fatti il mio donarmi a lei. Non posso non pensare a tutti quei momenti nei quali Maria ha stretto a sé il suo bambino alimentandolo di se stessa, in un dialogo silenzioso e innamorato. L'arte ha provato a descriverli, ma credo che chi ha allattato sappia che c'è molto di più di quanto qualsiasi artista riesca a dire... è la spiritualità dell'allattamento che Maria ci insegna, col suo tenere gli occhi fissi su Gesù, amandolo e donandosi a Lui, senza azioni eclatanti, ma con la semplice ripetitività di un gesto che dona vita. "Dormi abbracciata a me e io mi sento scoppiare il cuore. Ti tengo vicina a me giorno e notte e non potrei fare diversamente, hai lasciato il mio ventre, ma sono chiamata ancora a filtrare per te questo mondo luminoso, in modo nuovo, un modo da imparare".
Tutti cercano di essere felici. L'autore di questo libro dimostra che questa universale brama dell'uomo non è altro che la ricerca di una felicità incentrata sul principio del proprio piacere. L'autore la definisce una felicità "di plastica". La tesi centrale del libro è, al contrario, che la felicità rientra nei grandi e paradossali misteri insiti nel vangelo: chiunque vuol salvare la sua vita la perderà, affermava Gesù, ma chi perderà la sua vita per amor mio e dell'evangelo, la salverà. Non troviamo la felicità quando cerchiamo di soddisfare i nostri desideri ma quando, incuranti di noi stessi, smettiamo di ricercarla e ci doniamo agli altri. Riceviamo quando doniamo, siamo felici quando viviamo per Dio e non per noi stessi.
Il processo del discernimento è mosso dal desiderio di trovare la «verità di sé»: l'uomo è immagine e somiglianza del Padre. Tale condizione è sì un dono ricevuto ma anche una missione da realizzare. Ciascuno la porta a compimento in modo creativo e originale. Il viaggio può avere inizio solo a partire dal «luogo» in cui ognuno si trova esistenzialmente nel suo «qui e ora». Ogni uomo deve percorrere il proprio personale cammino, con la sua storia, il suo passo, i suoi tempi. Tutti gli uomini hanno impressa dentro di sé l'immagine di Dio, ma ognuno gli somiglierà in modo diverso in base al proprio percorso di vita. Prefazione di Sabino Chialà.
Il volume mostra come il silenzio rappresenti, innanzi tutto, un potente strumento di relazione sociale tra i membri di una comunità monastica, che ritrova il momento dell'unione attorno alla tavola eucaristica e a quella del refettorio; ma rivela anche che questa forma di vita suscita sempre più curiosità nella società di oggi, dove il turismo esperienziale è in continuo aumento. Il testo si compone di tre parti, complementari tra di loro. La prima conduce il lettore in un viaggio storico all'interno della sociologia dell'alimentazione monastica. La seconda presenta i risultati di una ricerca compiuta nel monastero certosino di Serra San Bruno (vv) assieme ad alcune interviste ai priori di vari ordini monastici. Infine, nella terza si riportano le interviste qualitative realizzate in occasione delle cene del silenzio organizzate dalle clarisse eremite di Fara in Sabina. Il percorso di riflessione proposto vuole tenere insieme i due aspetti analitici attraverso cui studiare il silenzio nei suoi risvolti sociologici: sia come modello relazionale, che ha origini specifiche nel mondo monastico, sia come genere di discorso in cui rintracciare nuove forme di ricerca della propria identità all'interno dell'iperconnesso mondo contemporaneo.
Questo libro è pensato per chi ha già fatto un pellegrinaggio e vuole adesso capirlo.
Ma è un libro molto utile anche per chi sta preparando un pellegrinaggio. E parlerà tutti quelli che si sentono profondamente pellegrini in questa vita.
L'autore intreccia storia, antropologia e teologia per presentare un fenomeno che dal Neolitico al Giubileo del 2025 "dice l'uomo all'uomo".
Medico e filosofo tedesco, di famiglia protestante ma passato al cattolicesimo e diventato prete, Johannes Scheffler (1624-1677), che assunse lo pseudonimo di Angelus Silesius (angelo della Slesia), è stato giustamente definito "versificatore di Eckhart", ma il suo "Pellegrino cherubico" è in realtà una sintesi completa della tradizione mistica occidentale. Esso fonde mirabilmente la riflessione di origine classica, soprattutto neoplatonica, filtrata attraverso i mistici medievali tedeschi, con i motivi più profondi della pietà cristiana. Il versante speculativo del libro è stato altamente stimato da pensatori quali Hegel e Schopenhauer, e la sua profondità psicologica ha causato l'ammirazione di psicoanalisti come Lacan. Il "Pellegrino cherubico" non è però un'opera facile: i suoi distici racchiudono spesso, nel breve spazio di due versi, concetti tra i più elevati del misticismo. La versione qui presentata, con l'accuratezza della traduzione e la ricchezza della introduzione e delle note, permette al lettore la comprensione e il godimento di questo capolavoro della poesia tedesca e di quella spirituale di tutti i tempi.