
A CURA DI C. RIGGI
Viene pubblicato la traduzione integrale dell'Autobiografia del Nazianzieno, scritta originariamente in versi, e con essa un'opera in prosa, La fuga, un'orazione sul sacerdozio.
Un lavoro quanto mai ricco e vivo sul piano spirituale, nonche attuale e impegnato sotto il profilo pastorale ed ecclesiologico.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
1. Sull'attribuzione della Vita Fulgentii
Nessuno dei manoscritti', che tramandano la Vita Fulgentii, rivela il nome dell'autore; né i primi editori dell'opera — o di sue crestomazie — si preoccuparono di attribuirgliene uno, benché avvertissero che esso andava cercato tra i discepoli di Fulgenzio.
Il nome di Ferrando venne alla ribalta nel 1649 con il gesuita P. F. Chifflet. Egli pubblicò la Vita Fulgentii tra le opere del diacono di Cartagine e ne sostenne la paternità sulla base di due argomentazioni fondamentali: a. tanto Ferrando quanto l'autore della biografia si professano discepoli di Fulgenzio; b. la Vita Fulgentii tace sul carteggio intercorso tra Fulgenzio e Ferrando: segno evidente, sostiene il Chifflet, che questo silenzio vada attribuito alla modestia di Ferrando, che se a scrivere l'opera fosse stato un altro non si capirebbe perché avrebbe omesso di darne notizia, come fa per altre epistulae scritte o ricevute dal vescovo di Ruspe. Lo studioso non manca, infine, di accennare a generiche somiglianze di lingua e di stile.
La tesi del Chifflet venne contestata da coloro, cui il contenuto dell'opera sembrò rivelare la presenza costante dell'autore accanto al suo magister — e pensarono segnatamente alle vicende legate alla relegazione in Sardegna e a quelle dell'ultimo periodo di vita, a Ruspe —: ciò non dovrebbe potersi dire di Ferrando. Ma riscosse anche molti consensi. In particolare, G. G. Lapeyre la sostenne nel 1929 con una serie di argomentazioni, che a molti sono sembrate se non assolutamente cogenti, quanto meno assai plausibili.
A nostro avviso, le argomentazioni dello studioso francese prestano il fianco a numerose considerazioni di segno contrario. Non possiamo entrare sistematicamente nel merito di tutta la questione; ci sia tuttavia consentito di segnalare il passo dell'epist. dogmatica contro gli ariani e altri eretici, nel quale Ferrando annunciava al suo corrispondente, Eugippio, che era in preparazione una Vita di Fulgenzio: vita... eius si de-scripta fideliter fuerit, satis magna praebebit imitari cupientibus exempla virtutum. Sed hoc ora, domine Frater, ut Deus... hoc fieri sinat: et cum factum fuerit, mei erit officii exemplaria veriora dirigere.
Il Lapeyre vi colse « une forte présomption » in favore della sua tesi, senza però affermare espressamente che Ferrando si designi autore della Vita Fulgentii. Per parte nostra, osservato preliminarmente che nella medesima lunga lettera Ferrando, quando parla di se stesso, non fa mai uso di forme indeterminate, mentre di norma ricorre alla prima persona singolare, per professare modestia, o al pluralis maiestatis, nelle altre circostanze, vorremmo evidenziare soprattutto lo scarto improvviso e contestuale tra l'indeterminato ora... ut Deus... hoc fieri sinat e il puntuale mei erit officii exemplaria veriora dirigere: questo rimarca un impegno personale di Ferrando ed è in netta contrapposizione rispetto all'enunciato precedente, dal quale sembra prendere le distanze.
Nella riflessione teoretica sul mistero della Trinità, il contributo di Agostino, attraverso il suo De Trinitate, riveste un ruolo per tanti versi centrale. Si tratta di un'opera che, ieri come oggi, si trova al crocevia delle strade che conducono dalla rivelazione trinitaria alla sua intelligenza e dall'intelligenza al suo incontro col mistero della Trinità. Tanto che è stato definito, in una visione ampia che abbraccia l'intero sviluppo del pensiero filosofico, il Grundtext del pensiero occidentale. Bisogna riconoscere infatti che Agostino ha disegnato nell'ambito della teologia trinitaria la scacchiera quasi esaustiva per tutte le grandi opzioni del “gioco” trinitario. Ma - si chiede l'Autore - questo è vero solo, e indubitabilmente, per il passato o lo è anche, presumibilmente, per il presente e il futuro della teologia trinitaria? È partendo da questo interrogativo che Piero Coda rilegge il De Trinitate, nel tentativo di individuare le ragioni profonde del vasto e significativo influsso esercitato da quest'opera nella storia della dottrina trinitaria e insieme i motivi d'incisiva attualità per una ripresa e uno sviluppo delle sue più feconde linee ispiratrici.
Il tema della pace in uno dei pensatori piu' letti e studiati di tutti i tempi: Tommaso d'Aquino.
Un testo per cogliere la ricchezza di una figura straordinaria della Chiesa: Santa Caterina da Siena.
Poeta di alti voli ed artista straordinariamente dotato, Giovanni della Croce non fu, né pretese di essere, uno scrittore di professione. Quando impugnò la penna usò tutto il suo talento e tutte le sue capacità per poter raggiungere i lettori e guidarli nel cammino di fede. Tra le sue composizioni poetiche, il Cantico spirituale tratta dell'amore tra l'anima e Cristo suo Sposo. Si tratta di un denso e concentrato testo di 40 strofe, che san Giovanni compose in gran parte durante la sua prigionia di Toledo, accompagnato da un commento che non procede per sviluppi logici e sistematici, ma che racconta le esperienze mistiche degli stati contemplativi infusi (donati da Dio), in particolare del fidanzamento e del matrimonio spirituale. Un testo poetico di grande fascino anche dal punto di vista linguistico: Giovanni della Croce tenta di "avventarsi contro i limiti del linguaggio" utilizzando le aree figurali della metafora e della contraddizione. Il Curatore presenta qui una nuova traduzione italiana che si propone di restituire la ricchezza poetica e spirituale del testo.
Con il nome di Sibilla si indicava nel mondo antico, greco e romano, pagano e cristiano, fino al Medioevo, una tipologia di profetessa invasata che per volere del dio ed in preda alla possessione divina annunciava "tristi cose". Nel passaggio dal mondo pagano a quello cristiano, le profezie della Sibilla mutano di contenuto: la Sibilla continua a profetare poiché posseduta da un Dio (ora non più Apollo, ma Jahwé); i suoi oracoli sono sempre espressi in esametri e contengono l'annuncio di catastrofi che colpiranno l'umanità che ha tradito il volere divino, ma il suo è soprattutto l'invito alla conversione, poiché solo chi si affida alla “grazia” di Dio otterrà la salvezza. La presente raccolta degli Oracula Sybillina - 4230 esametri greci divisi in 12 libri - è il risultato di epoche differenti: i primi otto libri costituiscono la sezione più antica e furono probabilmente riuniti nel VI secolo da un "sibillista" senza rispettare alcun criterio filologico o cronologico. Il secondo gruppo di libri è di carattere prevalentemente storico: presenta un congruo numero di notizie storiche e/o frutto di creazione letteraria, relative al passato biblico e alla storia dei popoli e dei regn
All'interno della vastissima produzione di Giovanni Crisostomo, le tre omelie De Davide et Saule - con ogni probabilità pronunciate e messe per iscritto nella Pasqua del 387 - costituiscono un ciclo di predicazioni i cui temi centrali sono l'ira, che spinge a cercare vendetta sul proprio nemico, e le virtù ad essa contrapposte, cioè la pazienza, la mitezza e la benignità, che muovono, invece, al perdono. La vicenda biblica che nelle omelie viene commentata è la storia di Davide e Saul: nel Primo libro di Samuele Saul, pur avendo ricevuto da Davide numerosi benefici, tenta più volte di ucciderlo, laddove l'altro, trovandosi a sua volta nella condizione di farsi vendetta, in numerose occasioni risparmia il proprio nemico. Davide, dunque, con la sua capacità di resistere alle tentazioni dell'ira, diventa il referente esemplare per le virtù che l'Autore propone ai fedeli: in quanto uomo, perché capace di superare l'inevitabile condizione di peccato; nel suo rapporto con Dio, perché, consapevole delle proprie miserie, si affida a Lui con fede, speranza ed amore sincero; nel suo rapporto con gli altri uomini, perché non cede alle passioni ma sa prendersi cura persino dei nemici.
Composta intorno al 314-320 d.C., appartiene al gruppo delle opere apologetiche di Eusebio di Cesarea. Originariamente in venti libri, ci sono pervenuti per intero i primi dieci e alcuni frammenti del quindicesimo. L'intento dell'opera è quello di controbattere le accuse dei giudei, perciò Eusebio legge ed interpreta, in chiave cristologica, le profezie anticotestamentarie, cui riconosce un valore universale e che, come egli dimostra, si sono pienamente realizzate in Cristo. Il Cristianesimo non è pertanto una nuova forma di religione, ma la prima, sola, unica e vera forma, che attua pienamente la reale essenza del giudaismo come religione rivelata. Ricchissima di citazioni bibliche, l'opera rivela la grande capacità di Eusebio di muoversi con dimestichezza all'interno del testo sacro; in essa l'Autore riassume e completa tutti i temi e i motivi cui l'apologetica aveva fatto ricorso in passato. La novità vera dell'opera rispetto alla precedente apologetica è nell'aria nuova che in essa si respira, da cui traspare che la nuova religione non è più perseguitata e costretta a difendersi, come in precedenza, dagli attacchi che venivano dalle istituzioni, dai giudei e dai pagani.
Eusebio di Cesarea "Dimostrazione evangelica". L'impegno pastorale e intellettuale di Eusebio di Cesarea (vissuto tra la fine del III e gli inizi del IV secolo), le sue capacità, gli studi e le ricerche che condusse nei più svariati campi, l'essere stato vescovo di una sede importante come Cesarea, il rapporto che lo legò all'imperatore Costantino - di cui fu amico e ascoltato consigliere -, gli conferirono una posizione di prestigio nella Chiesa orientale: la sua fama di pastore, storico, apologeta, esegeta e oratore si diffuse a Oriente come a Occidente, per giungere ininterrotta fino a noi. La Dimostrazione evangelica, una delle sue più note opere apologetiche, originariamente era composta di venti libri: di essi ci sono pervenuti i primi dieci e alcuni frammenti del quindicesimo. L'opera vede la luce in un momento in cui la religione cristiana non è più chiamata a difendersi dalle persecuzioni, bensì a presentarsi e a far conoscere le proprie verità; è in questo senso che Eusebio legge e interpreta in chiave cristologica il valore universale delle profezie anticotestamentarie. Il cristianesimo, infatti, non è per Eusebio una nuova forma di religione, ma la prima, sola, unica e vera forma, che attua pienamente la reale essenza del giudaismo come religione rivelata. La grande conoscenza del testo sacro permette all'autore di dimostrare come Gesù di Nazareth sia il Messia di cui parlano i profeti, e in tal senso egli sottolinea come la legge mosaica abbia avuto un carattere temporaneo, di preparazione al Vangelo. La Dimostrazione evangelica presenta anche le interessanti concezioni trinitarie e cristologiche elaborate da Eusebio nel corso degli anni. Franzo Migliore, già collaboratore con le cattedre di Storia del cristianesimo e di Storia della Chiesa antica dell'Università di Catania, attualmente insegna Nuovo Testamento presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose "San Metodio" di Siracusa e collabora con la rivista di studi mariani «Theotokos». Ha curato per la collana Testi patristici: Eusebio di Cesarea, Teologia ecclesiastica (1998); Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica (2 voll., 2001, in collaborazione); Clemente Alessandrino, Protrettico ai greci (2004).