
Arrestato la Domenica delle Palme del 1498, in una notte di guerriglia urbana, Girolamo Savonarola è in prigione. È terminato da pochi giorni il processo civile contro di lui a cura della Repubblica fiorentina e sono in corso, a sua insaputa, delicate trattative con il papa Alessandro VI Borgia, uno dei bersagli preferiti della sua infuocata predicazione, per un'eventuale inquisizione, o un trasporto del prigioniero a Roma. Tra solitudine nel presente e incertezze circa il futuro, senza libri (né Bibbia, né breviario) e senza l'uditorio di nobili e plebe che riusciva a eccitare i suoi fuochi profetici, egli scrive questo Commento al salmo 50, destinandolo alla stampa. Vi mette effusione lirica, preghiera, ardente richiesta a Dio perché venga a liberarlo da ristrettezze e impedimenti, perdonando i suoi peccati; effettua così il riconoscimento della propria miseria, che eleva fino a renderla figura della più ampia miseria di ogni uomo peccatore e a sciogliere un canto di lode, anche se nell'angustia, al Dio che salva e perdona.
Madre Maria Candida, un'anima eucaristica del nostro secolo, viene ora con la sua testimonianza carismatica ad illuminare gli occhi della fede e a riscaldare il cuore dei credenti, con le sue meditazioni sul mistero eucaristico. Queste sono meditazioni veramente intense, profonde, sponsali, come si addice alla vita di una carmelitana che ha trovato nella propria vocazione di Sposa di Cristo, la piena realizzazione di un ideale eucaristico come centro della sua esistenza.
Composta nel 1899, "I tre dialoghi e il racconto dell'Anticristo" rappresenta l'opera ultima ma non conclusiva del pensiero di Vladimir Solov'ëv. Lo sterile razionalismo della filosofia europea, la desacralizzazione mascherata da "nuova" religione e la dominante etica tolstojana ispirano in Solov'év la riflessione sul problema della realtà del male e sulla falsificazione del bene. Scegliendo la forma di un dialogo polemico e ironico, Vladimir Solov'év profetizza «l'epilogo del nostro processo storico» attraverso la parabola dell'Anticristo. Chi è l'Anticristo di cui parla Solov'ëv? Uno spiritualista convinto e un sapiente illuminato, un uomo generoso e geniale. Nel deserto di valori del XX secolo e sotto la minaccia del panmongolismo, ovvero la dominazione delle potenze asiatiche (Cina e Giappone), l'Anticristo ammalia religiosi e intellettuali, cittadini e governanti d'Europa. Guidato da un solido amor proprio e con i suoi manifesti di pace universale, uguaglianza e progresso, questo «uomo del futuro» diviene imperatore del mondo. Per Solov'év il grande pacificatore svela però, con il suo progetto ecumenico tanto fiacco quanto audace, che "in sostanza" non è buono. «Questo bene contraffatto un po' di lucentezza ce l'ha, se però gliela togli, non gli rimane alcuna forza essenziale». L'Anticristo verrà infatti sconfìtto da un romano che parla nel nome della Verità.
Descrizione dell'opera
L'autrice prende in esame la Regola di san Benedetto con l'intento di far emergere i tratti salienti della sua antropologia e scoprire che cosa soggiace alle prescrizioni e alle norme della vita quotidiana nel monastero benedettino. Richiama inoltre l'attenzione sull'attualità della Regola, che non può essere relegata a un periodo storico determinato, poiché interpella ancor oggi l'uomo in ricerca.
Dall'analisi emerge che la Regola esprime una concezione antropologica fortemente biblica, unitaria e non dualistica, nella quale le virtù cardinali - specialmente la prudenza - si compenetrano con le virtù teologali. In essa il livello naturale non può essere separato da quello soprannaturale, perché intimamente congiunti: ciò che sta a cuore a Benedetto è la crescita dell'uomo spirituale, l'uomo rinato nella grazia, chiamato a ritrovare la sua somiglianza con Dio attraverso un cammino di conversione.
Tracciando un itinerario per vivere il Vangelo, l'autrice giunge ad affermare che la Regola «offre una risposta alle molte fratture che lacerano gli uomini e le donne del nostro tempo: quella tra affettività e razionalità, tra esigenze dell'anima e del corpo, tra bisogno di libertà e desiderio di legami stabili e rassicuranti, tra individuo e collettività, tra bisogno di comunicazione ed esigenza di silenzio interiore. Indicando Dio come unica origine e unico scopo dell'esistenza, risponde al bisogno di unità e di armonia dell'uomo e gli fornisce i mezzi per un pieno sviluppo della sua umanità» (dalla Conclusione).
Sommario
Introduzione. I. Benedetto, l'uomo di Dio. II. Il concetto di «regola» e la Regula Benedicti nella tradizione monastica. III. La radicalità della Sequela Christi come cammino di liberazione e realizzazione della persona umana. IV. La discrezione: equilibrio, armonia e realismo antropologico. Conclusione. Bibliografia.
Note sull'autrice
Myriam Fiori è nata a Milano e si è laureata in filosofia all'Università Cattolica. È entrata giovanissima nel monastero delle Benedettine dell'adorazione perpetua in Milano.
La traccia lasciata da Martin Lutero e dalla sua Riforma nella cultura e nella società europea è così profonda che, senza i valori da lui ereditati, a cominciare dalla tolleranza religiosa, sarebbe per noi impossibile capire le lacerazioni che attraversano il mondo di oggi. Dentro questioni aperte come le guerre combattute in nome di Dio, il diritto alla libertà di culto, la crisi del primato della politica ritroviamo infatti le ragioni e gli esiti del conflitto che il monaco tedesco ingaggiò contro il papato romano. Il quinto centenario della celebre affissione delle 95 tesi sulle indulgenze sulla porta della chiesa del castello di Wittenberg è quindi la giusta occasione per cercare di capire chi fu davvero Martin Lutero e per quale via giunse prima alla «scoperta del Vangelo» e poi a trovare nella «sola Scrittura» e nella «giustificazione per sola fede» le risposte alle domande che sgorgavano in lui dal sofferto e costante confronto con una Chiesa cattolica largamente dominata dal vizio e dalla corruzione. Indispensabile, a tale scopo, è questa esauriente ricognizione di Adriano Prosperi sull'opera e l'epoca di Lutero, condotta attraverso la rilettura dei suoi testi e una straordinaria conoscenza del contesto storico in cui furono concepiti, ma anche prestando ascolto e dando voce all'incessante tormento interiore di un uomo inquieto e indomito, che non volle mai ergersi a eroe o martire. Emergono così in una nuova luce tutti i momenti salienti di quell'avventura intellettuale e morale che contribuì in modo decisivo all'ingresso dell'Europa nell'età moderna. Il passaggio di Lutero nella storia della cristianità produsse ferite mai rimarginate e depositi preziosi, ancora oggi riconoscibili. Nell'immediato, la frattura dell'unità del popolo cristiano intorno all'idea stessa di Chiesa, che provocherà le guerre di religione. Ma oltre quel cupo scenario si affermò un nuovo modo di intendere il rapporto dell'uomo con Dio, con l'aldilà, con la liturgia, con la devozione e la carità. Vertice di tutto è l'individuo, la sua coscienza e la sua fede. È questa la rivoluzione di Lutero. E se il mondo scoperto a occidente erediterà il nome da Amerigo Vespucci, a lui spetta «il merito della scoperta della libertà come vero orizzonte del cristianesimo europeo».
Il presente saggio, frutto della Dissertatio doctoralis di Félicien Mbonigaba, elaborata con diligenza e lodevole acribia, verte su uno dei più significativi Sermones di Quodvultdeus: il Contra Iudaeos Paganos et Arrianos. In esso il vescovo commenta l’abrenuntiatio battesimale e gli articoli del Simbolo in una prospettiva di polemica antigiudaica, antipagana e antiariana. L’Autore, tanto scrupoloso quanto equilibrato nella discussione delle fonti antiche e nell’utilizzazione della doviziosa bibliografia sull’argomento, affronta la questione della paternità di uno dei sermoni pseudo-agostiniani rivendicati al nostro vescovo. E non trascura nessuno degli aspetti problematici del sermone, da quelli storici a quelli letterari, da quelli teologici a quelli linguistici e retorico-formali, pervenendo a un’apprezzabile risistemazione dell’ampia tematica e offrendo nel contempo spunti originali degni di approfondimento.
Il libro si segnala non tanto per la fine analisi della struttura retorica del Sermone quanto piuttosto per la sensibilità e la competenza mostrate dall’autore nei riguardi della Kunstprosa del Contra Iudaeos Paganos et Arrianos, caratterizzata in genere da periodi sticometrici scanditi da clausole metriche e da cursus. Nella individuazione delle clausole quantitative e dei cursus Mbonigaba dimostra un’apprezzabile competenza in un settore di indagine particolarmente difficile e sdrucciolevole.
Il saggio si conclude con un’appendice, contenente il testo stabilito da R. Braun (CChL 60, 1976), accompagnato dalla prima versione in lingua italiana, che si lascia apprezzare per la fedeltà all’originale latino e per la godibile correttezza e fluidità del dettato. Il saggio di Félicien Mbonigaba, reca un contributo non insignificante allo sviluppo della ricerca quod-vultdeusiana. All’inizio del secolo i barbari invadono l’Impero Romano da tutte le parti. Cartagine è in procinto di cadere nelle mani dei Vandali. La Chiesa vive i suoi peggiori momenti di sofferenza. Quodvultdeus è costretto a lasciare la città e a fuggire a Napoli dove morirà verso il 454. Questo periodo segna una svolta assai significativa non soltanto per l’Impero Romano ma anche per la Chiesa cattolica. Inoltre, il quarto secolo, a Cartagine, aveva visto fiorire una varietà di eresie (soprattutto Ariani) e di gruppi scismatici (come i Donatisti) che rendono durissima la missione pastorale della Chiesa. Quodvultdeus è tra le fonti più autorevoli per una maggiore comprensione della drammaticità di questo momento e per una valutazione dell’operato della Chiesa. Purtroppo, è anche tra gli autori finora poco studiati, nonostante una discreta produzione letteraria.
La prima edizione italiana di un’opera fondamentale tra i classici cristiani di tutti i tempi, messa al bando e censurata ed ora recuperata all’attenzione di tutti. Al culmine della disputa sul quietismo che lo vide opposto a Bossuet e che rappresenta una delle pagine cruciali della storia della Chiesa nonché dell’intera vicenda culturale dell’Occidente, Fénelon scrive nel 1696 una Spiegazione delle massime dei santi sulla vita interiore, vera e propria apologia della mistica e, per unanime giudizio, preziosa espressione della letteratura spirituale del tempo. La condanna papale del libro, alla fine del Seicento, segnò una sconfitta della mistica.
François de Salignac Fénelon (1651-1715), aristocratico francese ordinato prete nel 1677 e consacrato vescovo di Cambrai nel 1695, è accademico di Francia nel 1693. Della sua sensibilità culturale e dell’interesse per la pedagogia della coscienza e per la formazione religiosa, testimoniati dalla sua stessa attività di precettore dei nipoti di Luigi XIV, sono prova libri famosi come De l’éducation des filles (1687), Les aventures de Télémaque (1699), Dialogues des morts composés pour l’éducation d’un prince (1711); le altre opere, per le quali vedere in questo volume la Cronologia, sono riconducibili alla sua azione pastorale e controversistica, alla riflessione teologica, ai suoi sentimenti antiassolutistici e all’attenzione riservata alle miserie sociali (una lettera per Luigi XIV, in cui denuncia i costi umani della politica francese del tempo [1693], e il Mémoire sur la situation déplorable de la France en 1710 [1710]), e infine agli interessi letterari. Insieme ad altre opere, Mémoire sur l’état passif, Le gnostique de saint Clément d’Alexandrie ecc., l’Explication des maximes des saints riflette l’alta spiritualità di Fénelon e spiega il suo coinvolgimento nella polemica sul quietismo che lo vide contrapposto a un altro grande del suo tempo, Jacques-Bénigne Bossuet.
Marco Vannini si è occupato della mistica speculativa tedesca, curando in particolare la versione di opere di Meister Eckhart e Taulero, e della Teologia tedesca. Tra i suoi lavori ricordiamo: Meister Eckhart e il fondo dell’anima (1991), Mistica e filosofia (1996), Il volto del Dio nascosto. L’esperienza mistica dall’Iliade a Simone Weil (1999) e Introduzione alla mistica (2000). Si è interessato al Seicento francese con un’edizione del Moyen court di Madame Guyon (Un modo semplice di pregare, 2000); inoltre, nel 2002, sulla «Rivista di ascetica e mistica», comparirà, da lui curata, la Pratique facile pour élever l’âme à la contemplation di François Malaval. Per la San Paolo ha infine curato le edizioni italiane della Teologia mistica di Jean Gerson (1992), del Pellegrino cherubico di Angelus Silesius (1992) e dello Specchio delle anime semplici di Margherita Porete (1994).
Un saggio prezioso su sant'Ambrogio, una delle figure più luminose della storia della Chiesa, sulla quale non ha mai cessato di diffondere la luce della sua dottrina e il fascino vivo della sua spiritualità. Da governatore (consularis) di Milano, in maniera inattesa e singolare ne divenne il vescovo, lasciandovi un'impronta indelebile nella fede, nella liturgia e nella stessa civiltà. Diverse vie si possono percorrere per entrare nella conoscenza di sant'Ambrogio, l'autore ne privilegia una che, più d'ogni altra, conduce all'intelligenza del suo animo e della sua mente: quella del rapporto che egli intratteneva col «Signore Gesù», come egli amava dire, cioè la via tracciata dalle sue preghiere ardenti e appassionate a Colui che definiva, con immagine ardita e singolare: «seme di tutte le cose» (semen omnium). Un saggio di lettura e studio.
Mediante la descrizione del vissuto interiore di santa Teresa d'Avila, la più grande mistica spagnola di tutti i tempi, l'autore giunge a svelare le reali «profondità» in cui una persona entra in dialogo con il Creatore, al pari di un sincero dialogo fra «due amici» o fra «due amanti». Dopo la lettura di questo saggio, non si potrà più equiparare la preghiera a una mera espressione poetica o creativa, bensì la si dovrà considerare per quel che essa è: la relazione dell'essere umano con Dio nel «centro» dell'anima.