
Filosofa, pensatrice politica, poetessa, Hannah Arendt (1906-1975) è stata una delle più grandi personalità del XX secolo. Raramente, come nel caso di questa donna straordinaria, percorso intellettuale ed esperienza biografica presentano un intreccio così profondo. Il suo pensiero, che ha avuto e continua ad avere un'eco cosi vasta m tanti campi del sapere, non è il risultato di un'attività puramente speculativa, ma porta con sé il riflesso di un'esistenza avventurosa, a tratti drammatica, e soprattutto vissuta con costante passione. Quando negli anni venti si laurea in filosofia con Karl Jaspers, le donne all'università sono ancora un'eccezione. Ad appena ventidue anni, ha già alle spalle una storia d'amore con il più grande filosofo del secolo, Martin Heidegger; un'esperienza destinata a segnarla per tutta la vita, sia dal punto di vista personale che intellettuale. Ebrea, costretta alla fuga a causa del terrore nazista, ripara in esilio dapprima a Parigi e, dopo un lungo peregrinare, in America. La vicenda di questa donna eccezionale rispecchia la storia di un secolo e di due continenti. Può essere letta come una testimonianza di coraggio e di impegno politico, entro l'orizzonte di un pensiero filosofico che invita all'amicizia e all'amore verso il mondo.
Grande classico della filosofia della scienza e della filosofia tout court, "Congetture e confutazioni" testimonia della vastità degli interessi di Popper e dell'insostituibile ruolo da lui svolto nella cultura del Novecento. Accanto alle pagine dedicate a temi filosofici tradizionali, connessi con la teoria della conoscenza e la dialettica, e a questioni specifiche di filosofia della scienza, vi sono riflessioni in cui l'analisi storica costituisce l'occasione per riesaminare alcuni nodi della filosofia delle scienze sociali e della filosofia politica. È qui che giunge a compiuta elaborazione il celeberrimo concetto popperiano di "falsificazione di una teoria" come criterio di demarcazione tra scienza e non scienza. Un'opera che consente di capire come, pur fra discussioni talora vivaci, Popper costituisca un punto di riferimento essenziale per ogni visione non dogmatica della conoscenza umana.
E' questo non solo l'ultimo libro di Hannah Arendt ma anche il coronamento finale della sua "vita activa". Rimasto incompiuto, si sarebbe dovuto comporre di tre parti: restano le prime due e un abbozzo della terza. La prima, dedicata al Pensare, si domanda dove si trovi l'io che pensa, quali siano il suo spazio e il suo tempo, concludendo che esso si pone tra passato e futuro, tra la memoria del non più e l'attesa del non ancora. Qui, nel presente del pensare, l'angelo della storia ferma talvolta il suo volo e ci fa essere liberi. Ed è proprio alla libertà che è dedicata la seconda parte, quella che studia una nozione sconosciuta ai greci antichi: il Volere. Solo il cristianesimo si pose infatti il problema di come conciliare la fede in un Dio onnipotente con le esigenze del libero arbitrio. E dal cristianesimo tale questione arriva sino all'epoca moderna, allorché la volontà si scontra con la legge di causalità, o quando ci si sforza di farla convivere con le leggi della storia. In appendice gli appunti della terza parte, dedicata al Giudicare.
Non farsi del male e magari farsi anche un po' di bene senza decidere che cosa deve essere il bene degli altri. Ecco la tolleranza. Accettare di scendere a compromessi con qualche aspetto della nostra concezione di ciò che è giusto. Ammettere che non tutti i corollari dei nostri principi fondamentali sono essenziali e irrinunciabili e assoluti. Fare la fatica di graduare l'importanza, l'essenzialità di diritti e doveri. Non solo per ciò che riguarda il privato, ma anche in ciò che è eminentemente pubblico. Non è sempre divertente. Del resto, in un mondo che fosse tutto armonia e felicità e giustizia, cosa diavolo ci sarebbe da tollerare?
Nel novembre del 2005 Jean Baudrillard è a Madrid per ritirare la Medaglia d'Oro conferitagli dal prestigioso Círculo de Bellas Artes. Per l'occasione, che giunge pochi mesi prima della sua morte, tiene due conferenze. Qui, con il suo proverbiale incedere aforistico, il più sfuggente intellettuale contemporaneo torna sui temi cari alla sua riflessione recente: l'egemonia, l'immagine, la fine della distanza, la sparizione. Un pensiero estremo che inchioda l'Occidente all'inevitabile inveramento del proprio Nulla.
Cela un lato irrazionale il tema dell’immortalità: è la paura della morte alle origini dei culti primitivi, nonché delle religioni classiche e dei monoteismi – ebraismo, cristianesimo, islamismo. Tuttavia è la ragione che ha tradotto quella stessa speranza d’immortalità nel rigore delle categorie filosofiche: a partire da Platone, che nella fine di Socrate elogia l’esercizio filosofico della morte, il tema dell’immortalità è stato diversamente declinato nei grandi sistemi metafisici, cercandone i segni, trovandone le prove.
Il filosofo ebreo-tedesco Moses Mendelssohn nella sua opera Il Fedone, qui proposta in prima edizione italiana a cura di Francesco Tomasoni, riprende le argomentazioni platoniche nutrendole delle riflessioni filosofiche successive per renderle più efficaci, riscrivendo il Fedone in tre dialoghi fra Socrate e i suoi amici affermando l’immaterialità dell’anima.
Lo spirito illuministico che risuona in queste pagine – il tentativo di elevare la figura di Socrate a universale o l’idea di Dio a concetto comune a tutte le culture e le confessioni religiose – destina loro una posterità: non a caso Kant le cita nella Critica della ragion pura. Su un tema tanto scandagliato, questi dialoghi rimangono un classico per la scommessa sulla ragione che vi traluce.
È possibile per Kierkegaard “innamorarsi umanamente”? Le lettere qui raccolte di Søren Kierkegaard a Regina Olsen, composte in un periodo di circa un anno – dal 10 settembre 1840 al 11 ottobre 1841 –, sono lettere d’amore: «L’amore è più veloce di tutto, più veloce di se stesso», scrive il filosofo. Un amore terreno intriso di “malinconia”, in cui già si consuma la fine: come se il sentimento di sproporzione fra l’anima e il corpo fosse il segno di una impossibilità. Una tonalità che nei Diari – annota Gianni Garrera, curatore di questa prima edizione italiana – assume forma più esplicita di “insoddisfazione” portando alla rottura definitiva con Regina: Kierkegaard appartiene innanzitutto a Dio.
Queste lettere, conducendo nello “stadio estetico” dell’innamoramento ed “etico” della scelta “seria” del fidanzamento, ci introducono al salto kierkegaardiano nello “stadio religioso”.
La coscienza è davvero ciò che ci distingue dagli altri esseri animati? È riducibile a processi chimici e meccanici? Se sì, che parte hanno in questi processi il dolore e l’amore, i sogni e la gioia? Sono alcune delle grandi domande su cui si arrovellano filosofi e scienziati a partire da Cartesio, ma le teorie sulla coscienza elaborate finora, sostiene Dennett, sono tutte sbagliate, anche se la loro semplicità intuitiva ci spinge a crederle vere. Vero è, semmai, che non c’è traccia nel nostro cervello di un Autore Centrale, responsabile assoluto del nostro Sé, produttore di un unico e definitivo flusso di coscienza. La nostra mente non funziona tanto come una dittatura o una monarchia, quanto come una democrazia molto sofisticata: «Spiegherò i vari fenomeni che compongono ciò che chiamiamo coscienza, mostrando come siano tutti effetti fisici delle attività del cervello, come queste attività si siano evolute e come facciano sorgere le illusioni sui loro poteri e le loro proprietà. Proporrò, insieme ai fatti scientifici, una serie di storie e analogie per rompere vecchi abiti di pensiero e aiutare a organizzare un’unica visione coerente, sorprendentemente diversa dal tradizionale punto di vista sulla coscienza.»
Il libro rappresenta la seconda parte del corso di filosofia teoretica tenuto dal prof. Severino all'Università Cà Foscari di Venezia durante l'anno accademico 2000-2001. Se nella prima parte, pubblicata da Rizzoli nel 2007 con il titolo 'L'identità della follia', l'intento era di svelare l'anima dell'Occidente per comprendere a fondo la radice del nostro vivere, in questa seconda parte, che racchiude le ultime 15 lezioni, Severino riflette sul senso del destino.
Nel 1796, Benjamin Constant, amico di Madame de Staël, entrato in politica e attento lettore di Kant, polemizza col carattere incondizionato del dovere posto dal filosofo di Königsberg. Il quale, venuto a conoscenza della critica mossagli dallo scrittore francese, gli risponde l'anno seguente con un opuscolo, "Su un preteso diritto di mentire per amore dell'umanità". Nacque in tal modo la celebre controversia, i cui testi sono raccolti in questo volume.
L’uomo postmoderno emerge al crocevia di tecnica, religione e politica. Incontrando la persona, la tecnica rimedia ai mali che ne minacciano la salute, non a quelli derivanti dalla sua volontà di potenza. La politica, che per Platone è la ‘tecnica regia’, è necessaria per con-vivere. Si profila oggi un rapporto positivo fra vita civile e religione dopo la lunga privatizzazione di quest’ultima. Impegnata in nuove urgenze (laicità, nichilismo giuridico, libertà religiosa), la teologia politica non è liquidata, né la persona è antiquata, ma da educare: un compito che deve fare i conti con un annoso deficit educativo in Occidente. La tensione pedagogica sviluppatasi nella prima metà del ‘900 è stata dissipata e attende una ripresa.
La filosofia contemporanea, in rilevante misura, avverte la mancanza di fondamento, naturale conseguenza dell'abbandono di una visione sistematica della realtà e della stessa esistenza umana. Il quadro metafisico della tradizione classica e moderna sembra disarticolarsi e dissolversi. Il presente saggio propone di esprimere le esigenze più profonde della condizione umana in termini di ontologia. Si tratta di recedere da esaurienti costruzioni metafisiche, compiere un "passo indietro" dalla metafisica all'ontologia, ossia da una dottrina del mondo intelligibile (metafisica classica) alla problematica del rapporto tra la coscienza e l'orizzonte finale di senso: la struttura trascendentale della condizione umana, la trascendentale incompiutezza del "già, non ancora". L'intreccio tra prossimità e ulteriorità offre un efficace paradigma dì un approccio irrisolvibile nel compimento, ma che continuamente si ripropone. "Amare - osserva Lévinas - è cercare ancora chi ci è più vicino". Anche quando pensiamo "fino in fondo" il nostro rapporto con l'orizzonte finale di senso, avvertiamo un ineludibile intreccio di prossimità e ulteriorità. La dimensione metafisica si ripropone nei termini ridotti, ma essenziali, di filosofia prima.