
La preghiera è, per il cristiano, come il soffio vitale: l soffio dello spirito, verrebbe da dire, anzi dello Spirito, senza il quale - seguendo San Paolo - neppure possiamo dire: "Abbà", "Padre". La tradizione orante della storia cristiana è, da questo punto di vista, un serbatoio di emozioni, di crisi messe in versi (talvolta nobilissimi anche dal punto di vista linguistico), di risoluzioni delle crisi stesse, di risalite dagli abissi, di ringraziamenti. Buona preghiera.
No, non è giusto, questo non e buono, non è una causa santa questa in cui viene offuscato e distrutto lo splendore della gioventù. Siamo noi, i vecchi, ad aver peccato; abbiamo mandato questi giovani sui campi di battaglia per le nostre maledette passioni, per la nostra morte spirituale, per la nostra incapacità di vivere generosamente del calore del cuore e della viva visione dello spirito. Usciamo da questa morte, poiché siamo noi i morti, non i giovani caduti per la nostra paura di vivere. Anche i loro fantasmi sono più vivi di noi; ci espongono all'eterno ludibrio di tutti i tempi futuri. Dai loro fantasmi deve scaturire la vita e noi ne saremo vivificati.
Fino a tempi recenti la conoscenza scientifico-filosofica ha prevalentemente rimandato a un'idea di centro che dispone in buon ordine la realtà attorno a una ragione sovrana, da cui peraltro promana la configurazione gerarchica che le è congeniale. Da alcuni decenni si va invece definendo un diverso approccio conoscitivo che ha rinunciato non solo alla prospettiva "dell'occhio di dio" ma a qualunque intelligenza data a priori. E questo perché nella ricerca scientifica si è sempre più manifestata una netta tendenza al multiplo, al temporale, al complesso, a tutto ciò che interrompe la simmetria, la linearità, l'equilibrio. Non a caso i ricercatori di discipline tra loro differenti - in particolare, biologia, demografia, meteorologia, economia, fisica, psichiatria, matematica, cardiologia ed ecologia - hanno fatto proprio il concetto di caos, riformulando i correlati concetti di ordine e disordine. Siamo dunque nel pieno di una rivoluzione epistemologica che attribuisce alla concezione acentrica una rilevanza straordinaria nel sapere contemporaneo, con conseguenze ancora tutte da indagare.
L'esperienza del Trascendente è così radicata nel cuore dell'uomo da costituire di per sé un fortissimo incentivo allo studio delle sue manifestazioni. In questa prospettiva il presente lavoro tratta il fenomeno religioso nella sua affascinante complessità, analizzando la sua varietà di simboli, miti, riti e dottrine che definiscono quel volume di esperienza che fa dell'uomo essenzialmente un homo religiosus. Il contributo, quindi, si propone di cogliere all'interno dell'amplissima pluralità di manifestazioni dell'Assoluto gli elementi unificanti, servendosi degli strumenti offerti dalla fenomenologia della religione, che ha il compito di comparare e di interpretare tali fatti così come essi si esprimono ("appaiono") all'interno della coscienza dell'uomo. La conclusione è l'esigenza indistruttibile che gli uomini hanno di legare la loro vita a qualcosa di superiore e di sacro, che è una costante storica e non si estingue neppure in contesti di forte secolarizzazione, come quello dell'uomo contemporaneo. Questi, anzi, sembrerebbe aver ancor più bisogno del sacro rispetto all'uomo arcaico, perché, diversamente dal suo antenato, la prospettiva di fondo della sua cultura è oggi ancor più precaria. Pur essendo evoluto e forte di un progresso scientifico e tecno-logico senza precedenti, infatti, l'uomo contemporaneo non solo non sa più andare oltre le barriere del tempo e della mortalità, ma non sa più dare senso e significato alla sua avventura storica, pagando a caro prezzo la disintegrazione dello slancio mistico.
Il motore potente e implacabile della società contemporanea è il principio di prestazione. Oggi l'inazione, la contemplazione, l'ascolto sono considerati forme passive, debolezze, carenze: non sembrano avere alcun valore in un sistema che concepisce la vita esclusivamente in termini di lavoro e produzione. Eppure, secondo Byung-Chul Han l'inazione è una delle attitudini più preziose dell'esistenza: nella contemplazione, infatti, l'essere umano vive davvero - al di là della mera sopravvivenza, in cui ogni agire è mosso da stimoli e mirato all'appagamento dei propri bisogni, alla risoluzione di problemi determinati, al raggiungimento di obiettivi spesso eterodiretti. Solo il silenzio permette di tendere l'orecchio al mondo, e solo l'ascolto può condurre all'esperienza vera, alla comprensione profonda dell'essere. L'inazione, dunque, non è né negazione né semplice assenza d'azione, ma va intesa come ciò che "dà forma all'ambito dell'humanum", rendendo genuinamente umano l'agire. In questo libro lucido e ispirato Han celebra le infinite potenzialità, l'incanto e la ricchezza del non agire e, in uno stimolante confronto con Vita activa di Hannah Arendt, progetta un nuovo modo di vivere: la vita contemplativa che la natura e la nostra società sull'orlo del collasso oggi chiedono a gran voce. Perché "il futuro dell'umanità", scrive il filosofo, "non dipende dal potere di chi agisce, bensì dal rilancio della capacità contemplativa".
Cos'è la natura? In un'epoca dominata da nuove scoperte, dalla crescita tecnologica, da una nuova sensibilità ecologica, ma anche da nuovi fenomeni inquietanti, come pandemie globali e squilibri dell'ambiente, risorge potente la domanda su quale sia un comportamento davvero aderente alla natura nella vita di una persona. Forse per riaccostarci all'essenza della nostra specie occorre una sapienza antica e sempre nuova. Vogliamo una vita più naturale? Chiediamo ai poeti. E loro ci guideranno. In uno stile che unisce saggio e narrazione, Davide Rondoni perlustra gli interrogativi che sorgono intorno al tema della natura, senza pregiudizi e senza censure, sfidando molti luoghi comuni .
Il rito del tutti contro uno attraverso le fake news, i linciaggi virtuali degli haters nei confronti di una vittima prescelta - con l'illusione di una riappacificazione della folla carnefice digitale - sono ormai il nostro pane quotidiano. Attraverso un confronto con René Girard, poliedrico intellettuale francese, il testo analizza la complessità e l'ambivalenza del confine tra le radici della violenza (mitologiche, bibliche e teologiche) e quelle dell'ordine sociale.
Il testo cerca di offrire una riflessione sulle grandi domande dell'esistenza, che hanno mosso l'intelligenza e che continuano ad essere presenti nell'interiorità dell'uomo. Gli autori hanno focalizzato una serie di importanti temi mettendosi in dialogo con i grandi classici del pensiero filosofico, religioso e teologico, con particolare attenzione per i pensatori che hanno influito maggiormente sulla tradizione culturale dell'Occidente, a partire dai primi filosofi greci fino ai grandi pensatori del Novecento europeo. Questa scelta è motivata dalla convinzione che in tali "classici" del pensiero si trovino una serie di concezioni "esistenziali", valide in ogni tempo e per ogni persona che voglia capire il senso di ciò che la riguarda, della propria storia e del contesto nel quale si trova a vivere. La grande tradizione filosofica, religiosa e teologica dell'Occidente ci ha messo a disposizione un vero e proprio tesoro di classici, sui quali si deve fondare una "sapienza" contemporanea seria, ricca di valori autentici e non semplicisticamente negativa e negatrice di ogni valore e di ogni sostegno etico all'esistenza umana. Gli interrogativi che ogni persona pone a se stessa.
Un grande interrogativo filosofico analizzato da Leclerc sulla base del pensiero di Maurice Blondel.
Il sapere dei segni è antico quanto l'uomo. Muovendo dalle primordiali incisioni sulle pietre e dalle figure delle divinità arcaiche, il percorso del libro frequenta luoghi singolari ed emblematici, come la pratica poetica dell'ideogramma, le immagini musicali dei chiostri, i giochi formativi della coscienza infantile, la comunicazione gestuale della lingua dei Segni. In ogni tappa del cammino il sapere emerge come replica e figura dell'inconcepibile, come ritmo della vita che si confronta con la metamorfosi e il ritorno, con la perdita e la restaurazione, con la memoria e l'oblio. In questo confronto tra la verità e la vita il sapere dei segni scopre il destino che da sempre lo lega alla figurazione provvisoria e al segreto musicale del ritmo, in quanto aritmetica prima dell'esperienza; e poi comprende l'opera selettiva della morte: la grande creatrice dei segni come figure transitanti della verità.