
In questo breve e denso scritto, nato occasionalmente come conferenza, si trovano riassunte le principali tematiche di un pensiero provocatorio e controcorrente che evidenzia la priorità del "volto dell'altro" e sottolinea la centralità dell'etica. Nell'ampio e articolaro dibattito, che accompagna il testo della conferenza, sono tratteggiati i principali nuclei attorno ai quali ruota la ricerca levinasiana: il confronto tra "sapienza ebraica" e "saggezza greca", il significato dell'elezione e l'importanza del dialogo interconfessionale tra ebraismo e cristianesimo. La filosofia della singolarità ebraica, che Lévinas propone sinteticamente in questo scritto, non solo permette di "dire altrimenti" la trascendenza, ma la rende anche intelligibile a tutti, esplicitandone il suo "significato" etico e religioso. Si tratta di un significato che non si impone nelle forme forti di un sapere intellettualistico, ma si propone come "traccia" in grado di regolare concretamente le relazioni intersoggettive tra uomini.
Che cosa sono gli oggetti della matematica, qual è la loro origine e la loro natura? L'intento di questo saggio è di mostrare che il difficile problema è stato reso oscuro e quasi insolubile dall'assunto che "il mondo è matematico". Questa tesi, che è indimostrabile in termini generali, è stata ammessa come un'ovvietà a partire da Galileo. Nella scienza contemporanea, con la sparizione del presupposto teologico presente nel pensiero galileiano, è divenuta un enigma, da cui tuttavia non ci si riesce a separare. Le analisi di questo saggio sono sviluppate in stretta relazione con quelle di Edmund Husserl di cui si dimostra la pertinenza, anche dal punto di vista della storia della scienza.
Nel 1971 il «New York Times» pubblicò alcuni stralci dei Pentagon Papers, documenti segreti del Dipartimento della difesa relativi all’impegno americano nel sud-est asiatico dal dopoguerra alla fine degli anni sessanta. Lo scandalo al cuore di quella pubblicazione – che precedette di poco la celebre infrazione al Watergate Building, e che inaugurò la grave crisi di legittimità che caratterizzò la presidenza di Richard Nixon – riguardava l’ammissione, da parte degli esperti del Pentagono, dell’assoluta inutilità strategica dell’impegno americano in Vietnam. Che questa ammissione, nota ormai da anni ai più, venisse addirittura riconosciuta – e tenuta segreta – dai governanti statunitensi fu motivo di profonda indignazione nella pubblica opinione. A partire da queste premesse, Hannah Arendt, nel saggio qui proposto in nuova traduzione, riflette sul rapporto fra politica e menzogna. Il saggio, uscito nel 1972 sulla «New York Review of Books», prende in esame le affinità e le differenze fra la menzogna tradizionale – il mentire per ragion di Stato – e la deliberata falsificazione dei fatti per ragioni di "immagine" o di "reputazione". Ben oltre una mera ricognizione sui metodi pubblicitari, manipolatori del consenso e della pubblica opinione, all'opera nelle moderne democrazie di massa, il saggio di Arendt offre una profonda e originale riflessione sulla natura della politica e il suo rapporto con la verità. Testo originale a fronte
Giovanni Paolo II ha usato l’espressione “nefasta separazione” per indicare il processo, iniziato nel tardo Medio Evo e accentuato nell’età moderna, in cui la legittima distinzione tra teologia e filosofia è stata sostituita da una filosofia separata autonoma e fredda nei confronti della fede. L’idea che il moderno si sia costituito come una frattura rispetto alla cultura medievale, così fortemente caratterizzata dalla presenza di Dio, è divenuta una linea interpretativa classica quando si considera che, da Descartes in poi, il concetto di Dio finisce col perdere centralità e diventa funzionale alle speculazioni dei filosofi: per i razionalisti esso garantisce il sistema deduttivo e l’applicazione di questo alla realtà, per gli empiristi Dio non è più il garante del sistema e quindi può essere escluso.
Nell’età moderna assistiamo ad un lento percorso di distacco tra ragione e fede, che servirà come base per le grandi teorie atee del XIX secolo. Questo percorso comincia con lo sviluppo di quelle linee critiche già interne all’ultima Scolastica, che portarono ad una netta divisione degli ambiti tra teologia, filosofia e scienze positive. L’Autore cerca di ricostruire i vari tasselli del mosaico, tenendo presente che si può parlare di due vie, una “ufficiale”, più lenta ed indiretta, ed una “clandestina”, più diretta ed esplicita.
Lo studio qui presentato è la ripresa e l’approfondimento di alcuni articoli pubblicati nel decennio scorso.
Plotino, filosofo platonico del III secolo d.C., ha ridato slancio alla filosofia che si era dispersa in tante questioni settoriali, ha fatto dei testi di Platone un punto di riferimento costante ed ha inglobato nella loro rilettura anche molte argomentazioni aristoteliche e stoiche, ha ricuperato la creatività presocratica e rinnovato l’instancabile interrogare di Socrate. Con lui iniziano i tre secoli fecondi del neoplatonismo, un platonismo che ingloba in sé anche Aristotele e non ignora la tendenza alla sistematicità come nelle riflessioni etiche degli stoici. La filosofia è elevata a via della salvezza, religione dell’intelligenza, ascesi delle virtù, ricupero della dignità umana. La filosofia è minacciata dal misticismo religioso e insidiata dalla tentazione di arrendersi allo scetticismo. Plotino è profondamente mistico ma non lascia prevalere sulla ragione il turbinio delle fantasie come nelle correnti gnostiche, è fortemente dialettico ma senza cadere nell’arroganza della ragione come negli stoici e negli epicurei, è un instancabile ricercatore che non si disperde nell’erudizione sterile come nei sofisti del proprio tempo.
Il fondatore del neoplatonismo, che si sentiva solo un sincero platonico, ha offerto alle riflessioni filosofiche una nuova potente prospettiva, la totalità della realtà vista alla luce dell’Uno che la trascende e la vivifica, rende l’uomo consapevole della propria inquietudine e della propria dignità nel forte legame naturale con la dimensione divina, la possibilità di superare le innumerevoli articolazioni del male senza farne una divinità alternativa come nel contemporaneo manicheismo, di riscoprire le vie per ritornare alla propria origine. Plotino può essere considerato un simbolo di come l’incontro tra le diverse culture rende molto più creativa la mente umana: un egiziano che è filosofo greco e cittadino romano, un platonico che studia Aristotele e rielabora concetti stoici, un ispirato che non cala dall’alto le sue sentenze ma le discute dialetticamente per consolidarle, un mistico che esalta la ragione ma la apre al trascendente.
Plotino esalta la bellezza del mondo sensibile contro il disprezzo degli gnostici, rivede il modo di considerare la materia, modo spesso fraintesi da vari studiosi eppure fondamentale per comprendere come Plotino possa considerare il mondo sensibile non una prigione dell’anima ma un capolavoro della provvidenza divina. Il classico dualismo platonico tra anima e corpo non diventa disprezzo del corpo, nonostante le contrapposizioni dialettiche, ma porta alla riscoperta della bellezza autentica del corpo che favorisce il ricupero ancora maggiore della ricchezza dell’anima. La prima Via per il ritorno all’Uno, la via etica, consiste nella pratica delle virtù. L’essenza delle virtù sta nella purificazione dell’anima per accrescere in essa la libertà che la rende sensibile alla bellezza superiore. Le due Vie che risvegliano l’anima dal torpore della mediocrità sono la Via della bellezza che porta a rinnovare la vita per tutti gli uomini e la Via dell’amore che rinnova tutti i viventi. La Via della dialettica richiede una buona maturazione nell’etica, il gusto della bellezza proprio dell’artista e lo slancio interiore tipico dell’innamorato.
Virtù, bellezza, amore e dialettica sono le diverse Vie all’Uno. Queste diverse Vie non arrivano direttamente all’Uno ma solo alla sua soglia; oltre quella soglia non funzionano né le argomentazioni della ragione né le intuizioni dell’intelletto, né il fascino della bellezza né lo slancio dell’amore, se non sono stati previamente purificati in modo radicale in ulteriore procedimento: la semplificazione.
Maurizio Marin, nato a Casoni di Mussolente (Vicenza) nel 1955, è ordinario di Storia della Filosofia Antica all’Università Pontificia Salesiana di Roma. Oltre a numerosi articoli e diversi volumi frutto dei convegni organizzati nell’Istituto di Scienze della Religione nella Facoltà di Filosofia, ha pubblicato Il fascino del divino (LAS 2000) e L’estasi di Plotino (LAS 2007).
Pensieri, aforismi e sentenze: è in forma breve il diario intimo che Simone Weil tenne fra il 1940 e il 1942. Ogni suo pensiero racchiude un afflato universale che riverbera l'assoluto, la certezza che soltanto l'amore sovrannaturale è libero, lecito e naturale. Il resto appartiene al qui e ora, con tutto il peso dell'immanenza. Weil ci dice che la totale permanenza così come l'estrema fragilità restituiscono il senso dell'eterno, e le sue parole ci sono di conforto: le sentiamo vibrare dell'urgenza di dare al nostro vivere un senso più alto.
I testi qui raccolti ripercorrono criticamente le linee del rapporto intrattenuto da alcune delle principali voci della filosofia moderna e contemporanea con la provocazione rappresentata dalla fede in Gesu di Nazaret e dalle culture in cui essa si e espressa. I TESTI RACCOLTI IN QUESTO VOLUME RIPERCORRONO CRITICAMENTE LE LINEE DEL RAPPORTO INTRATTENUTO DA ALCUNE DELLE PRINCIPALI VOCI DELLA FILOSOFIA MODERNA E CONTEMPORANEA CON LA FIGURA DI GESU`DI NAZARET. DA QUETI TESTI CHE RIPERCORRONO IL RAPPORTO INTELLETTUALE TRA GRANDI FIGURE DELLA FILOSOFIA MODERNA CON GESU`DI NAZARET, EMERGE LA CONSAPEVOLEZZA DEL FATTO CHE IL CONFRONTO, VISSUTO NELLE MOLTE FORME DEL DIALOGO, DELLA FENCODAZIONE RECIPROCA, DELLA TENSIONE, DELL'ANTAGON ISMO TRA I PERCORSI DELLA RAGIONE FILOSOFICA E IL CRISTIANESIMO E`TUTTORA APERTO E IMPRESCINDIBILE PER CHI VOGLIA COMPRENDERE IL SENSO DEL CAMMINO DEL
Norberto Bobbio, in una intervista al giornalista Luise, parla delle cose ultime", dove si incontrano i confini del pensiero e le segrete ragioni dell'anima. " Tra due momenti, quelli del dubbio e del mistero, e racchiusa la vicenda umana, intellettuale e spirituale di Norberto Bobbio, il grande filosofo della liberta scomparso lo scorso gennaio. E sono questi i due momenti cruciali della lunga conversazione che Raffaele Luise ha avuto con il filosofo e senatore a vita, ormai novantenne. E, proprio nella vivissima tensione tra il dovere del dubbio e l'esaltazione del piccolo lumicino" della ragione da una parte, e il fascino del mistero dall'altra, mistero vissuto con un "pudore" quasi metafisico, Bobbio, indirettamente ma potentemente, ricorda alla fiacca ma ambigua spiritualita del nostro tempo che la fede e "agonia", lotta, mai possesso di Dio, magari usato come arma identitaria contro altre religioni e altre civilta. "
Il denaro risolve conflitti senza eliminare il conflitto, può molto e non può nulla. Se compro l'amore o la giustizia non divento nè amato nè giusto. Ma anche il denaro è rapporto e giustizia.
Nel mondo di oggi non è facile parlare di dialogo. Anche per effetto della globalizzazione, del terrorismo internazionale e del cosiddetto "scontro di civiltà", la paura degli altri - siano essi individui, uomo-donna, popoli, culture, religioni diverse - rischia di chiudere gli individui nel localismo e nell'egoismo personale. Lo studio muove dalla domanda: è possibile il dialogo a livello antropologico? Esistono delle caratteristiche umane di base per poter comunicare con gli altri? Attraverso una serie di ricerche filosofiche, teologiche, antropologiche e culturali l'Autore individua nel silenzio, nel dialogo, nella relazione, nell'interiorità e nella comunità i "pilastri" per ripensare le relazioni umane e l'incontro con gli altri.
Che cos'è l'essere? È la domanda, antica, più volte riformulata e riproposta, che ha impegnato per secoli le menti dei filosofi. Attorno a questo interrogativo muovono i contributi del volume. Gli autori, di estrazione filosofica diversa, prendono in esame il contributo di vari pensatori Tommaso d'Aquino, Dietrich von Hildebrand, Maurice Nédoncelle, Chiara Lubich operando una scelta che entra nel segreto dell'essere, per scorgervi l'amore come suoquid più proprio.
La filosofia e la teologia hanno sempre dialogato, anche là dove la loro distanza poteva sembrare insormontabile. Già Aristotele, infatti, aveva compreso che ogni vera metafisica e ogni vera ontologia sono, in quanto tali, «teo-logia». Di più: teologia e filosofia non possono evitare il dialogo, neppure oggi, pur con statuti e categorie mutate, pur in contesti sempre più complessi. Nei frequenti e interessanti confronti tra filosofi e teologi è però incombente il rischio di un equivoco radicale, frutto di una reciproca richiesta "impossibile": che il teologo si trovi a dover giustificare la propria fede e il proprio Dio, e il filosofo a riconoscere l'insufficiente credibilità del proprio Assoluto. Come fare? La via scelta dal filosofo Emanuele Severino e dal teologo Piero Coda (via il "terzo", Massimo Donà) è quella in cui la filosofia e la teologia sono condotte alle loro ultime possibilità, e così messe in gioco in una reale dinamica dialogica, senza che nessuno dei dialoganti debba rinunciare allo specifico della propria inclinazione riflessiva.