
Prima traduzione italiana del Breviloquium di Guglielmo di Ockham in cui si afferma la divisione dei poteri religioso e civile nella societa. Il breve discorso, nel quale h rintracciabile lo stile inconfondibile del maestro inglese, vivace e contemporaneamente rigoroso, sempre puntuale, consente di ravvisare una grande tenacia nel mantenere una posizione di sostanziale equilibrio nei confronti dell'acceso di battito trecentesco sul delicato rapporto tra potere spirituale e potere temporale. Ockham si accende e si accalora nell'esprimersi, ogni volta che s corge la pericolosa eventualita che i valori ideali e le aspirazioni dei cristiani siano intaccati dalle mire politiche del papato avignonese; egli e`capace di guardare avanti e con lungimiranza solcare il terreno di quella via moderna che vede la nascita degli stati nazionali europei, sforzandosi di inseguire i valori ideali della sequela cristiana e della convivenza civile fra cittadini, nel nuovo percorso della storia che sta avanzando. Per questo egli ribadisce costantemente il principio che lo guida, ossia che le affermazioni che sono certe in forza delle sacre scritture o per una ragione evidente o in qualunque altro modo, non le sottopongo alla correzione di alcuno: devono essere accolte e in nessun modo essere corrette".prima traduzione italiana del breviloquium. "
È intenzione del presente lavoro indagare, seguendo una prospettiva gnoseologica, una parte almeno della storia di due modelli filosofici che hanno indicato una via sostanziale - ed, in questo senso, forte - del pensare. Il tomismo e la fenomenologia, seppur praticamente distanti, mostrano in controluce uno spirito che pare accostarli nella ricerca essenziale del conoscere. Da tale presupposto si sviluppa una ricerca tesa ad evidenziare i principi stessi delle esigenze razionali fenomenologiche sullo sfondo prospettico dell´imponente struttura metafisica tomista, della quale l´opera husserliana raccoglie l´afflato ad essere sistematica di sapere. In un serrato confronto con le acquisizioni teoretiche contenute nelle principali opere dei due pensatori studiati, viene messo in luce ciò che in Husserl è ricerca ed in Tommaso è verità pretesa. Obbiettivo dell´autore non è quello di giustificare ed eleggere affinità, bensì d´interrogare per quanto possibile, nella crisi della condizione in atto, le intenzioni che hanno spinto due pensieri a farsi sistema, chiavi di volta che, sommerse, pur vivono ed agiscono nell´esistere.
La filosofia contemporanea è una forma poderosa di problematicismo. La sua potenza risiede tutta nell'affermazione che l'orizzonte del senso del reale sia il divenire. La decostruzione è la testimonianza di tale affermazione. Tali considerazioni costituiscono la base ermeneutica da cui si sviluppano le analisi di questo saggio, condotto in un serrato confronto con i testi di Jacques Derrida e tendente a dimostrare la contraddittorietà della decostruzione: per esistere, essa ha bisogno di emergere dal cerchio perenne della critica; ma per affermare l´esistenza della critica, cioè per esistere, ha bisogno di reimmergersi nella critica, lasciandosi dissolvere dalla potenza combustiva del divenire, posto come fondamento della critica stessa.
A un anno dalla sua scomparsa, proponiamo uno degli ultimi lavori di Emanuele Severino, dedicato allo sviluppo della scienza e della filosofia nel XX secolo. La scienza oggi intende essere la forma autentica del sapere umano e quindi la pietra di paragone cui debbono commisurarsi tutte le altre forme di conoscenza e innanzitutto la filosofia. Benché la scienza si presenti come la guida più affidabile nelle decisioni che l'uomo deve prendere e come lo strumento più efficace per risolvere i problemi sempre più complessi della vita, la sua concezione come sapere esatto, certo e dimostrabile è decaduta da tempo. Essa non è epistème ma dòxa: funziona ed è indispensabile, ma non ci dice nulla circa la verità e della nostra relazione col senso ultimo dell'essere che la filosofia può ancora avere un futuro.
Emanuele Severino (1929-2020) è annoverato tra i più importanti pensatori italiani del '900 e da molti considerato come uno dei più grandi filosofi della nostra epoca. Laureatosi a Pavia con una tesi su "Heidegger e la metafisica" nel 1948, soltanto due anni pi+ tardi ottenne la libera docenza. Nel 1954 fu chiamato a insegnare all'Università Cattolica di Milano, dove nel 1962 divenne ordinario della cattedra di Filosofia morale. Dal 1970 al 2001 è stato professore ordinario di Filosofia teoretica all'Università degli Studi di Venezia, divenendone poi professore emerito, e a partire dal 2002 ha collaborato con la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, tenendo il corso di "ontologia fondamentale". E' scomparso il 17 gennaio del 2020 a Brescia, la stessa città in cui era nato.
"Essere conservatore" condensa e aggiorna le riflessioni che il filosofo Roger Scruton va svolgendo dai primi anni 1970 sulle origini, gli sviluppi e i vari aspetti di quel pensiero conservatore anglosassone che trova in Edmund Burke alla fine del secolo XVIII uno dei "padri fondatori". Alla luce dei suoi princìpi, e di una fitta trama di riferimenti culturali, Scruton sottopone a critica serrata le varie correnti ideologiche che dominano la scena della politica attuale - il nazionalismo, l'ambientalismo, per esempio, ma anche l'islamismo. Ne scaturisce un'agile apologia del conservatorismo, una prospettiva che solo a tratti è riuscita a "bucare" la cultura post-illuministica dominante nel mondo occidentale lungo tutto l'Ottocento e il Novecento, ma non per questo è meno fondata nei suoi presupposti critici e positivi.
Il libro si sofferma sulle principali ideologie del Novecento e mostra come esse si presentino come nuove e capaci di operare cambiamenti, ma in realtà esprimano ripetitivamente il bisogno di fingere il nuovo, approdando su posizioni che inizialmente avevano affermato di sovvertire. Il saggio tende però anche a individuare nelle pieghe di questo movimento ripetitivo un percorso di emancipazione dal bisogno di riproporre la finzione del nuovo e ne segnala le possibili implicazioni pratiche soprattutto per quanto riguarda il problema della sanità psichica.
Dai trattati di strategia militare dell'antica Cina un'affascinante esplorazione dei fondamenti più nascosti della nostra cultura. Che cosa significa la parola "efficacia"? Che cosa intendiamo quando diciamo che un'azione è efficace? La tradizione europea non è mai riuscita, neppure nei suoi grandi pensatori realisti, a rispondere in termini convincenti a queste domande se non ricorrendo all'intervento provvidenziale del divino, o alla Fortuna, o infine all'eroismo dell'exploit individuale. A questa difficoltà teoretica, si contrappone il concetto cinese di strategia.
Questo libro, che raccoglie le lezioni di Adorno all'Università di Francoforte nel semestre estivo del 1965, si connette strettamente alla sua opera maggiore, la "Dialettica negativa". L'ultima parte del corso ripercorre, infatti, i temi che saranno svolti, a un livello di maggiore complessità stilistica ed espressiva, in quella parte della "Dialettica" che s'intitola "Meditazioni sulla metafisica". Nel corso sulla metafisica Adorno affronta le questioni ultime alle quali la filosofia non può sottrarsi: la difficoltà di pensare dopo Auschwitz, il modo in cui questo evento trasforma l'interrogazione sul senso e rende obsoleta ogni filosofia affermativa, le domande radicali sulla morte e sulla finitezza del singolo, la natura paradossale della trascendenza, che non si lascia né affermare né negare. Nelle lezioni qui pubblicate, però, emerge anche un altro aspetto della riflessione adorniana: il confronto diretto e puntuale con il pensiero di Aristotele, inteso come l'originario momento fondativo della tradizione metafisica dell'Occidente. Nell'interpretazione dei concetti cardine della metafisica aristotelica (universale e particolare, forma e materia, potenza e atto, movimento e motore immobile) emerge l'acume critico del pensatore francofortese, che lo colloca a pieno titolo tra i grandi maestri del Novecento.
Il paradigma di "immunizzazione" consiste nell'esigenza sempre più pressante di salvaguardare la vita nel suo nudo significato biologico. Come il corpo individuale, così anche quello sociale può essere immunizzato dal male che lo minaccia soltanto attraverso la sua immissione preventiva. Per sfuggire alla presa della morte, la vita è costretta a incorporarne il principio. Alla fine dell'epoca moderna, tuttavia, questo meccanismo immunitario sembra giunto al limite. E oltre questo limite si dischiude la drammatica scelta fra un esito autodistruttivo e il suo rovesciamento in una possibilità ancora inedita. "Immunitas" intreccia il linguaggio giuridico a quello teologico e antropologico, la prospettiva politica a quella biologica.