
«Esiste uno scandalo del bene, che ci dovrebbe sorprendere almeno quanto lo scandalo del male, che ne è il rovescio». Qual è l'essenza del bene? E in che modo può essere il risultato della nostra azione e l'oggetto del nostro desiderio? Il bene etico - spiega Boulnois in questa breve riflessione - non è un concetto, ma innanzitutto ciò che facciamo con rettitudine; dipende da noi, dalla nostra azione, dal nostro comportamento. Poiché esso è desiderabile, ci appare come buono. E poiché lo desideriamo, lo facciamo. Lo stesso bene può infatti designare l'oggetto del nostro pensiero, lo scopo dei nostri desideri e il risultato delle nostre azioni azioni.
Nessuno può vivere senza avere una madre. Non solo nel senso che tutti veniamo da un grembo materno, ma ancor di più perché tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci faccia spazio, che accetti di farsi scomodare da noi quel tanto che serve per avere un luogo dove stare. Si tratta di qualcosa di così fondamentale che si potrebbe addirittura dire il contrario: nessuno può vivere davvero senza essere una madre. Per avere una vita degna e ricca, tutti aspiriamo ad essere generativi nei molti modi, non solo biologici, che la vita ci offre. Imparare il gesto della madre è perciò un compito e una sfida per tutti. Una filosofa e un teologo riflettono su questo miracolo dell'esistenza, capace di sorprendere, spiazzare, dilatare i propri confini e di coinvolgere l'altro e il nuovo, di combattere la paura della morte e invitare a camminare nella vita. Introduzione di Lucia Rodler.
Nel 1953, mentre si avvicinava il trecentesimo anniversario della scomunica di Baruch Spinoza, David Ben-Gurion chiese all'Università ebraica di Gerusalemme di pubblicare l'opera omnia di Spinoza e di riammetterlo nel canone degli autori ebraici. La richiesta non fu assecondata, ma è significativa dell'importanza che il filosofo continua ad avere. Ripercorrendo i suoi scritti e la sua figura, e cercando di dare una risposta alla domanda su che cosa ha significato e significa il pensiero dell'ebreo Spinoza per gli ebrei, il testo non può fare a meno di insinuare le varie forme che l'ebraismo ha preso nella modernità
Il tempo non basta mai, siamo sempre di fretta e rischiamo di condurre una vita in pista. Gli autori si interrogano sui motivi di questa corsa continua contro il tempo e suggeriscono uno stop, una sterzata: questo è l'obiettivo del libro che propone diverse piste di riflessione e consigli pratici per stimolarci a riconquistare il nostro tempo.
Buona parte della filosofia politica moderna, da Machiavelli fino a Hegel e poi ancora al '900, pensa il popolo secondo i criteri di un razionalismo astratto. E così il popolo, anche in teorici della democrazia, finisce per diventare una "finzione": se ha realtà, è solo quella del pensiero. I risultati sono stati due. Da un lato, a questo popolo fantastico si è affidata la sorte dell'emancipazione facendone un soggetto collettivo della salvezza: in tal senso, c'è un filo rosso che collega Robespierre a Marx e a buona parte del pensiero rivoluzionario del '900. Dall'altro, quando si è denunciata la pericolosità di queste concezioni del popolo, si è arrivati, per un eccesso di realismo, al polo opposto, affermando che il popolo non esiste e che è sempre stato il prodotto di un pensiero ideologico. Da cui l'invito a convincersi che anche la democrazia non è né potrà mai essere "governo del popolo", ma governo di élite in competizione per il voto. C'è un'alternativa a questi due estremismi che ci condannano, rispettivamente, all'illusione o all'apatia? In gioco è il futuro della democrazia.
Intorno a un tema quanto mai controverso, antico e pur sempre attuale, quale quello della menzogna, si affrontano in questo volume due grandi filosofi che rappresentano anche due differenti scuole di pensiero, l'una pienamente radicata nella Francia del dopo-rivoluzione, l'altra che proviene invece dalla vicina Germania. L'occasione è data da un breve trattato scritto nel 1797 dall'allora trentenne Benjamin Constant, che, sotto il titolo "Delle reazioni politiche" disquisisce intorno alla possibile legittimità, in precisi contesti, della menzogna. L'intervento di Constant è centrato sulla necessità che i princìpi universali, per essere accettati anche sul terreno concreto, debbano a loro volta fondarsi su princìpi definiti "intermedi" tali cioè da permetterne la concatenazione con la realtà effettiva. Ma Constant, mentre cerca di definire questa sua teoria, critica la riflessione di Immanuel Kant che "persino di fronte a degli assassini che vi chiedessero se il vostro amico, che loro stanno inseguendo, si sia rifugiato in casa vostra, la menzogna sarebbe un crimine". E il "filosofo tedesco" (così lo definisce, un po' sbrigativamente, Constant), chiamato in causa, risponde da par suo con "Su un presunto diritto di mentire per amore dell'umanità" nel quale ribatte punto su punto al "filosofo francese". E così che questo confronto acquista oggi, un significato emblematico, e anche al di là del tema, pur sempre centrale, che costituisce l'oggetto di questa querelle di fine Settecento.
Se la costellazione Occidente nasce dal contaminarsi, scontrarsi e comporsi di varie culture, hanno un particolare rilievo in questo processo le civiltà greca e quella giudaica. La visione che i Greci ebbero del mondo - di cui è emblema la vicenda di Edipo - viene qui designata "metafisica del tragico": di fronte a una natura violenta e crudele, l'uomo è posto nel gioco spietato della vita e della morte e non può che far fronte al suo destino. Cifra del pensiero giudaico - esemplificato nelle figure di Giobbe e Qoèlet - è invece la "teologia del patto", la cui specificità è l'unico Dio, con il quale Israele ha stipulato un'alleanza per sempre che richiede l'osservanza della Legge. Natoli confronta l'uomo tragico e l'uomo biblico facendone emergere il tratto comune: la consapevolezza della finitudine umana a fronte dell'indomabile.
Il filo comune che lega i saggi raccolti nel presente volume può essere colto in quel passo della Metafisica di Aristotele in cui si discute il significato del termine «identità (tautótes)»: «è evidente che l’identità è una certa unità o dell’essere di più cose o dell’essere di una sola, presa, però, come se fosse una pluralità. Quando si dice, ad esempio, che una cosa è identica a se stessa, essa è presa come se fosse due» (V, 9, 1018 a 7 – 9). Tesi che troviamo ribadita anche nel Commento alla Metafisica di Aristotele di s. Tommaso, dove appunto leggiamo che «tutti i significati (modi) per cui alcune cose si chiamano uno per sé si riconducono a due» (n. 911). È così che, in Agostino, il dubbio, nella sua funzione riflessiva, è visto procedere in modo inquisitivo: nella forma di quell’alternativa contraddittoria da cui la verità emerge come potenza affermativa. E, non diversamente, è intesa la ricerca della verità, tanto in Cartesio (come l’affermazione di ciò che è assolutamente indubitabile, la cui negazione non può essere altro che falsa), quanto in Vico (come metodo che procura l’identificazione di un fatto proprio nella misura in cui esso è inquisito). In Croce, infine, la concezione dell’errore è situata sullo sfondo della tesi idealistica per cui il farsi della realtà, in quanto processo spirituale, è quell’unità strutturale al cui interno si aprono distinzioni e opposizioni.
Giuseppe D’Acunto, dopo aver insegnato a contratto presso la Facoltà di Filosofia dell’Università «La Sapienza» di Roma, è attualmente docente di Filosofia del linguaggio presso la Facoltà di Filosofia dell’Ateneo Pontificio «Regina Apostolorum» di Roma. Ha pubblicato i seguenti volumi: La parola nuova. Momenti della riflessione filosofica sulla parola nel Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; La prosa del senso. La dinamica della significazione in Merleau-Ponty, IF Press, Roma 2006; L’etica della parola. La riflessione sul linguaggio di Paul Ricoeur, ETS, Pisa 2009; Il problema del testo fra linguistica ed ermeneutica, Lithos, Roma 2009; L’istanza del soggetto parlante. Il problema linguistico dell’enunciazione, Lithos, Roma 2010; Tomismo esistenziale: Fabro, Gilson, Maritain, IF Press, Roma 2011. Di recente, ha curato: L. Scaravelli, Scritti su Cartesio, Franco Angeli, Milano 2007; E. Hoffmann, Antitesi e partecipazione in Platone, Studium, Roma 2010.
Le opere fondamentali del pensiero filosofico di tutti i tempi. In edizione economica, con testo a fronte e nuovi apparati didattici, le traduzioni che hanno definito il linguaggio filosofico italiano del Novecento. Testo originale nell'edizione di Rudolf Kassel. Traduzione e introduzione di Guido Paduano.
Questo scritto inaugura una nuova fase della ricerca religiosa di Feuerbach, che ora riconsidera la posizione del cristianesimo all'interno del più vasto orizzonte delle religioni primitive e dell'antichità classica. Esso costituisce allo stesso tempo un importante documento della critica della religione in genere, in quanto individua la radice della religione nel sentimento di dipendenza dalla natura, ovvero da tutto ciò che circonda e limita l'uomo. Questo sentimento di dipendenza o di "finitudine" è visto anche come il nucleo di verità ineliminabile della religione.