
Senza responsabilità per gli altri non si può essere fratelli. Originale e suggestivo, il percorso de "La domanda di Caino" affronta nell'ordine male, perdono, fraternità. Il problema del Male restituisce centralità allo scandalo della sofferenza ingiustificata. Il tema del perdono mette a fuoco i paradossi del perdonare - possibile e impossibile, sperato e disperato - tra sfera privata e sfera pubblica. La questione della fraternità prende sul serio la domanda di Caino: non si è fratelli prima di essere responsabili. Il saggio di Franco Riva riflette su temi eterni e metafisici dell'umanità attraverso preziosi dialoghi letterari (Cervantes, Dostoevskij e la Bibbia) e filosofici (Arendt, Buber, Derrida, Jankélévitch, Jonas, Kierkegaard, Lévinas, Marcel, Ricoeur, Schmitt) con i grandi esponenti della storia del pensiero.
Malgrado tra le opere di Kierkegaard sia una delle più ardue e difficili da interpretare, sorprendentemente Timore e tremore è anche una delle più popolari, lette e commentate. Avvinto dal pathos lirico con cui Johannes de silentio, lo pseudonimo firmatario dell’opera, rielabora poeticamente la “magnifica” storia di Abramo caricandola di attese vitali, spesso il lettore quasi non si avvede della complessità dei nodi teorici che fanno da sfondo alla ripresa della sua vicenda. Alcuni di questi, come quello della comprensione e narrazione del passato o quello del rapporto tra mondo reale e mondo ideale, tra poesia, pensiero e vita, o, ancor più, quello celebre della “sospensione teleologica dell’etica” rivestono ancor oggi un grande interesse e si trovano riproposti nei più diversi contesti narrativi e disciplinari. Il presente volume si propone di analizzarli e discuterli, restituendoli al loro problematico quanto ineludibile contesto – quel “nuoto mistico nell’esistenza” che Abramo, il cavaliere della fede, realizza nella sua affascinante e inquietante storia.
«Non siamo mai stati così liberi come sotto l'occupazione tedesca. Avevamo perduto ogni diritto e prima di tutto quello di parlare; ci insultavano apertamente, ogni giorno, e dovevamo tacere; ci deportavano in massa, come lavoratori, come ebrei, come prigionieri politici; ovunque - sui muri, sui giornali, sugli schermi - ritrovavamo l'immagine immonda e insulsa che i nostri oppressori volevano darci di noi stessi: ma proprio per questo eravamo liberi. Il veleno nazista si insinuava nel profondo dei nostri pensieri e quindi ogni pensiero giusto era una conquista; una polizia onnipotente cercava di costringerci al silenzio e quindi ogni parola diventava preziosa come una dichiarazione di principio; eravamo braccati e quindi in ogni nostro gesto gravava il peso dell'impegno. Le circostanze spesso atroci della nostra lotta ci rendevano finalmente in grado di vivere, senza trucchi e senza veli, questa situazione straziante, insostenibile che chiamiamo la condizione umana».
La pubblicazione, nel 1963, del libro di Hannah Arendt "La banalità del male" suscitò un dibattito incandescente, che turbò profondamente Arendt, anzitutto perché quel libro incrinò i suoi rapporti con gli amici e i sodali ebrei di un tempo, tra i quali Gershom Scholem. Ma quel dibattito dai toni accesissimi, che dagli ambienti accademici tracimò sui giornali e sui media del tempo, era destinato a lasciare un segno indelebile sul pensiero e sulla vita stessa di Arendt. Esso inaugurò un lungo e travagliato percorso speculativo che l'avrebbe condotta al capolavoro incompiuto "La vita della mente". La "questione ebraica", così come viene messa a fuoco attraverso il dibattito provocato da "La banalità del male", segna così una svolta radicale nel cammino di pensiero di Arendt e lascia affiorare una concezione assolutamente peculiare dell'ebraismo, distante anni luce dalle versioni allora dominanti, compresa quella difesa dallo Stato di Israele, una concezione che negli scritti arendtiani, fino ad allora, era rimasta sottotraccia.
Quale risposta ai dilemmi e alle contraddizioni della ipermodernità? Attraverso un excursus lungo la storia millenaria di homo sapiens, un viaggio che unisce le recenti scoperte scientifiche sul funzionamento del cervello umano ai più urticanti nodi sociali della contemporaneità. Una diagnosi severa sul nostro tempo cui segue una terapia di uso pratico, caratterizzata da un approccio mentale esplorativo, coniugato ad alcuni immobili morali del paganesimo e ai cardini concettuali di un Cristianesimo privato della illusoria promessa oltremondana. Una sfida personale che, partendo dagli eterni problemi connaturati nella mente umana, "sfonda" la parete dell'Altro superando sia il principio di piacere che la naturale tendenza alla prevaricazione, per impossessarsi di una prospettiva nuova ove l'homo editus nell'esprimere il proprio potenziale irradia benefici concreti alla propria specie, attraverso un uso responsabile e non antropomorfizzante del "Dio/partner", costituito dalla sua creatura più promettente e più inquietante: la macchina.
Ancora una volta l'antico grido babelico si è alzato: "Unità! Unità! Venite, raduniamoci, riduciamo il mondo alla ragione, imponiamo la democrazia, garantiamo la sicurezza, incrementiamo i consumi, costruiamo la pace universale". Come allora, anche oggi questo appello risuona contemporaneamente in modo maestoso e tragico, come un magnifico invito e come una terribile minaccia. Passando da Beauchamp a Balthasar, da Kafka a Scholem, da Hegel ad Heidegger, da Lacan a Zumthor, da Lévinas a Derrida, il testo di Petrosino legge il breve racconto biblico relativo alla costruzione della Torre di Babele mostrandone la sorprendente ed inquietante attualità. Un'originale ricerca filosofica sul senso umano dell'abitare e sul delirio del potere.
"L'origine dei sentimenti morali", pubblicata nel 1877, è qui tradotta per la prima volta in italiano. Ebbe un ruolo fondamentale nel determinare la svolta che si verificò nel pensiero di nietzschiano a partire dal 1878 con la pubblicazione di "Umano, troppo umano". Fu lo stesso Nietszche ad interessarsi affinchè l'opera di Rée fosse pubblicata, raccomandando con una lettera al proprio editore lo scritto del giovane amico.
Nietzsche fu veramente il filosofo ateo e nichilista che una certa vulgata dipinge? Venturelli procede alla decostruzione di questo stereotipo ripercorrendo le vie molteplici del pensiero nietzschiano, guidato da due fili armoniosamente intrecciati: la musica e la religione. Sullo sfondo del nulla, quale inaggirabile tema del pensiero nietzschiano, Venturelli tenta di ricostruire la "filosofia di Nietzsche" dando largo spazio al tema di una religiosità che, sebbene sofferta, resta pur sempre cifra del suo pensiero tragico nel senso proprio della parola, indissolubilmente legato allo spirito della tragedia e alla sua musica.
Che cos'è lo stile? Un'introduzione agile e precisa a un tema che percorre trasversalmente diversi ambiti di ricerca: artistico, culturale, etnologico, sociologico, economico, politico. Attraverso un'indagine che spazia da Aristotele al design, da Hegel allo "stile Mercedes", con l'ausilio di un apparato iconografico, l'autore prende in esame l'evoluzione del concetto di stile nelle sue varie forme, per mostrare che lo stile non è una modalità accessoria dell'apprensione umana del mondo, ma è esso stesso un processo attivo di strutturazione del mondo: fa essere il mondo ciò che esso è, costituisce la prospettiva da cui viene costruita - anche intersoggettivamente - la realtà.
Rivista monografica n. 4/ottobre - dicembre 2007. L'acqua di Rebecca. Ricerca di Dio e deserto dell'uomo nella letteratura del '900.
Rivista trimestrale di Sacra Doctrina, n. 1/gen-mar 2008. Appunti sulla formazione della prima scuola tomista (sec. XVI).
La metafisica è la scienza dell'essere. Non è, come spesso viene presentata, un vano sogno di oltrepassare l'esperienza possibile. La metafisica nasce dall'esperienza e si accompagna all'esperienza. È una riflessione razionale che cerca di scoprire la struttura generale o universale che sostiene le cose. La metafisica cerca di mettere in evidenza l'ordine universale, ponendosi dal punto di vista più elevato e più umile nello stesso tempo, cioè dal punto di vista dell'essere. Il concetto di essere è lo schermo più universale che la ragione possa avere: dice il tutto e ogni singola cosa, ma senza determinarne i dettagli specifici. Questo libro non intende proporre in modo sistematico i difficili concetti della metafisica; il suo scopo è piuttosto quello di accompagnare la mente nel suo primo itinerario verso la scoperta del senso metafisico delle cose, quasi a modo di meditazione. La forma narrativa del diario ha precisamente questa finalità.