
Straordinariamente plurima nei suoi significati, la parola solitudine richiama vissuti molto diversi e risonanze valoriali perfino contrapposte. La solitudine è per alcuni sofferenza, per altri sollievo; per alcuni malattia, per altri cura. Nella solitudine l'umanità appare talvolta dolorosamente perduta, in altri casi riconquistata. Solitudine può significare chiusura, angoscia, afflizione, ma anche pace, liberazione da esteriorità dispersive, scoperta di relazioni più autentiche con se stessi e con gli altri. Devastante da una parte e generativa dall'altra, la solitudine può angosciare ma anche ispirare grandi pensieri: "Da chi non ha mai vissuto in solitudine raramente vien fuori qualcosa di buono o di cattivo. Nella solitudine si trova l'assoluto, ma anche il pericolo assoluto" (S. Kierkegaard). La declinazione al plurale del titolo di questo volume e delle indagini multidisciplinari in esso contenute, dà conto della complessa fenomenologia dell'essere e del sentirsi soli, di cui ci ha resi maggiormente avvertiti anche l'esperienza pandemica dei nostri giorni.
In nove quadri sulla Natività pubblicati nel 1935 sulla "Lettura" del "Corriere della Sera", Papini immagina la notte di Natale attraverso i pensieri del locandiere, del padrone della stalla, del pastore «rimasto addietro», delle pecore lasciate sole, della levatrice, del topo nel muro, del bove, del passerotto sul tetto e dell'asino. Uno sguardo originale e insolito su un «presepio sconnesso» nella notte più sorprendente del mondo cristiano.
Questo primo volume della collana «L'opera comune. Pubblicazioni del Centro Studi Antonio Balletto», nato da un corso della scuola di alta formazione «Etica e società» di Albenga, affronta il tema della solidarietà come logica portante della vita morale e sociale. Roberto Mancini presenta una via meditata e originale di descrizione e fondazione fenomenologica, che parte dall'analisi della solidarietà come emozione, come sentimento, come affetto e come modo di essere contrassegnato dall'apertura alla relazione e dall'impegno per la comunione con gli altri. Emerge così come centrale l'assunzione della responsabilità comune per la cura reciproca, che, dando concretezza alla coscienza della dignità di ogni essere umano, permette di superare l'ottica della beneficenza e di delineare una progettualità critica alternativa rispetto alle ideologie e agli assetti tuttora dominanti. Gli interventi di giovani studiosi accolti nel volume approfondiscono aspetti e formulazioni particolari di questi nessi tra etica e solidarietà. La postfazione di Gerardo Cunico ricorda la storia del termine e del concetto di solidarietà, per ricollegare entrambi alla tradizione etica da cui provengono e insieme per mettere meglio in luce alcune rilevanti peculiarità portate dal vocabolo con la sua origine dalla sfera della reciprocità giuridica. L'esigenza di un ripensamento radicale di tutta questa tematica emerge anche e soprattutto dalla consapevolezza della crisi dell'atteggiamento solidale che si avverte proprio oggi, quando più è in voga il vocabolo e quando più ci sarebbe bisogno della messa in opera dell'idea che veicola, e quando dunque si tratta di restituire spessore e mordente alla prospettiva della solidarietà come compito e come prassi coerente.
In concomitanza con le numerose crisi degli ultimi anni, gli appelli alla "solidarietà" nella sfera pubblica si sono moltiplicati e il valore dell'aiuto reciproco e della condivisione di risorse e rischi è stato ampiamente riscoperto e riattualizzato, anche con relativo successo. Eppure, l'idea di solidarietà risulta ancora ostaggio di una cattiva retorica che rende il suo richiamo innocuo e generico. Sorta nel lessico giuridico latino, sostituto moderno degli antichi legami di fraternità ed erede della Rivoluzione francese e di quella industriale, essa è sin dall'inizio concepita come risposta concreta - fondata essenzialmente sul riconoscimento di un'interdipendenza - a contraddizioni e palesi ingiustizie, così come ai problemi di integrazione sociale. Il libro ripercorre le principali tappe storico-filosofiche di un concetto in parte sottostimato e dimenticato dalla più ampia riflessione sulla giustizia, contribuendo a riscoprirne i caratteri più distintivi (primi fra tutti: reciprocità e orizzontalità) e la sua importanza decisiva sul piano politico e morale. Il testo si misura anche con le sfide e i problemi che riguardano la solidarietà europea e le prospettive di mutuo supporto su scala globale.
In Sogno e scetticismo, pubblicato nel gennaio 1956 su «The Philosophical Review» e finora inedito in italiano, il filosofo Norman Malcolm affronta l’argomento cartesiano dell’impossibilità di distinguere la veglia dal sonno. Cosa o chi ci assicura che quando vediamo, tocchiamo, udiamo qualcosa siamo svegli e non ci troviamo dentro un sogno? Quante volte ci è capitato di vivere esperienze oniriche tanto coinvolgenti da farci dubitare, al risveglio, che si trattasse di un’illusione? Queste domande accompagnano la riflessione filosofica fin dalle origini, poiché investono la certezza elementare che ciascuno di noi possiede, o crede di possedere, in ogni momento della giornata: posso affermare di essere sveglio. Mettere in dubbio questa certezza significa minare alla base il corso della nostra quotidianità; per la filosofia significa il trionfo dello scetticismo e la perdita del fondamento stesso della ricerca intellettuale: la verità dell’esperienza. Ma è realmente un problema distinguere l’essere svegli dall’essere addormentati? Qual è il senso logico della domanda «sogno o son desto»? La serrata riflessione di Malcolm mette fine ad ogni argomento scettico, dimostrando che il solo chiedersi se si sta dormendo rivela che si è svegli e che, se veramente stiamo dormendo, e sognando, non possiamo esserne coscienti.
Norman Malcolm (1911-1990)
È stato un filosofo americano. Da studente all’Università del Nebraska si avvicina alla filosofia grazie a Oets Bouwsma e prosegue quindi i suoi studi a Harvard. Nel 1938-39 frequenta l’Università di Cambridge, dove conosce G.E. Moore e Ludwig Wittgenstein, con il quale stringe una sincera e duratura amicizia. Nel 1940-42 insegna all’Università di Princeton, ma deve rinunciare all’incarico per partecipare alla Seconda Guerra Mondiale, arruolato nella Marina militare. Nel 1946 riprende l’insegnamento a Princeton e, dopo aver passato un altro anno a Cambridge con Wittgenstein, assume definitivamente la cattedra di Filosofia alla Cornell University. Nel corso della sua lunga attività di ricerca si occupa principalmente delle nozioni di mente, linguaggio e conoscenza, considerati nella prospettiva della filosofia analitica di tradizione anglosassone. Tra le sue opere: Ludwig Wittgenstein: A Memoir, Problems of Mind: Descartes to Wittgenstein, Memory and Mind.
Nel discorso pronunciato a Francoforte in occasione del Premio Adorno, il 22 settembre 2001, Jacques Derrida prese spunto da un sogno che Walter Benjamin raccontò per lettera alla moglie di Adorno per affrontare l'antico problema dei rapporti tra il sogno e la veglia: è possibile parlare del sogno senza sottomettersi al dominio della veglia? Muovendo da questo problema gnoseologico Derrida si avvicina a questioni di scottante attualità politica: l'estraneità dell'esperienza onirica diventa quella dello straniero, e riconoscerne l'irriducibilità significa garantire i diritti dell'altro, compito fondamentale di un nuovo illuminismo che ammetta la possibilità di un discorso filosofico "marginale", "minoritario" e "sognatore".
Maria Zambrano (1904-1991) è stata una delle grandi figure della scena intellettuale di questo secolo, una pensatrice originale e profonda. Fu allieva del filosofo Ortega y Gasset e visse a lungo in esilio (in Italia dal 1954 al 1964), a causa della sua opposizione al franchismo. Tornata in Spagna nel 1984, vinse nel 1988 il Premio Cervantes. Nella sua opera occupa un posto privilegiato "Il sogno creatore", scritto nel 1965. Ma quella prima versione è soltanto una parte del presente volume, modificato e arricchito fino al punto di trasformarsi in un nuovo libro.
Il Novecento è un secolo complesso: lo si può leggere come un’epoca di crisi, travagliato dal nichilismo, dal relativismo e dallo scetticismo disincantato, ma lo si può cogliere anche come un’epoca di grandi promes­se, come un tempo in cui si aprono nuove prospettive e si affermano grandi personalità.
Il volume esamina le questioni più drammatiche, come il nichilismo (C. Esposito), ma anche esplora i contributi più originali, come l’istanza fenomenologica (C. Di Martino) e il contributo pragmatista (G. Maddalena), senza trascurare i progressi dell’epistemologia (G. Formica). Tra i protagonisti del Novecento, il volume si sofferma su una figura di solito non molto studiata, Pavel Florenskij (L. Žak): si tratta di una scelta che, tra l’altro, intende mostrare che nel XX secolo spesso capita che anche le piste meno battute si rivelino presto di grande valore e fascino.
Il testo si propone come un utile strumento per chiunque intenda entrare nell’affascinante complessità del Novecento filosofico.
L’interrogativo che muove l’indagine qui proposta, condotta a molte voci ma espressiva di un disegno unitario, riguarda la pensabilità della libertà nella condizione postmoderna dell’esperienza. Dopo una prima parte esplorativa delle coordinate culturali e antropologiche in cui si collocano prassi e teoria della libertà nell’era della tecnica, la seconda parte inaugura un percorso alla ricerca di un profilo teorico persuasivo della libertà umana, colta nella sua struttura antropologica pluridimensionale, nel suo ‘paradosso’ ontologico-metafisico, nell’enigma tragico della sua defettibilità colpevole e nella sua vocazione teologica. La terza parte torna alle questioni dell’oggi, con un approccio critico e propositivo ad alcuni aspetti problematici rispetto all’idea o alla prassi della libertà. Si tratta di saperi che toccano in modo incisivo la possibilità della libertà, e insieme l’identità soggettiva, come avviene nella sociobiologia, nelle scienze cognitive, nella psicoanalisi. Si tratta poi di condizioni e problemi sociali in cui è in gioco la praticabilità della libertà nel suo esercizio pubblico, come avviene nella nuova organizzazione del lavoro, nelle tecnologie della comunicazione sociale, nelle attuali condizioni di pluralismo culturale e religioso, nel problema dell’educazione. Il risultato dell’indagine è multiplo. Emerge, in primo luogo, una rinnovata consapevolezza della centralità della questione tecnologica, risultando la tecnologia al tempo stesso occasione e insidia per la libertà. In questa condizione culturale epocale è di estrema importanza riscattare la libertà da una concezione astratta, per guadagnarne la pienezza antropologica quale organismo polisenso di scelta, finalità e relazione, e insieme l’unità trascendentale come autodeterminazione. Qui si delinea il problema dell’origine e del significato metafisico della libertà, la cui ricchezza antropologica e verticalità metafisica risultano congiunte e indispensabili per pensare la sua realizzazione storica, là dove si consuma anche il dramma della sua negazione colpevole e l’apertura della prospettiva teologica sulla novità radicale di una Libertà redentrice.
Francesco Botturi, ordinario di Filosofia morale presso l’Università Cattolica di Milano, si è occupato di antropologia nella prospettiva della filosofia della storia, dapprima nell’ambito della filosofia francese contemporanea (“Struttura e soggettività. Saggio su Bachelard e Althusser”, Milano 1976), poi in G.B. Vico (“La sapienza della storia. G.B. Vico e la filosofia pratica”, Milano 1991), e dal punto di vista teoretico (“Per una filosofia dell’esperienza storica”, Milano 1986). Recentemente ha orientato la sua ricerca in campo antropologico-etico, con numerosi saggi, tra cui “Libertà e formazione morale” (2000), “Princìpi morali ed assoluti etici” (2001), “Pluralismo culturale e unità politica nella globalizzazione postmoderna” (2001), “Pluralismo sociale e sistema della libertà” (2002), “Scissione dell’esperienza e identità antropologica” (2002), “Il bene della relazione e i beni della persona” (2002).
La filosofia di Nietzsche, spesso oggetto di letture improprie e talvolta devianti o limitative, è al centro di questo illuminante saggio di Vattimo. A suo avviso, il problema principale posto dal filosofo tedesco è quello della necessaria allegoricità e profeticità del pensiero. Analizzando la strumentalizzazione delle dottrine di Nietzsche a opera delle teorie nazionalsocialiste, Vattimo mette in luce, oltre ai punti di forza, anche le debolezze di un pensiero tutto incentrato sul tema della liberazione. Un'interpretazione di un classico che si offre anche come un'importante riflessione sull'attuale fase della ricerca filosofica.
La filosofia e in genere la cultura contemporanea hanno posto come uno tra gli oggetti privilegiati di analisi la questione del soggetto. Il soggetto ha dato luogo così a un decisivo dibattito, che si enuncia nella filosofia idealista, si mantiene in forme diverse nella sua crisi e oltre, sussiste oggi come problema aperto. L'intenzione di Salvatore Natoli, in questo libro, è quella di chiarire il significato e il valore della nozione di soggetto nei suoi tratti costitutivi e dominanti. E la conclusione cui si arriva è che il concetto di soggetto coincide con quello di fondamento: il soggetto fonda in quanto con esso si pone il principio dell'identità e della differenza. In questa ricerca si concentra sull'analisi di due "luoghi" della storiografia filosofica che si possono ritenere classici al fine d'enucleare l'idea di soggetto: Aristotele e Cartesio; tracciando, a partire da questi due modelli, in primo luogo un'"ideografia" del soggetto, seguendone in secondo luogo il movimento e delineando così una "dinastia". Con la riedizione di Soggetto e fondamento torna uno dei testi di filosofia più importanti degli ultimi trent'anni, uno studio da cui si sono sviluppate le riflessioni etiche delle opere successive di Natoli.