
E' quasi due secoli che l'esperienza familiare è oggetto di aspre contestazioni. Esasperando una lettura individualistica e non relazionale dell'uomo, i critici della famiglia giungono frettolosamente a concludere che della famiglia sia doveroso allentare i vincoli costitutivi, per giungere a rimuoverli del tutto. Ma come pensare di poter rinunciare alla famiglia, se è proprio dal fatto che l'uomo è un animale familiare che dipende l'identità del genere umano, cioè l'identità di ciascuno di noi?
In un tempo di profonda crisi del sistema etico-sociale, la rilettura del pensiero di Giuseppe Toniolo si rivela sempre significativa e attuale. Una visione in cui la famiglia, fondamento dell'ordine sociale, e il lavoro, suo motore qualificante, costituiscono due elementi senza i quali la società stessa non sussisterebbe. Attingendo alle pagine del Trattato di economia sociale di Toniolo, si svela la sua capacità di coniugare nel quotidiano i diversi ordini della vita, in una dimensione di sintesi per la costruzione di una società più giusta e più umana.
La storia delle idee, letta come drammatizzazione della tensione tra vero e falso, fa da sfondo a una fenomenologia della coscienza incline tanto alla lotta contro l'errore quanto a stringere pericolosi patti con l'inganno, dalla menzogna intenzionale all'autosuggestione di quanti si piegano deliberatamente alle promesse dell'ideologia. Quando poi cade la maschera dell'ipocrisia, l'inganno precipita nel cinismo e nasce la "falsa coscienza illuminata" moderna. Peter Sloterdijk convoca figure centrali del conflitto tra verità e inganno, da Platone all'ascetismo antico, dal cristianesimo alla critica dell'ideologia di Adorno, fino ai protagonisti del cinismo moderno. Anche oggi, il cinismo continua a presentarsi come abdicazione alle convenzioni che gli imponevano di camuffarsi da idealismo, ma il suo habitat sono ora apparati mediatici intrinsecamente incapaci di sacrificare l'espansione dell'informazione alla selezione di contenuti veridici. Il cinismo contemporaneo prospera nella reazione, dal basso, al "sensibilismo" del politicamente corretto, si concretizza nel terrorismo (e in parte nella lotta allo stesso) come pratica eminentemente cinica e diviene, nella prospettiva di Sloterdijk, il perno stesso su cui ruota la cultura post-fattuale dei nostri giorni.
Quest'opera è considerata da molti il capolavoro di Michel de Certeau. Essa racconta l'irruzione nella storia della parola mistica come esperienza di marginalità, esclusione e rinuncia. Un'esperienza che si svolge in luoghi in cui perdersi, attraverso parole o scene di enunciazione che sperimentano nuovi linguaggi: da Eckhart a Silesius, da Teresa d'Avila a Giovanni della Croce o Surin, tutto un corteo luminoso di donne, folli, illetterati, eremiti oscilla fatalmente tra obbedienza e rivolta, ortodossia ed eresia, sapere istituito e nuovi ordini del conoscere. Critica letteraria e psicoanalisi, semiotica e filologia, analisi sociale e indagine politica, contribuiscono a disegnare un percorso che abbandona (ma non trascura) i confini della teologia e si lascia contaminare da strumenti critici apparentemente estranei o inadeguati. Ed è proprio la sorvegliata e rigorosa contaminazione tra discipline a costituire il tratto caratteristico dell'opera dello storico, come pure il suo lascito fecondo: assumere l'"altrove" come griglia ermeneutica o il "desiderio" come impossibile che muove la storia, significa mettere in discussione ogni teoria o pragmatica della comunicazione e lasciare che a parlare sia un linguaggio perforato, interdetto, opaco, sempre bisognoso di traduzione ma anche sempre più ricco di qualunque sistema.
Contiene nutrite informazioni che riguardano il periodo in cui Fabro frequentò il Pontificio Istituto Internazionale Angelicum a Roma (1931-1937) per lo studio della teologia: la vita all'Angelicum, le attività accademiche, i suoi famosi professori (Cordovani, Merkelbach, Garrigou-Lagrange, Simonin, Walz, Ceuppens, ecc.) i corsi, le excercitationes, i voti, gli esami di licenza e di dottorato del giovane studente stimmatino. Dalla documentazione e dalle recensioni riportate, si può percepire, inoltre, lo stupore che provocò in Italia e all'estero la pubblicazione della tesi, avvenuta nel 1939.
LEZIONE INAUGURALE DELL ANNO ACCADEMICO 2001-2002, INCENTRATA SUL SENSO DELLA VITA. L'uomo che vive per gli altri , vive per il bene e per la verita. La grandezza della filosofia sta nel suo lottare per la verita e per il bene, ma la lotta nasce dalla comunione delle persone e dalla generosita. La persona e`amore. Verita e liberta si hanno la dove le persone si educano reciprocamente, la dove l'una aiuta l'al tra ad essere se stessa. L'uo mo difende cosi`se stesso donandosi all'altro, ma l'ultimo baluardo di difesa per lui e`l'altro. L'uomo intuisce la presenza di dio nel proprio essere unito agli altri esseri. La grande domanda: da dove vengo e dove vado?" diventa pienamente se stessa nella confessione orante: "io sono te e tu sei me!", il che significa che l'essenza della filosofia no "
Evoluzione e libertà sono le due parole chiave del pensiero di Hans Jonas, espresso mirabilmente nel saggio, una sorta di concentrato della sua biologia filosofica e forse la migliore testimonianza della sostanziale continuità della sua riflessione sulla filosofia della vita, al di là del prevalere, nelle diverse fasi del suo pensiero, di interessi storico-filosofici o di interessi più propriamente etici. Tesi principale è che la libertà tradizionalmente considerata appannaggio degli ambiti prettamente umani dello spirito e della volontà - sia viceversa già presente a livello del metabolismo cellulare, il fenomeno più basilare che caratterizza l'organismo vivente. Essa non connota, cioè, esclusivamente l'agire conscio e intenzionale dell'essere umano, ma è piuttosto il denominatore comune di tutti gli appartenenti alla categoria dell'"organico" e segna la linea di confine con quanti non vi rientrano, dunque con l'inorganico, la macchina e l'artefatto. La libertà si squaderna per Jonas in una gradazione ascendente di complessità delle funzioni e dei movimenti, i cui vari livelli costituiscono configurazioni sempre più articolate, approfondite ed "evolute" della dialettica precaria che le è intrinseca.
Un contributo nella direzione di un chiarimento dell'enigma della prossimita" di Levinas, alla luce dell'idea di "ospitalita". " Una nuova prospettiva, alla luce dell'idea di ospitalita", dalla quale provare a leggere l'opera di Levinas, ma anche uno dei nodi centrali del nostro tempo: la fatica a misurarsi con la differenza. Il pensiero dell'ospitalita cerca di restituire dignita profonda alla dimensioni della pazienza e dell'attesa, un pensiero che vorrebbe far spazio - nella nostra terra come nelle nostre menti - invece che pretendere di occuparlo. Lo straniero, e persino il nemico, sono testimoni vivi, anche nella loro violenza e desolazione, di una separatezza che non vuole essere abolita, ma ascoltata e ospitata,perche ci parla di cio che noi, come uomini, siamo da sempre"
Che si tratti di un disastro naturale devastante o di un'importante decisione esistenziale, di una rivolta politica violenta o di un'illuminazione religiosa, di un avvenimento mondano o di una buona notizia, c'è sempre qualcosa di dirompente, inaspettato e addirittura miracoloso in un "evento": concetto tra i più rilevanti della storia del pensiero e insieme tra i più ambigui, caratterizzato da ben più di cinquanta sfumature. Che cos'è l'evento? Una trasformazione nel modo in cui il mondo ci appare o un cambiamento nella realtà stessa? Entrambe le cose - e molto di più - ci spiega con chiarezza e ironia Slavoj Zizek, uno dei più celebri e apprezzati filosofi viventi, spaziando con lo stile irresistibile che gli è proprio tra excursus scientifici e barzellette sconvenienti, tra aneddoti storici e spiazzanti citazioni dai film. Insomma: dal Big Bang agli haiku Zen, passando per il waterboarding, Hegel, Buddha e Lars von Trier, senza tralasciare neppure una rapida ma efficacissima disamina dell'"evento" pop Gangnam Style. Perché per Zizek l'evento può essere la chiave per comprendere uno spettro straordinariamente ampio di fenomeni delle nostre vite. Perfino l'amore: la nascita di "qualcosa di nuovo in grado di sovvertire gli schemi", un evento personalissimo e dirompente al di là di ogni causa e fattore spiegabile.
Un libro sull'origine dell'umanità, su Dio e sulla creazione di Eva, sul paradiso terrestre e sul peccato originale. Ma non si tratta di un libro di teologia. Piuttosto, è un'indagine di confine fra storia dell'arte e storia delle idee. In primo piano c'è la donna che Dio volle dare come compagna all'uomo: Eva che nasce dalla costola di Adamo, Eva che si lascia sedurre dal serpente tentatore e afferra il frutto proibito, Eva che porta, in eterno, la colpa della perdita dell'Eden e del peccato originale. Un mito, quello della coppia originaria, che pervade l'arte, la fede e la cultura occidentale: lo si ritrova raffigurato sulla facciata di Notre Dame, nel portale d'Adamo a Bamberga, nella Cappella Brancacci a Firenze, nella Cappella Sistina in Vaticano. E lo si incontra, persino più spesso, in una ricca tradizione di testi che muove da san Paolo e sant'Agostino per giungere, attraverso una quantità di commenti medievali e moderni, sino a oggi. Dopo aver presentato le immagini e i racconti, le diverse incarnazioni e interpretazioni che del mito sono state prodotte nel tempo, Kurt Flasch dà conto della rielaborazione che la cultura europea ha compiuto di un materiale mitologico nato originariamente in Oriente e indaga le dottrine e le costruzioni di pensiero originate dal racconto paradisiaco: il tema del peccato originale e della salvezza.