
Riflessione filosofica, esperienza politica e cultura estetica si intrecciano anche in questo libro di Cacciari sulla storia della città. Dalla pólis greca alla civitas romana, dalla città europea alla metropoli e alla odierna postmetropoli: uno sguardo appassionato e insieme disincantato, una difficile lezione della storia da cui trarre qualche saggio consiglio per il futuro prossimo. La città è sottoposta a domande contraddittorie. Voler superare tale contraddittorietà è cattiva utopia. Occorre darle forma. La città è il perenne esperimento per dare forma alla contraddizione.
Questo libro porta in superficie il lato nascosto del pensiero e della personalità di Marshall McLuhan. È il lato costituito dalla sua esperienza religiosa. I suoi critici sono stati già messi a dura prova nell'esaminare le sue "provocazioni" come "il mezzo è il messaggio" che spostavano l'analisi dei media dal contenuto al canale che lo veicola. Men che meno si sono cimentati nel cogliere l'intima connessione tra le sue tesi sul mondo fisico, riguardanti l'universo dei media e i suoi slanci metafisici, orientati a cogliere ciò che sta oltre la parvenza delle cose. E tanto meno hanno letto tutta la profondità e complessità della sua vita, segnata da un momento topico, quello della sua conversione a 25 anni dalla tradizione protestante della famiglia all'adesione alla vita della Chiesa Cattolica. Questo libro raccoglie i testi fondamentali in cui egli ha espresso, con pudore ma con fermezza, questo suo itinerario culturale e spirituale. Ed ha anche proiettato nel futuro i tratti fondamentali della nostra transizione verso la società postalfabetica, immaginando la non lontana apertura del Concilio Vaticano III necessario per ricollocare il cristiano e l'uomo d'oggi come un protagonista del cambiamento in atto.
La nostra è un'epoca di grande disorientamento: un affannato stordimento si accompagna a decisioni sempre revocabili e confuse, la misura psichica e spirituale dell'esperienza è turbata. La necessità di ricercare una "carta del senso" nasce dalla duplice esigenza di rispondere all'incertezza e di esercitare la propria libertà. Identificare un percorso capace di reggere le asprezze della vita significa infatti portare alla luce la verità di se stessi uscendo dalla prigione del proprio io angusto per trascendersi nel mondo. Nel solco di un rinnovamento della saggezza antica, l'autore delinea una via percorribile nella vita personale e nella vita pubblica, mettere a frutto i saperi della psicologia profondo e quelli della filosofia intesa come modo di vivere, a partire da Cari Gustav Jung e da Pierre Hadot.
In un periodo storico come il nostro, in cui le affermazioni della riflessione cristiana vengono delegittimate da correnti figlie dell’illuminismo e del soggettivismo, mentre la società si distacca dalla dimensione religiosa della vita, la riflessione rosminiana diviene attuale, soprattutto in servizio di una Chiesa che si trova ad affrontare, oggi più che mai, una sfida decisiva. L’educazione del clero secolare, già carente ai tempi di Rosmini, rischia oggi di favorire anche nei fedeli ignoranza o deviazione del fervore religioso. Un pensiero debole e indebolito rischia di penetrare anche nell’ambito educativo di matrice cristiana. Per questa ragione la proposta rosminiana si configura come una risposta puntuale al problema formativo, costituita da una profonda maturazione spirituale e da una valida riflessione intellettuale.
"Questo libro ci mostra innanzi tutto che la 'via lunga', che è l'ermeneutica critica ricoeuriana, mantiene, nella pluralità dei percorsi, l'unità della questione etica fondamentale: il compito della filosofia, inteso come problema teoretico e pratico. La via ricoeuriana è lunga per la genesi interdisciplinare dei concetti, che il filosofo elabora ripensando il campo categoriale della psicoanalisi, della teoria dell'azione, della teoria della storia, dell'epistemologia delle scienze umane; ma è una via che persegue un compito unitario, compito che Busacchi identifica con la definizione di un 'modello procedurale filosofico', o modello di un'ermeneutica critica che integri spiegazione e comprensione. Contributo fondamentale di questo libro è ricostruire i percorsi plurali attraverso cui Ricoeur si immerge di volta in volta nelle discipline e nelle metodologie, dalla psicoanalisi, alla retorica, alla storia, con una curiosità stupefacente per la formazione di campi concettuali e argomentativi: la filosofia di Ricoeur nasce come una vera e propria polifonia discorsiva, di cui l'autore di questo libro riesce sempre a mostrare l'intenzione filosofica fortemente unitaria." (Dalla Prefazione di Silvana Borutti)
"Non siamo realmente noi se non quando, mettendoci di fronte a noi stessi, non coincidiamo con niente, nemmeno con la nostra singolarità" leggiamo già alle prime righe di questo libro. E subito sappiamo di trovarci di fronte a qualcuno che non si identifica né con l'uomo, né con la specie, né con una causa qualsivoglia, e neppure con se stesso. Pubblicato nel 1964, questo testo mostra con evidenza come il pensiero dell'autore fosse proiettato in avanti, verso temi che oggi appaiono ancora più urgenti. Si parla dell'albero della vita, della civiltà, dello scetticismo, della barbarie, della gloria, della malattia come in una sequenza di meditazioni segretamente collegate.
«Quale bellezza salverà il mondo?», si chiede Dostoevskij nell'Idiota. Attraversando la storia dell'estetica dalla sua concezione antica e testimoniandola nella nostra contemporaneità questo libro giunge alle conclusioni che furono di Charles Moeller in Saggezza greca e paradosso cristiano: la bellezza dell'arte su questa Terra è superata dalla bellezza dei santi, quindi dell'uomo, che di Dio è immagine. «La gloria di Dio è l'uomo vivente», aveva affermato prima di lui icasticamente sant'Ireneo. Il percorso del volume investe i campi artistici letterario, figurativo e quello filosofico sorpresi sotto la luce portata dall'avvenimento cristiano.
"La bellezza può consolare o turbare; può essere sacra o profana; può essere divertente, stimolante, ispiratrice, raggelante. Può influenzarci in infiniti modi, ma mai viene considerata con indifferenza: la bellezza esige di essere notata." Con queste parole il filosofo inglese Roger Scruton apre il suo ultimo saggio, una ricognizione al tempo stesso profonda e accessibile sul significato della bellezza e sul posto che essa occupa nella nostra vita. Il punto non è tanto trovare una definizione esaustiva di ciò che piace, ma riflettere sulla nostra esperienza della bellezza, trovare il senso delle emozioni che essa suscita. Tuttavia l'autore non si sottrae al confronto con un dibattito culturale e filosofico che ha radici lontane e voci di somma autorevolezza. Egli espone e spiega le idee di Platone, che vede il bello come via che conduce al trascendente; quelle di Tommaso d'Aquino, per cui la bellezza è un attributo dell'essere e un dono di Dio, per soffermarsi poi sulle teorie estetiche di pensatori moderni, primo fra tutti Kant, del quale analizza approfonditamente la dottrina sulla natura del giudizio estetico.
Nelle alterne vicende dell'esistenza terrena, la percezione della bellezza costituisce per l'anima un'esperienza fondamentale per l'intensità e la qualità degli affetti e dei pensieri che suscita, e per i cammini e le prospettive che può in vario modo dischiudere. Per Plotino infatti la bellezza rappresenta un elemento imprescindibile di quello che possiamo chiamare il romanzo dell'anima: racconto drammatico e insieme meditazione filosofica che ha per oggetto la vita della psyché oscillante tra i due poli dell'intelligibile e della materia, fintanto che non si produca, nella folgorazione istantanea, il contatto ineffabile con il principio primo della realtà. Dal visibile all'invisibile, dal materiale all'immateriale, dalla dimensione dei corpi al regno della mente e del pensiero assoluti, dal dispiegamento del molteplice all'unità assoluta: questo è il viaggio iniziatico cui i trattati plotiniani qui raccolti (Il bello, Il bello intelligibile e Il bene e l'Uno) invitano il proprio lettore, questa è la traiettoria di una philosophia, di un "amore della sapienza" che, giorno dopo giorno, è esercizio e pratica di sé, impegno vitale e sforzo strenuo di accedere a un altro piano di coscienza e a una diversa forma di esistenza.
I ricordi scolastici, a volte poco piacevoli, ci hanno abituato a pensare che la filosofia sia di casa tra volumi polverosi e nei pensieri astratti di studiosi lontani dalla realtà. Maria Bettetini, con piglio divertito e rigore scientifico, riporta finalmente il pensiero filosofico alla dimensione che fin dall'antichità le è propria: un benefico esercizio della mente, utile per affrontare anche i problemi di tutti i giorni. Intrecciando le nostre vite con quelle, spesso molto ordinarie, dei filosofi, ci stupiremo forse nel ritrovare molti dei vizi e delle debolezze che ci contraddistinguono. Ma in questo divertente dialogo a distanza scopriremo anche l'importanza di porre le domande giuste, prima di cercare frettolose risposte. Un invito a scoprire la bellezza con cui la filosofia può colorare le nostre vite, in cui può accadere di sorprendere Aristotele nella cucina di casa, dialogare con Agostino sotto l'ombrellone, e persino incontrare Hegel in coda al supermercato.
E se la metafisica fosse il più grande beneficio della storia dell'umanità? La metafisica si basa su un'esperienza semplicissima e sconcertante: quella dell'infinita bellezza del mondo che si impone alla nostra intelligenza, malgrado il male, la sofferenza e l'assurdo in cui ci imbattiamo di continuo e che suscitano la nostra indignazione solo perché l'aspettativa metafisica è predominante. L'idea alla base della metafisica è che questa bellezza ha una ragione. Scoprendo la bellezza delle cose, la cui contemplazione fa la nostra felicità, e riconoscendo una dignità all'umano, che a quella bellezza partecipa nella sua capacità di trascendenza, la metafisica ci procura delle ragioni per vivere e sperare, realizzando quindi la finalità della filosofia stessa. Ogni filosofia o è metafisica, o è triste poiché non lo è.
Certi trionfi sono peggiori delle eclissi. È accaduto anche alla bellezza. Proscritta come imbarazzante anticaglia dal sussiego postmodernista, ha poi riguadagnato terreno nella vita quotidiana attraverso un'idea artefatta di naturalezza e il culto della prestanza corporea, che promette a chiunque una facile elusione del proprio "ricettacolo di fango". Stefano Zecchi non si compiace affatto di un simile rientro in scena della bellezza. Se oltre vent'anni fa la riscattava dal limbo di irrilevanza in cui l'aveva confinata l'intero Novecento, avanguardista e "post", adesso la difende dalla sua versione cosmetica, domenicale. Nella nuova edizione di quel saggio controcorrente, accolto con successo, Zecchi torna a essere felicemente inattuale. Ai suoi occhi rimozione estetica ed esaltazione sociale appartengono allo stesso orizzonte isterilito, in cui ancora una volta viene aggirata la domanda di senso che è racchiusa nella rappresentazione di una forma sensibile e che costituisce la vera dimensione utopica dell'esistenza. Più che salvare il mondo, secondo l'auspicio di Dostoevskij, oggi la bellezza deve essere messa in salvo dal mondo.