
Questo corso di lezioni, tenuto da Heidegger nel semestre invernale 1925-26 a Marburgo, è legato come gli altri corsi da lui tenuti in quegli anni, all'atmosfera di "Essere e tempo", un'atmosfera husserliana nella quale è già avvenuto qualcosa di non più husserliano. La critica ha ampiamente illustrato, proprio tenendo conto della pubblicazione di tali corsi, in che senso Heidegger si muova ancora all'interno della fenomenologia husserliana pur essendone ormai sostanzialmente fuori. Le tematiche esistenziali maturano sul terreno stesso della fenomenologia. Non c'è, quindi, una contrapposizione netta fra uno Heidegger fenomenologo e uno Heidegger esistenzialista.
“Legga la Logica di Lotze”. L’invito perentorio di Martin Heidegger a colloquio con un suo allievo, Georg Picht, è forse la miglior esortazione a fare propria quella selva di argomentazioni logiche attraverso le quali il maestro di Messkirch si è “dovuto fare largo”. Un’opera, quella di Lotze, che ha riscosso l’ammirazione di Husserl, il quale ne esaltava in specie “la geniale interpretazione della dottrina platonica delle idee”, ma anche del ‘primo’ Heidegger che ne aveva avuto contezza grazie alla pregevole cura e introduzione di Georg Misch (1912), sulla quale è stata condotta la presente traduzione. Misch riproduce la seconda edizione, quella del 1880, che contiene, tra l’altro, la ‘nota sul calcolo logico’, ovvero un confronto serrato con l’algebra della logica di Georg Boole, ma anche di Jevons e Schröder. La “più difficile” opera di Lotze, per sua stessa ammissione, si staglia come un ‘unicum’ nella sua produzione e rappresenta una tappa imprescindibile per chi voglia accostarsi a quello snodo del pensiero in cui confluiscono neokantismo, filosofia dei valori, fenomenologia, psicologia fisiologica e descrittiva, nonché proto- esistenzialismo. È stata altresì riscoperta nel dibattito analitico degli anni ’80 del secolo scorso, grazie agli interventi di Sluga, Dummett e Gabriel che ne hanno messo in luce la prossimità con la successiva opera di Frege (allievo di Lotze a Göttingen). Sarebbe, ad avviso di Sluga e Gabriel, anticipatrice del cosiddetto ‘terzo regno’ fregeano, quello dei pensieri. Meno fortunata e meno tradotta del Mikrokosmus, la Logik, prima parte di un System der Philosophie rimasto incompiuto, raccoglie nel I libro le riflessioni della ‘piccola logica’ del 1843, sostanzialmente immodificata, e vi affianca una ‘logica applicata’ (II libro) nonché una ‘teoria della conoscenza’ (III libro) denominata ‘metodologia’ con un significato del tutto peculiare. La chiusa dell’opera, diventata celebre perché citata da Husserl ne La filosofia come scienza rigorosa, sintetizza da un lato l’istanza di recuperare l’intuizione speculativa a fronte dell’idolatria universale dell’esperienza, e dall’altro auspica per la filosofia tedesca – e per la filosofia tout court – una ‘rinascita’ “nel tentativo non solo di calcolare bensì di comprendere il corso del mondo”.
Rudolf Hermann Lotze
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Alla base di ogni attività intellettuale umana, alla radice di ciò che definisce la nostra unicità nel regno animale, c'è il ragionamento, la capacità di argomentare. In una parola, la logica. In questo libretto agile e discorsivo Graham Priest non indulge in tecnicismi e formule matematiche, ma esalta il fascino e le suggestioni offerte da paradossi e sillogismi. Esempi pratici e richiami letterari diventano quindi lo strumento con il quale Priest accompagna il lettore nel cuore di una delle discipline speculative più raffinate dello scibile umano. Far riflettere, più che fornire nozioni. Suggerire, più che affermare. Per scoprire infine come la logica, che affonda le sue origini nell'antichità, ha offerto non più di mezzo secolo fa le fondamenta teoriche alla cultura digitale e informatica che oggi pervade la nostra società.
Il lettore che cercasse in questo scritto di Cassirer uno studio sulla linguistica, passando alla lettura ne resterebbe sconcertato. Si tratta piuttosto, indirettamente, come suggerisce per ironia socratica la citazione di Platone presente nel testo, di ricordare ai linguisti lo statuto filosofico di questioni che ancora si pongono alla loro attenzione e, con un movimento complementare, di chiarire ai loro occhi i considerevoli spostamenti filosofici che gli sviluppi contemporanei delle scienze sociali, compresa evidentemente la linguistica, hanno apportato.
Un serrato confronto tra un filosofo e un teologo sul gesto umano del costruire e sul senso dell'abitare. Dialogando con Heidegger, Derrida, Blanchot, Augé, Lévinas, Baudrillard, Benjamin, la Bibbia, ed altro ancora, il saggio riflette sulla differenza tra lo spazio ed il luogo, sulla natura della casa, sul tema della città e sulla perversione della convivenza umana nelle megalopoli contemporanee.
Chi, durante l'infanzia, non ha fatto l'esperienza spaventosa di avanzare a tastoni nella notte nera? Alain Badiou, il più celebre filosofo francese, prende le mosse dai giochi infantili nel buio per esaminare, in brevi indimenticabili capitoli, le tante forme che il nero prende nel nostro immaginario e nella nostra cultura: il nero dell'inchiostro sulla carta e quello delle fascette sui volti nelle riviste pornografiche; il nero dei misteri cosmologici e il nero doloroso del lutto... In questo libro di straordinaria intensità, il teatro intimo del grande pensatore diviene così occasione per un'esplorazione filosofica fatta di ricordi, di sottili ragionamenti, di improvvise - è il caso di dirlo -illuminazioni, che coinvolgono la musica, la pittura, la politica, il sesso, la metafisica. Il nero non è mai stato così luminoso.
"Saggio che si propone di ricostruire un quadro storico nell'evoluzione semantica dei termini relativi alla fenomenologia della spirazione (pneuma e spirito) in età antica, soprattutto tarda." (dalla prefazione di Aldo Magris).
«Se vogliamo darle dei nomi - afferma Jaspers nel discorso del 1946 qui pubblicato -, l'Europa è la Bibbia e l'antichità. L'Europa è Omero, Eschilo, Sofocle, Euripide, è Fidia, è Platone e Aristotele e Plotino, è Virgilio e Omero, è Dante, Shakespeare, Goethe, è Cervantes e Racine e Molière, è Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Rembrandt, Velàzquez, è Bach, Mozart, Beethoven, è Agostino, Anselmo, Tommaso, Niccolò Cusano, Spinoza, Pascal, Kant, Hegel, è Cicerone, Erasmo, Voltaire. L'Europa è nei duomi e nei palazzi e nelle rovine, è Gerusalemme, Atene, Roma, Parigi, Oxford, Ginevra, Weimar, l'Europa è la democrazia di Atene, della Roma repubblicana, degli svizzeri e degli olandesi, degli anglosassoni». Ma essa non è un museo e non è nemmeno identificabile con uno di questi momenti: per definirne la natura bisogna risalire alla sua origine più profonda, dove libertà, storia e scienza danno vita a una sempre nuova e rinnovantesi trasformazione. Non si è europei, ma lo si diventa stando in equilibrio sull'orlo di questa origine.
Cuore e ragione in Pascal sono indissolubilmente legati come esprit de finisse ed esprit de Gèometrie: nella loro unità costituiscono la facoltà conoscitiva, del vero e del bene, propriamente umana. I testi qui tradotti insieme all'opuscolo incompiuto De l'esperit geometrie illuminano la genesi dell'epistemologia pascaliana, fungendo da "discorso sul metodo".
Chiamato al compito abbastanza difficile di definire lo spirito della filosofia medioevale, ho accettato, pensando all'opinione assai diffusa che, se il Medio Evo ha una letteratura e un'arte, non ha una filosofia propria. Tentar di sceverare lo spirito di questa filosofia, era impegnarsi a fornire la prova della esistenza, o a confessare ch'essa non è mai esistita. Cercando di definirla nella sua propria essenza, mi sono visto condotto a presentarla come la "filosofia cristiana" per eccellenza. Non si tratta di sostenere che il Medio Evo abbia creato questa filosofia dal nulla, non più di quanto abbia tratto dal nulla la sua arte e la sua letteratura. Non si tratta neppure di pretendere che nel Medio Evo non ci sia stata altra filosofia che la cristiana, non più di quanto si potrebbe pretendere che tutta la letteratura medioevale e tutta l'arte medioevale siano cristiane. Il solo problema da esaminarsi è sapere se la nozione di filosofia cristiana abbia un significato, e se la filosofia medioevale, considerata nei suoi rappresentanti più cospicui, non ne sia precisamente l'espressione storica più adeguata. Lo spirito della filosofia medioevale, quale lo s'intende qui, è dunque lo spirito cristiano, che penetra la tradizione greca, la elabora dall'interno e le fa produrre una visione del mondo, una Weltanschauung, specificatamente cristiana.
"Nell'attraversare quella stanza, nell'aprire quella finestra, nel rigovernare quel letto e quella cucina, il soggetto viene investito da ricordi, sensazioni, sentimenti, e così, senza averlo propriamente deciso, si trova a rivivere e ripensare, a immaginare e a fantasticare, come se egli fosse accolto da un flusso di emozioni e parole che gli rivela come quella stanza e quella finestra, nel letto e quella cucina non sono mai stati dei semplici oggetti a sua disposizione o dei meri spazi da occupare, essendo piuttosto il proprio luogo, la "propria casa" senza proprietà".

