
L’assunto fondamentale di questa monumentale opera del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, OP, è un approfondimento scientifico della nozione metafisica di persona, nei suoi tre gradi fondamentali (persona umana, persona angelica e persona divina), mediante l’uso delle categorie metafisiche della analogia e della partecipazione.
L’analisi di P.Tyn consente così di raggiungere un concetto unitario e nello stesso tempo plurificato di persona. In modo speciale è interessante la distinzione tra la persona umana, composta di anima e di corpo, e la persona puramente spirituale (angelica e divina). Inoltre è importante la distinzione tra persona finita (umana ed angelica), dove si dà la composizione reale di essenza-esistenza e di sostanza-accidenti, e la Persona divina, la quale è pura sostanza e nella quale l’essenza coincide con l’esistenza, ciò che S.Tommaso chiama l’ipsum esse per se subsistens.
La Persona divina in quest’opera non è considerata nel senso trinitario della fede cattolica, come “Relazione Sussistente”, ma in senso puramente metafisico, come quella che il Concilio Vaticano I chiama una singularis substantia spiritualis, ossia la natura divina.
La parte teoretica è preparata da una dotta e ricca disamina storica, nella quale l’Autore presenta, a partire dall’antica Grecia fino ai nostri giorni, l’evoluzione del concetto metafisico di persona posto in stretta relazione con le categorie fondamentali dell’ente, dell’essere, dell’essenza, della forma, dell’atto e della potenza.
La grande utilità che sorge da quest’opera di P.Tyn è data dal fatto che essa espone i fondamenti metafisici della morale e quindi fornisce un’illuminante indicazione su quelli che devono essere i criteri fondo per discernere nella complessa situazione di oggi ciò che serve alla persona umana e ciò che invece la distrugge.
Questo libro parla di quasi niente. Di un quasi-niente che riguarda ogni essere umano e che, aduso com'è al (diabolico?) camuffamento, ci giunge qui celato sotto la doppia maschera del morbo più celebre della storia e della finzione letteraria, che di quel morbo fa metafora, canto, fabula. Le voci antiche e recentissime (da McCarthy a Lucrezio, a Camus, a Poe, a Leopardi...) che si susseguono e si richiamano "in eco" da queste pagine sono altrettante declinazioni di un'unica domanda, che è poi il quesito fondamentale di ogni filosofia: perché? Perché siamo al mondo, se dobbiamo morire? Specie se la morte può arrivare nella forma di una catastrofica, immotivata e noncurante malattia che appare e scompare senza senso alcuno. Una malattia che uccide, ma che può far di peggio, lasciando le sue vittime "solo" vive, nude e private di qualunque parvenza di civile umanità. Perché anche l'umanità può rivelarsi una maschera. Siamo qui per scontare una colpa? Magari solo quella di essere? È un'ipotesi amara, che però lascia spazio alla speranza, alla scintilla divina che scopre un senso possibile nel cuore stesso del non-senso. Oppure non c'è alcun destino e nessuna colpa? La natura è una macchina demente, il cielo è vuoto, e il niente la vince sul quasi-niente.
La sessualità viene esaminata in tutte le sue componenti e viene poi ricondotta, per determinarne scientificamente l'essenza e la finalità, ai principi metafisici dell'antropologia e della sociologia. L'autore critica l'etica sessuale di alcuni autori di scuola psicanalitica, ma anche gli autori cattolici, sia tradizionalisti che progressisti
Il filosofo si misura con i temi di "giusto" e "ingiusto" e del loro reciproco richiamarsi nella storia odierna delle città, obbedendo non più alla legge dell'"evidenza" ma forse piuttosto a quella della "contraddizione" (come mostrano gravi ingiustizie della storia, Kolyma e Auschwitz ...) resa più drammatica dalla "Babele" dell'informazione.
Il pensiero della seconda metà del Novecento, quando non ha imboccato la via che conduce all’affossamento della vocazione ontologica della filosofia e del tema della trascendenza, ha cercato vie nuove, che mettessero a frutto, e magari radicalizzassero, la critica heideggeriana alla metafisica ontica. In questa direzione va l’idea di una metafisica del desiderio, che indica una direzione di ricerca assai promettente per almeno due ragioni: in primo luogo perché individua un luogo privilegiato di accesso alla trascendenza, e in secondo luogo perché induce a rivisitare e a valorizzare momenti della storia della filosofia, nei quali la tematica del desiderio ha, in modo più o meno sotterraneo, agito significativamente, e dai quali si possono trarre suggerimenti per nuovi svolgimenti della metafisica.
A questo intento cercano di rispondere da molteplici punti di vista – che vanno da quello più strettamente teoretico a quello biblico, da quello psicoanalitico a quello storiografico – i saggi contenuti in questo volume. Essi rendono ragione, al di là anche dell’efficacia delle soluzioni proposte, del significato e dell’importanza della dimensione affettiva per la filosofia; dimensione tutt’altro che estranea alla tradizione filosofica, per quanto spesso nascosta o ignorata. La sua ripresa può oggi contribuire a rinnovare la problematica metafisica, allo stesso modo in cui, a volte in forme convergenti, contribuiscono a rinnovarla approcci inediti o fin qui poco frequentati, quali quelli del dono o della libertà.
Hanno collaborato al presente volume:
Giuseppe Barzaghi O.P., Santino Cavaciuti, Claudio Ciancio, Angelo Crescini, Flavio Cuniberto, Gerardo Cunico, Guido Cusinato, Giovanni Ferretti, Mauro Fornaro, Roberto Mancini, Angelo Marchesi, Giuseppe Riconda, Armando Rigobello, John M. Rist, Franco Riva, Piero Stefani, Federico Vercellone, Carmelo Vigna.
Proprio perchè vuole introdurre alla metafisica, questo libro non parla tanto della metafisica quanto della realtà.
Progettata nel 1785, ma pubblicata solo nel 1797 dopo lunga elaborazione, "La metafisica dei costumi" fornisce la trattazione più sistematica e definitiva del pensiero politico e giuridico di Kant. Il ritardo con cui il «sistema della metafisica tanto della natura quanto dei costumi», condotto secondo 'esigenze critiche', andò alle stampe, fu dovuto da un lato all'insoddisfazione dell'autore per alcune parti dell'opera e dall'altro alle difficoltà frapposte dalla censura prussiana. Le due parti dell'opera comparvero dapprima separatamente: i 'Princìpi metafisici della Dottrina del diritto', nel gennaio del 1797; i 'Princìpi metafisici della Dottrina della virtù'.
Questo testo occupa un posto del tutto particolare nel lungo itinerario filosofico di Kant: progettata fin dagli anni Sessanta, costituisce l'opera che completa la filosofia critica e sistematizza le questioni poste dall'etica e dal diritto. Il testo è arricchito da una serie di appendici documentarie utili per capire in che modo i contemporanei leggevano Kant e da una postfazione su alcune linee di tendenza delle interpretazioni più recenti.
La proposta di una riflessione metafisica nel presente può risultare a prima vista inattuale o quanto meno problematica. La crisi delle certezze e l'eccesso di specializzazioni sembrano suggerire che un discorso integrato sull'intero costituisca semplicemente un residuo del passato. Muovendo dall'esigenza di chiarire il senso e i limiti di un pensare metafisico nell'attuale contesto, il volume si apre con un'intervista al prof. Saturnino Muratore S.J., docente emerito di Filosofia Teoretica presso la Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale (sezione san Luigi). In modo semplice e accattivante, l'intervista condotta da Antonio Trupiano - da circa trent'anni collaboratore di Muratore - costituisce un valido strumento di indagine per quanti si accostano alla complessità del pensiero metafisico, sia nelle Facoltà e negli Istituti ecclesiastici, sia nelle Facoltà di Filosofia delle Università civili. Preso atto della crisi della filosofia neoscolastica, il percorso indicato da Muratore valorizza la svolta al soggetto dell'età moderna e affronta l'indifferibile sfida dell'integrazione tra saperi. Negli altri tre saggi raccolti nel volume, P. Coda, S. Muratore, e A. Trupiano sviluppano ulteriori aspetti del rinnovamento degli studi filosofico-teologici, in ascolto delle istanze promosse dal Concilio Vaticano II.
"Gli uomini, sia da principio sia ora, hanno incominciato a esercitare la filosofia attraverso la meraviglia. Da principio esercitarono la meraviglia sulle difficoltà che avevano a portata di mano; poi progredendo così poco alla volta, arrivarono a porsi questioni intorno a cose più grandi, per esempio su ciò che accade alla luna, al sole e agli astri e sulla nascita del tutto." (Aristotele)
Questo libro, che raccoglie le lezioni di Adorno all'Università di Francoforte nel semestre estivo del 1965, si connette strettamente alla sua opera maggiore, la "Dialettica negativa". L'ultima parte del corso ripercorre, infatti, i temi che saranno svolti, a un livello di maggiore complessità stilistica ed espressiva, in quella parte della "Dialettica" che s'intitola "Meditazioni sulla metafisica". Nel corso sulla metafisica Adorno affronta le questioni ultime alle quali la filosofia non può sottrarsi: la difficoltà di pensare dopo Auschwitz, il modo in cui questo evento trasforma l'interrogazione sul senso e rende obsoleta ogni filosofia affermativa, le domande radicali sulla morte e sulla finitezza del singolo, la natura paradossale della trascendenza, che non si lascia né affermare né negare. Nelle lezioni qui pubblicate, però, emerge anche un altro aspetto della riflessione adorniana: il confronto diretto e puntuale con il pensiero di Aristotele, inteso come l'originario momento fondativo della tradizione metafisica dell'Occidente. Nell'interpretazione dei concetti cardine della metafisica aristotelica (universale e particolare, forma e materia, potenza e atto, movimento e motore immobile) emerge l'acume critico del pensatore francofortese, che lo colloca a pieno titolo tra i grandi maestri del Novecento.