
Crisi della ragione, perdita del centro, decadenza dei valori: il nichilismo si è presentato a volte con il proprio nome, a volte sotto altre sembianze. Ma che cos'è propriamente il nichilismo? Da dove viene quest'"ospite inquietante" - come Nietzsche lo definisce - che si aggira ormai ovunque in casa nostra e che nessuno può mettere alla porta? Attraverso un'analisi storico-concettuale, Volpi risale alle radici del fenomeno, ne illustra il manifestarsi nel pensiero del Novecento e prepara una prospettiva 'oltre il nichilismo'.
La neurobiologia costituisce una delle aree scientifiche più avanzate e che più interesse suscita in tutto il mondo. Le ricerche neuroscientifiche oggi riguardano questioni come il pensiero, la coscienza, la libertà, le emozioni, che prima erano considerate un campo esclusivo della filosofia. Questo volume intende introdurre in questo settore in un modo essenziale, accessibile ma anche rigoroso, per poter così delineare ciò che potrebbe chiamarsi una "filosofia della neuroscienza".Nella prima parte si presenta una visione panoramica della storia della neuroscienza, con una particolare attenzione al pensiero di neuroscienziati contemporanei che hanno riflettuto su argomenti antropologici, spesso con interpretazioni contrastanti. La seconda parte è dedicata al rapporto tra il cervello, con le sue funzioni, e i diversi livelli della persona umana, con un'ampia sezione sulle tematiche della percezione, le emozioni di base, la coscienza del proprio corpo e la percezione delle altre persone. Il libro interesserà a tutti coloro che desiderino approfondire i rapporti che si possono tracciare tra le conoscenze neurobiologiche e l'antropologia filosofica.
Le scienze del cervello ci sorprendono ogni giorno con straordinarie scoperte, mettendo in discussione numerose idee correnti. Le nostre scelte morali sembrano non essere del tutto figlie di riflessioni e di ragioni; le nostre credenze sono influenzate non solo dalla cultura, ma anche - ci piaccia o no - dall'architettura della nostra mente, su cui non abbiamo alcun controllo. La nostra stessa autocoscienza e il concetto di persona vacillano sotto i colpi della ricerca sulle basi cerebrali della vita mentale. In questo volume, alcuni fra i maggiori esperti italiani della materia fanno il punto su una nuova disciplina, la neuroetica, chiamata a fare i conti con le acquisizioni delle neuroscienze e le loro ricadute sulla cultura e la vita pratica.
Andrea Lavazza è studioso di filosofia della mente e di scienze cognitive. Fra le sue pubblicazioni: "L'uomo a due dimensioni" (Bruno Mondadori, 2008) e "Siamo davvero liberi?" (curato con M. De Caro e G. Sartori, Codice, 2010). Giuseppe Sartori è professore ordinario di Neuroscienze cognitive presso l'Università di Padova, dove dirige anche il Master in Psicopatologia e neuropsicologia forense e la Scuola di specializzazione in Neuropsicologia.
Da dove viene la morale? Su che cosa poggiano i nostri valori? Come riusciamo a sapere cosa è bene e cosa è male? Per secoli filosofi e teologi hanno indagato la natura umana alla ricerca di una risposta. Molte sono state le intuizioni brillanti e le argomentazioni sottili. Solo oggi, però, quelle intuizioni e argomentazioni possono trovare un "saldo" legame con la storia evolutiva che ha permesso a noi e al nostro cervello di diventare quelli che siamo. Patricia Churchland ci invita a fare i conti con i processi e i meccanismi biologici che hanno contribuito a plasmare forme e modi del nostro dover essere morale. Le scoperte più recenti nell'ambito della biologia evoluzionistica, della genetica e delle neuroscienze cognitive diventano così gli strumenti essenziali per orientarsi nell'intricata selva delle questioni morali. Non si tratta, però, di cedere alla tentazione di un facile scientismo ma di riconoscere che solo se scopriamo cosa ci renda capaci di prenderci cura di noi e degli altri possiamo capire come l'animale sociale Homo sapiens sia diventato un animale morale.
Ivan Illich conduce in questo suo libro una serrata analisi critica che demitizza l'istituzione medica. L'estrema medicatizzazione della società e la gestione professionale del dolore e della morte appaiono a Illich come l'esempio paradigmatico di un fenomeno di dimensioni più ampie. La "nemesi medica", cioè la "vendetta", la minaccia per la salute quale conseguenza di una crescita eccessiva dell'organizzazione sanitaria, è infatti solo un aspetto della più generale "nemesi industriale", cioè degli effetti paradossali e delle ricadute negative di uno sviluppo abnorme della tecnologia e dei servizi. Scritto nel 1976, questo libro è oggi considerato un classico del moderno pensiero radicale.
Mai come negli ultimi tempi il tema del dono è stato oggetto di un crescente numero di ricerche che, in vario modo, si collocano fra due speculari interpretazioni. Da una parte, esso viene interpretato come espressione di puro altruismo, come gesto disinteressato e unilaterale che dispiega requisiti di eroismo, sacrificio e abnegazione. A questa concezione «purista» si oppone un indirizzo di pensiero che fa del dono un atto meramente strumentale, ammantato di gratuità, ma finalizzato all'acquisizione di potere. Questa seconda opzione teorica sembrerebbe confermata dalla prassi corrente di gadget, premi, incentivi, offerte speciali, promozioni che interessano ogni settore del mercato. Le merci, le più ordinarie come le più raffinate, vengono presentate con le vesti seducenti del regalo e vengono rese «irresistibili» perché, destinate a una rapida e implacabile obsolescenza, devono essere sostituite al più presto con nuovi e più godibili articoli.
Nel tentativo di superare le concezioni di puro altruismo e di puro utilitarismo l'autrice si sofferma sull'idea di dono come libero legame, come tessitura di due assi di un ipotetico piano cartesiano, quello verticale della gratuità (il desiderio di dare) e quello orizzontale della reciprocità (la domanda del legame).
Per tutto il tempo della loro vita gli esseri umani intrecciano il desiderio di donare e il bisogno di ricevere, l'orizzonte della gratuità e l'urgenza della reciprocità. È da qui che si può cominciare a raccontare il dono in modo nuovo.
Sommario
Introduzione. 1. Offerta di sé e relazione di dono. 2. L'intreccio del dono fra libertà e legame. 3. Le contraddizioni del dono fra filosofia e scienze sociali. 4. Le frontiere del dono fra ontologia ed etica. 5. Etica e pratica del dono. Note.
Note sull'autrice
SUSY ZANARDOè professore associato di Filosofia morale all'Università Europea di Roma. Collabora con il Centro interuniversitario per gli studi sull'etica all'Università Ca' Foscari di Venezia e con il Centro di etica generale e applicata all'Almo Collegio Borromeo di Pavia. Per Vita e Pensiero è autrice di Il legame del dono (2007) e curatrice, con Carmelo Vigna, di La regola d'oro come etica universale (2005) ed Etica di frontiera. Nuove forme del bene e del male (2008). Con Riccardo Fanciullacci ha curato Donne, uomini. Il significare della differenza (2010). È autrice di una serie di saggi sui temi di antropologia e di etica.
L'Unione economica e monetaria è stata disegnata secondo le concezioni ordoliberali del patto di stabilità e progresso. È stata pensata come l'elemento portante di una costituzione economica che avrebbe dovuto stimolare, oltrepassando le frontiere nazionali, la libera concorrenza degli attori del mercato e organizzare regole vincolanti per tutti gli Stati membri, neutralizzando le differenze di competitività esistenti nelle varie economie. Sennonché l'ipotesi che bastasse una libera e regolata concorrenza per raggiungere un benessere egualmente distribuito si è rivelata presto sbagliata. Disattese le condizioni ottimali per una moneta unica, le diseguaglianze strutturali delle varie economie nazionali hanno finito per aggravarsi; e continueranno ancora ad aggravarsi, finché la politica europea non la farà finita con il principio per cui ogni Stato nazionale deve decidere sovranamente da solo, senza guardare agli altri Stati associati.
Un'interpretazione in grado di aprire una lettura è sempre l'interpretazione di più testi al contempo. Non solo dei testi presenti - citati, glossati, commentati - ma anche di quelli assenti dalla scena della lettura, non ancora scritti o, al limite, destinati a restare immaginari. Trattandosi, qui, dell'interpretazione della "difficile e oscura" questione di chora (in greco: "spazio", "luogo", "regione") che Platone affronta nel Timeo al momento di spiegare l'origine del cosmo, occorrerà dunque convocare e far parlare, sulla scena del famoso dialogo platonico, più di un testo e più di una firma: da Derrida a Eraclito, da Heidegger ad Aristotele, da Badiou a Plotino, da Calcidio a Esiodo - e al di là. Non per svelare, infine, il segreto di chora, ma per provare a pensare, nel nome di chora, ciò che, inscritto al cuore della filosofia platonica, la eccede - eccedendo, così, i limiti dell'onto-teologia.
Un libro sul bene e sul male, sulla libertà umana e sugli strumenti che l'uomo ha a disposizione per distinguere il bene dal male e per essere pienamente uomo.
I “giardini di Adone” erano vasi in cui si facevano crescere piante a rapida fioritura per la festa del giovane amato da Afrodite. Adone era stato ucciso da un cinghiale istigato da Marte (ma forse il cinghiale era Marte…), l’amante “storico” della dea. Dal pianto della dea era nato il fiore dell’anemone. Socrate adopera i giardini di Adone come metafora della scrittura filosofica. Poiché la filo-sofia è, per definizione, una ricerca “aperta”, una ricerca incessante e inquieta, senza fine, nessun testo scritto può essere un punto fermo, un punto d’arrivo. La scrittura filosofica quindi non è che un gioco e chi si fermasse nella contemplazione dei propri risultati non sarebbe un filosofo ma, al più, un “professore” o un erudito. Però attenzione: perché, se la scrittura filosofica è un gioco, questo gioco, se praticato, deve essere preso seriamente: ogni improvvisazione, superficialità e sciatteria è improponibile; se si scrive, bisogna scrivere bene. Il tema affrontato da Platone nel Fedro è ancora d’attualità: anzi è più che mai d’attualità. Jean-Francois Lyotard ha scritto (ne La condizione post-moderna) che la nostra non è più l’epoca delle “grandi narrazioni” ma delle “piccole narrazioni” (che sono, per definizione, più attente alla scrittura). Jacques Derrida – sulla scia di Nietzsche e di Heidegger – ha concentrato l’attenzione sulla genesi dell’opera e sulla scrittura. Infine Richard Rorty ha distinto i “filosofi rivoluzionari” (quelli che hanno davvero qualcosa da dire) in sistematici ed edificanti. Questi ultimi si esprimono con una scrittura più frammentaria – spesso un commento o una “contro-scrittura”. Insomma, l’interesse per l’argomento “scrittura dei filosofi” (una volta trascurato dagli storici come ininfluente e irrilevante) sta diventando decisamente centrale nella riflessione post-moderna.
In questo libro si affronta il tema della scrittura filosofica: e se Malatrasi e Petrucci si immergono in profondità nel testi platonici, cogliendone l’andamento narrativo e rivelandone aspetti inediti, Ramploud esplora la differenza fra l’alfabeto cinese e quello greco (il primo “iconico” e “immanente”, il secondo “simbolico” e “trascendente”) e Moietta sottolinea l’importanza che ha avuto la lingua greca nella nascita e nello sviluppo della filosofia: “La Filosofia conosce… nella scrittura alfabetica la propria condizione trascendentale”. Rimane da ricordare il contributo di Casalboni che – partendo dal Fedro – ci conduce alla scoperta di un libro, I Neoplatonici, scritto nell’Ottocento e rimasto inedito per cento anni.
Nei giardini di Adone nasce da un lavoro di squadra. Cinque autori – gli stessi de Abecedario Filosofico (2019) – prendono spunto dal Fedro per osservarlo da diverse prospettive. Ne scaturisce l’attualità del Fedro (e di Platone) ma anche l’attualità dei vari interventi. “Ripensare” è pensare, cioè affrontare un tema perenne. Deve il filosofo scrivere oppure no?
GLI AUTORI
Alberto Casalboni ha insegnato Lettere. Laurea in Teologia, Laurea in Lettere Classiche, Laurea triennale in Culture e Diritti umani e Laurea Magistrale in Relazioni internazionali. Pubblicazioni: articoli su argomenti vari, in particolare sulla Divina Commedia.
Gian Luca Malatrasi, insegnante di Filosofia e storia. Laureatosi con una tesi su Heidegger, ha progressivamente spostato i suoi studi su questioni politiche ed economiche, con esplicite influenze di matrice foucaultiana e marxista. Autore di articoli e recensioni in ambito filosofico, ha al suo attivo anche pubblicazioni sul romanico.
Enzo Moietta ha insegnato Filosofia e Scienze della Comunicazione. I suoi interessi sono orientati verso il dibattito filosofico del Novecento, con particolare rilievo ai temi del linguaggio e della scrittura. Tra le sue pubblicazioni: Bilder von Jurge Tannen, Galerie Medici, Solothurn (CH), Giochi con carte truccate. La tautologia in Gregory Bateson (con A. Greppi), Antonio Pellicani Editore, Roma 1994; Un sonno senza sogno in Metamorfosi delle differenze, Aracne, Roma 2015.
Antonio Petrucci ha insegnato Filosofia, svolgendo anche un’intensa attività di giornalista, saggista, narratore. Ha collaborato a vari volumi collettivi fra i quali l’Abecedario filosofico (2019). Ha scritto un romanzo, Lottando con l’Angelo (2020), ispirato alla vita di Dostoevskij.
Alessandro Ramploud dopo la laurea in filosofia consegue un dottorato di Ricerca in Scienze Umanistiche. È attualmente docente ricercatore al dipartimento di matematica dell’Università di Pisa. La sua attività di ricerca è caratterizzata dall’interesse per la trasposizione culturale sulla quale ha pubblicato diversi contributi.