
Scritto per il convegno su "Stendhal e Milano" (Milano, 19-23 marzo 1980), questo, a quanto pare, è l'ultimo testo di Roland Barthes (Cherbourg, 12 novembre 1915 - Parigi, 26 marzo 1980). La prima pagina era stata dattiloscritta. La seconda pagina risulta inserita nella macchina per scrivere il 25 febbraio 1980, il giorno in cui Barthes fu investito da un camioncino (ricoverato in ospedale, morì dopo circa un mese). Si tratta di un testo terminato, stando al modo in cui esso si presenta, anche se, forse, come era solito fare, Roland Barthes vi avrebbe apportato qualche modifica, come risulta che abbia fatto sulla prima pagina.
Pensieri e racconti di vita, il percorso personale di una delle maggiori filosofe italiane e la storia del secondo Novecento. Un dialogo utile per uscire dalle immagini stereotipate del movimento delle donne, comprendere lo spessore politico e filosofico del femminismo della differenza e intravedere un'altra pratica dei rapporti tra i sessi, anche all'interno della vita della Scuola. Le riflessioni di Luisa Muraro riaprono alcuni discorsi troppo affrettatamente chiusi, tra cui quello sul rapporto tra la ricerca femminile (e maschile) della libertà e della felicità e la possibilità di usare ancora la parola "Dio". «Il mondo è fatto di relazioni e se pratichi rapporti dove non domina il tornaconto, se dai vita a relazioni in cui trovi il modo di restare fedele a te stesso, agli altri e a ciò che accade, allora stai già partecipando alla trasformazione del mondo».
Qual è la natura filosofica dell'amore romantico? È possibile definirlo? E definirlo può aiutare a comprenderlo? Per Francis Wolff la risposta a queste domande è sì. È questo il compito che l'autore si pone in questo libro brevissimo e illuminante, che consente di comprendere la natura complessa dell'amore romantico - composto da passione, desiderio e amicizia - e individua in questo suo carattere il motivo per cui è così sfuggente, così straziante, così appagante, così mutevole.
Dalle risate confezionate delle sitcom americane al sorriso enigmatico della Gioconda, il libro coglie la radice autentica del comico nella frattura, nella discontinuità, nella contraddizione, nell'anomalia che solleva le quinte della realtà ordinaria, facendoci intravedere le possibilità che vi sono nascoste. Nella risata noi siamo come i personaggi dei cartoon che scoprono, tutto d'un tratto, di camminare sospesi nell'aria (e poi precipitano). Di qui il senso di sollievo e di liberazione racchiuso nel riso, che ci fa prendere le distanze dal mondo così com'è, rovesciandone la forza di gravità.
Sembra che il mantra del 'non c'è alternativa' sia destinato a dominare i nostri modi di pensare. Non c'è alternativa alle politiche di austerità, al giudizio dei mercati, alla resa al capitale finanziario globale, alla crescita delle ineguaglianze. Non c'è alternativa alla dissipazione dei nostri diritti e delle nostre opportunità di cittadinanza democratica. In nome di un realismo ipocrita, la dittatura del presente scippa il senso della possibilità e riduce lo spazio dell'immaginazione politica e morale. L'esito è un impressionante aumento della sofferenza sociale. Abbiamo un disperato bisogno di idee nuove e audaci, che siano frutto dell'immaginazione politica e morale. Che non siano confinate allo spazio dei mezzi e chiamino in causa i nostri fini.
Tutte le società sono obbligate a distinguere tra i gruppi con opinioni e interessi divergenti e le procedure istituzionali e giuridiche per regolare i possibili conflitti. Ma la regolamentazione tende, nel migliore dei casi, alla ricerca di un'utopica unanimità di valori morali universali e, nel peggiore, alla riduzione al silenzio delle parti. La natura umana però, sostiene l'autore, non si lascia facilmente imbrigliare dalle regole. La giustizia deve essere invece un mezzo per consentire a ruoli e funzioni sociali diversi, con obblighi e virtù particolari, di coesistere e sopravvivere nella società civile, senza che si cerchi a tutti i costi una sostanziale e artificiosa armonia.
Dobbiamo rassegnarci alla tirannia dell'io, a una celebrazione continua dell'egoismo e dell'apparenza che si traduce in una somma di solitudini e nell'accettazione passiva delle cose come stanno? In un'appassionata discussione guidata da Edoardo Camurri, Matteo Zuppi, presidente della CEI e arcivescovo di Bologna, e Walter Veltroni, politico, scrittore e regista, illustrano le molte ragioni per non arrendersi a un mondo che ci appare sempre più disumano, ma che può essere ancora riscattato dalla nostra azione consapevole. Non arrendiamoci alla paura, soprattutto alle paure indotte: guardiamo invece in faccia le paure reali, e studiamo strategie per liberarci delle loro cause. Non arrendiamoci all'indifferenza e al fatalismo: osserviamo i veri progressi compiuti nel corso di un paio di generazioni e confidiamo nel potere dell'utopia, del sogno, della profezia. Non arrendiamoci all'inevitabilità della guerra e dei confini: diventiamo artigiani di pace e di giustizia. Viviamo in un'epoca cruciale, in cui il mondo è sull'orlo della catastrofe ambientale, climatica, nucleare, e allo stesso tempo disponiamo di risorse tecnologiche e scientifiche inimmaginabili fino a pochi decenni fa. Abbiamo il dovere di batterci per orientare il futuro: verso il bene dell'umanità.
Il duello sconfinato tra chi aspira a conoscere e chi è ignorante. La massa predilige sempre di più l'ignoranza e se ne vanta beata, pur annegando; gli esseri conoscenti, rari, proseguono in un progresso costante e faticoso, escono dalla caverna platonica e vedono il sole. Con estrema ponderata levità, di questo tratta il volume: di un male che sta dominando e di un bene che si sta prosciugando, sia nel campo quotidiano, nonché umanistico, sia in quello scientifico. Un saggio che lascia solo intravedere le tante complessità delle tematiche che vi soggiacciono, nella sfera pubblica e in quella privata, e in quale senso pubblico e privato riescano a intrecciarsi inesorabilmente nel conscio e nell'inconscio.
«La ricerca mette in luce l'itinerario con cui il filosofo francese ha definito i tratti di un'originale trama metafisica e di un'articolata ermeneutica applicata alle Scritture Sacre. È difficile non riconoscere in esse un'occasione per il pensiero trinitario, affinché conferisca alla sua stessa teorizzazione un adeguato sfondo di credibilità. Le pagine di questo volume prendono anche in considerazione alcune questioni teologiche affrontate direttamente dal filosofo di Valence, soprattutto quelle attinenti alla denominazione divina. Si tratta di tematiche che realizzano un'abbozzata, ma per nulla insignificante, teologia, in cui non è difficile riconoscere la pertinenza per le ricerche trinitarie. Lo studio, inoltre, evidenzia il quadro globale dell'acquisizione del pensiero ricoeuriano in ambito di teologia sistematica: da esso si evince quanto e in che modo la teologia del mistero di Dio abbia già beneficiato del contributo filosofico e teologico del pensatore francese, ma quanto oltremodo essa potrebbe ancora recepire dal suo pensiero ontologico-ermeneutico, dalle sue considerazioni metafisiche e dai suoi contributi teologici ed esegetici».
"Nomi propri" è un libro d'incontri. I quattordici saggi che lo compongono sono le tappe di un cammino ideale, compiuto insieme ai filosofi, gli scrittori e i poeti con i quali Emmanuel Lévinas ha voluto aprire uno spazio di condivisione e di confronto. Potrebbe forse bastare questo a indicarne l'importanza nell'opera di un autore che ha riconosciuto nella relazione con l'altro il fondamento e il fine della riflessione filosofica. Ma qui non si tratta soltanto di rendere omaggio a Paul Celan, marcare una distanza con Kierkegaard o dialogare con Derrida. Piuttosto, l'incontro diventa occasione per definire le coordinate di una ricerca che qui si rivela, con chiarezza cristallina, in tutti i suoi temi portanti: l'affermazione del primato dell'etica, la critica della metafisica occidentale, il valore del linguaggio poetico che, al di là dei contenuti, è veicolo dell'inesprimibile e strumento di contatto con l'altro. Scrivendo sulla decifrazione dell'alterità in Proust, la lettura del sentimento in Jean Wahl e la teoria della conoscenza di Martin Buber - per limitarci ad alcuni esempi - Lévinas mette così alla prova il proprio pensiero e ne disegna la sintesi.
Ogni giorno ci serviamo di nomi. Ignoriamo tuttavia quale sia la loro natura più segreta. Inoltre temiamo l’anonimato come il nostro peggiore nemico. Ma finché non sappiamo cosa siano i nomi, non potremo affrontare davvero quella determinazione dell’esistenza che sappiamo che in qualche modo ci tocca e ci riguarda tutti da vicino. Così parlando, leghiamo il nostro dire alla denominazione di cose, di persone, di fatti, siano essi reali o inesistenti. Eppure di questo gesto così abituale ignoriamo le conseguenze più profonde. Né abbiamo ancora imparato a pensare cosa significhi dare un nome o portarne uno. Cosa implica il fatto di dare un nome a un figlio? a degli animali? Cosa significa chiamare qualcuno “amico”? Cos’è quel nome di famiglia nel quale ognuno reca memoria del padre e della madre, oltre la loro morte? Nomi di nomi s’interroga sulle figure che costellano la nostra vita (la madre, il padre, gli amici e i nemici, i figli e le famiglie, l’ospite, il testimone, il capo, il colpevole, gli animali…) per ripensarle a fondo a partire dalla valenza che in ciascuna di loro assume il nome proprio.
GLI AUTORI
GIANLUCA SOLLA insegna Filosofia presso l'Università di Verona.
Chi sono i barbari? Si dice siano "gli altri". E se invece fossimo proprio noi? Il nostro imbarbarimento corrisponde alla diffusa sottocultura omologante alimentata dall'attuale stile di governo. È questa l'"anomalia italiana" in cui Rovatti identifica i tratti della barbarie contemporanea. Il libro è costruito attraverso una serie di scene ritagliate dalla recente realtà sociale e politica italiana. La strisciante violenza quotidiana, l'oscillazione perversa tra privato e pubblico, lo sfacelo della scuola, una cultura degradata a "cultura televisiva" e la diffusione di una neolingua semplicistica e violenta. Episodi sintomatici, ciascuno a suo modo, della nostra barbarie, ma a volte anche spiragli di una possibile via di fuga dalla sua morsa.

