
Lavorare costa fatica e farlo in modo virtuoso ancora di più. Non sempre si esercita il lavoro che si voleva fare, magari il sogno della propria vita, ma si è costretti a espletare quello che le circostanze esistenziali ci hanno offerto. A volte si trovano nuovi e costruttivi stimoli in questo a volte svogliatezza e noia. In entrambi i casi, però, il lavoro deve essere sempre "ben fatto". Non importa se è modesto, umile, socialmente non particolarmente apprezzato o se si tratta di un lavoro di grande responsabilità e prestigio professionale. Che tu sia un operatore ecologico, un bracciante, un medico o un magistrato devi far bene il tuo lavoro. Il lavoro richiede abilità e competenza, ma coinvolge anche le reazioni, lo stato d'animo con cui lo si affronta, i risultati che si intendono conseguire, ecc. E se deve essere "ben fatto" come si diceva prima la dimensione del "bene" da vivere in esso si rivela determinante. La ricerca del ben-essere personale e degli altri nel lavoro richiede la "fatica" di mettere in gioco le virtù decisionali, le virtù manageriali, le virtù sociali e le virtù individuali. Il tutto è scritto con un linguaggio divulgativo e accattivante.
Rallentare il ritmo. Ascoltare gli altri, rivolgere maggiore attenzione alle cose che ci circondano. E indulgere, perché no, al dolce far niente. In un mondo dominato dalla fretta (di arrivare primi, di diventare grandi, potenti, ricchi), a volte fa bene resistere all'imperativo della velocità e dell'efficienza È il modo più saggio di stare al mondo, secondo un maestro del saper vivere come Pierre Sansot In questo elogio della lentezza, una voce fuori dal coro ci esorta in maniera divertente e contagiosa a dare al tempo qualche chance in più: aspettare, passeggiare senza meta, sognare, scrivere, gustare la buona tavola e il buon vino. Assaporare ogni giorno e ogni istante, fino in fondo.
Il cibo come chiave di benessere integrale e connessione, il suo potere nel coltivare relazioni, tradizioni e identità, contrastando l'individualismo e la frenesia della vita moderna. Quando mangiamo ci nutriamo di alimenti, ma anche di simboli, di miti, di credenze, di ideali, di storia e di tradizioni, quindi di tutti gli ingredienti che sostengono la ricerca del senso della vita, l'importanza delle relazioni e la consapevolezza dell'interdipendenza che lega tutte le persone tra loro, con gli altri esseri viventi e con il pianeta. Da questo presupposto Rossella Semplici, psicologa, inizia il suo viaggio «nelle dimensioni dell'essere umano attraverso il cibo», portandoci a scoprire quanto l'alimentazione sia connessa alle relazioni con sé stessi e con gli altri. Un itinerario affascinante, che ci interroga e ci sprona a considerare il cibo e la tavola come uno spazio e un tempo per riscoprire il valore e l'importanza del prendersi cura di sé, inteso come ricerca del ben-essere integrale, da perseguire in armonia con il divenire della persona e della realtà di cui è parte.
L'antropologia filosofica contemporanea, corrente emergente nel panorama culturale del Novecento, si propone di gettare un ponte tra filosofia e scienza incardinandolo sul problema dell'uomo, al fine di presentarne un'immagine globale, la quale permetta all'essere umano di recuperare la comprensione di se stesso e di identificare i suoi tratti caratteristici, la sua natura e il suo posto nel mondo. Di fronte alla "domanda sull'uomo", che da sempre la filosofia si è posta, l'antropologia filosofica vuole difendere la sua funzione critica e metodologica nei confronti di tutte quelle scienze che trattano alcuni aspetti dell'essere umano e pretendono di occuparsene in esclusiva. Si presenta, pertanto, come una dottrina ricca di tematiche trasversali e di grande attualità, volte ad affrontare le sfide della contemporaneità, dove i processi di omologazione e manipolazione dell'esistenza si scontrano con le esigenze di libertà, autonomia e rispetto dei diritti individuali.
Uno dei più autorevoli teologi morali italiani spiega i radicali mutamenti indotti dagli sviluppi della scienza e della tecnica che hanno trasformato e trasformano l'esistenza umana in tutte le sue espressioni, incidendo sulle coscienze e rendendo problematica la stessa identità personale. La rapidità di tali mutamenti, tra globalizzazione ed era digitale, provocano uno stato di disagio esistenziale che esige, per essere adeguatamente affrontato, un approccio equilibrato che evidenzi potenzialità e limiti, senza incorrere in sterili tentazioni di superficiale ottimismo o di pregiudiziale rifiuto. Una guida per migliorare con consapevolezza la qualità della vita anche interiore.
In questo testo dedicato all'ecosofia, a quella saggezza della Terra che l'uomo ha purtroppo dimenticato di ascoltare, Panikkar offre una cornice interculturale-ermeneutica globale ai fini di instaurare rapporti equilibrati tra il sé e la Natura. Oggi il pericolo non viene dagli Dèi né dalla Natura, bensì da un mondo "arte-fatto" e fuori controllo che ha squilibrato l'intera Natura. In misura maggiore che in qualsiasi epoca del passato, le diverse culture hanno assoluto bisogno l'una dell'altra. Nessuna cultura, da sola - e le religioni, filosofie, scienze naturali sono fenomeni culturali - può pretendere di fornire la risposta ai problemi dell'esistenza. Non che vi siano universali culturali, tuttavia si trovano costanti antropologiche di base e visioni omeomorfiche della realtà. Nella sua globalità, la realtà si presenta in tre dimensioni reciprocamente irriducibili, ma ognuna delle quali presuppone l'altra: sono indicate dai termini Cosmo (materia/energia, Mitwelt cioè co-mondo), Uomo (consapevolezza, io/sé), Dio (abisso insondabile, energia, mistero inaccessibile). Qual è quindi il valore di questa intuizione cosmoteandrica del nostro rapporto con la Natura, basato sulla percezione della Realtà nel suo complesso e nelle sue parti, che fa tesoro della sapienza di tutte le epoche e le culture? Nella prima parte l'autore intende rispondere a tale domanda sviluppando nove tesi.
Gli scritti raccolti in questo secondo tomo del volume dedicato al "Pensiero delle pratiche" riprendono sotto una nuova luce temi centrali nel lavoro dell'autore sin dagli anni Settanta e Ottanta. Da un lato è in questione la relazione tra semiotica ed ermeneutica; da un altro lato il pensiero delle pratiche e la sua relazione col tema della scrittura. Il punto di approdo è quella declinazione etica del conoscere e della funzione genealogica della filosofia che assume, nei lavori qui presentati, i tratti seducenti e sconcertanti del salto nell'abisso. Il pensiero delle pratiche dissolve infatti i punti di appoggio consolidati nella tradizione filosofica e impone di slanciarsi verso forme inedite del filosofare, non per amore di novità, ma di verità. Come già era emerso nel percorso "abissale" di Archivio Spinoza (in Opere, voi. IV, tomo I), vita e sapere si intrecciano in modalità essenzialmente problematiche e nondimeno feconde. Qui l'intreccio assume come tema una domanda tipicamente gnoseologica: come è possibile la corrispondenza di mente e mondo, che è la condizione stessa del conoscere? Questa domanda è il filo rosso che lega strettamente "Idoli della conoscenza" con "Gli abiti, le pratiche, i saperi" e con i sei testi, più recenti e più antichi, raccolti nelle appendici.
I contributi raccolti in questo volume colgono la sfida a tutto campo di una domanda sull'io che non si lascia catturare nelle maglie di un pensiero omologante. Al contrario, lascia precipitare nel nostro presente sguardi diversi la cui radice continua a inviare segnali - come un sonar inabissato nell'oceano - che attendono solo di essere ascoltati e decifrati. I testi, organizzati intorno alle sezioni "corpo", "altro", "inconscio", "storia" e "linguaggio", commentano l'opera di autori ed epoche distanti nel tempo, accomunati dalla medesima esigenza: individuare nell'intrico dell'io alcuni tracciati poco esplorati che rimettano in discussione conquiste ed esiti teorici oggi considerati indiscutibili e definitivi. Nella specificità degli stili e dei percorsi qui raccolti, si tratterà di riconoscere un comune interrogare che testimonia il senso profondo dell'intrico dell'io: essere intreccio di voci, crocevia di scambi, irriducibile apertura all'alterità.
Eloisa e Abelardo: una coppia indimenticabile vissuta nel secolo di Tristano e Isotta. La loro storia, che ha conosciuto travisamenti e misconoscimenti, è qui ricostruita con rigore attraverso la suggestiva lettura del loro epistolario, in grado di mostrare i due volti dell'umanità medievale: un confronto tra passione e filosofia, fede e ragione, vissuto in una «dialettica di coppia» la cui tensione e densità restano fuori del comune e perciò altamente emblematiche. Lo stile vivace di Régine Pernoud assume come sfondo il secolo XII, caratterizzato da un clima di febbrile ripresa degli studi e da ideali di riforma monastico-religiosa. E inoltre la stagione dell'amor cortese, degli scontri fra eresia e ortodossia, quando l'arte romanica ormai pienamente sviluppata cede il passo ai primi tentativi di «architettura ragionata». Il desiderio di assoluto si snebbia e si umanizza, fornendo le strutture per le grandi somme teologiche della Scolastica. L'amore fra Eloisa e Abelardo è dunque la storia di due amanti che la vita separa e spinge verso una prospettiva di rinuncia. Ma anche dalla privazione l'amore, in un alternarsi di luci e ombre, finisce per trionfare conducendo alla santità.
Il seminario intitolato a Saffo nasce dal desiderio di riportare le idee alla loro scaturigine esistenziale, in una riunificazione di elementi palpabili e sottili che le discipline hanno via via svincolato e dissolto, ma che si presentano unite nell'esperienza della vita. Come dice la poesia che celebra l'amore - massima potenza dell'umana esperienza conoscitiva - al culmine del piacere pare di morire: un «convergere di opposte passioni» permette di cogliere, con tutto l'essere, il significato della vita. Saffo ci invita a pensare col corpo, al cui centro batte il cuore, dispensatore di impulsi poetici. Se Eros è la via della conoscenza filosofica, la poesia celebra questo cammino e il teatro lo rappresenta. Stare sul crinale della passione conoscitiva forse vuol dire correre il rischio di andare fuori orbita, come l'asteroide, o alla deriva, come la nave di Platone verso Siracusa, perché la salvezza è continuare a percorrere quelle stesse rotte antiche e ricordare perché si misero in mare Ulisse e i suoi compagni, oltre le colonne d'Ercole, alla ricerca della propria umanità, sempre da venire, da fare, da inseguire in versi. Il canto echeggia come nostalgia di casa a cui voler tornare sempre, senza potervi dimorare mai.
Non è forse un caso che tempi inquieti, tempi di cambiamento come il nostro, possano trovare conforto nelle pagine di Nicola Cusano, un pensatore di «passaggio» tra Medioevo e Modernità, enigmatico e affascinante, che sembra sfidare i secoli, le interpretazioni e le ideologie. Questo libro dimostra l'attualità del suo pensiero, evidenziandone la ricchezza e l'originalità rispetto alle sfide teoriche di oggi. Dal confronto con Hegel a quello con la recente svolta «speculativa» e «realista» della filosofia contemporanea, i capitoli di questo libro cercano di mostrare all'opera il pensiero di Cusano, lasciando emergere la sua capacità di spiazzare costantemente il lettore e metterne in questione i presupposti impliciti ma anche di valorizzarne la prospettiva singolarissima, perfino la stessa deriva nella ricerca di senso che tutti ci coinvolge. La tesi che guida questa lettura è che, come insegna Cusano, se la verità non ci appartiene, noi le apparteniamo senz'altro. Nessuno, neanche chi la nega, può sottrarsi a questa appartenenza. Nessuno, neanche chi la afferma, può eccederla e farla propria. Cusano sembra suggerire che è nel sottile spazio tra questi due eccessi che si collocano tanto il rigore, quanto la responsabilità del pensiero e, con essi, il compito, il destino e il futuro, se ve n'è uno, della filosofia.
La filosofia a tutto campo di Habermas avanza una drammatica scommessa sulla modernità. Scommessa qui ricostruita nella sua complessità, dove una ragione fallibile ma non scettica giustifica i fondamenti culturali di una democrazia liberale. Sullo sfondo di una dialettica della modernità, Habermas ripensa il ruolo che vi svolgono, senza riduzionismi, i mondi della vita, la ragione e i suoi linguaggi, le religioni, il diritto e la pluralità dei valori. Una dialettica in cui contingenza della storia, normatività della cooperazione sociale e funzione delle religioni, quali depositi di senso, rendono aperto l'orizzonte della storia, oltre il nichilismo post-moderno e l'ideologia di un progresso fatale. In tal senso per Habermas «nel diagnosticare il futuro della religione noi diamo un giudizio sul senso complessivo della modernità». Una scommessa che Habermas fa dialogando con Kant, Hegel, Marx, Weber e i classici della sociologia, i maestri della Scuola di Francoforte, Rawls. Un dialogo in cui lui stesso appare come uno dei maggiori eredi di questa tradizione.

