
Una nuova tappa del viaggio mistico e poetico di Arnoldo Mosca Mondadori nei misteri della Rivelazione cristiana. Versi che sono meditazioni: accompagnano il lettore nel profondo della vita religiosa e poetica. Dove il canto, come in un salmo contemporaneo, diventa preghiera, farmaco dell'immortalità.
«Sei fuoco e amore, sei l'amore che incendierà il mio corpo, ma sei anche l'amore che lo renderà puro». Follia, fede, poesia: c'è un filo sottile che lega indissolubilmente le opere di Alda Merini ai momenti più dolorosi e significativi della sua esistenza, scandita in modo sempre autentico e intenso dalla malattia psichica e insieme da un anelito instancabile verso l'infinito, verso Dio. Tra le tante persone che hanno attraversato la vita di Alda Merini, una in particolare ha saputo cogliere questa commistione di carnalità e spiritualità: Enzo Gabrici, lo psichiatra che la poetessa chiamava il «Dottor G» e che, prima e meglio di ogni altro, capì che «la creazione attraverso l'arte poetica è stata il suo balsamo perché questa l'avvicinava al grande spirito creatore». In questo libro Arnoldo Mosca Mondadori, che per più di dieci anni le è stato vicino come amico e collaboratore, trascrivendo centinaia di versi e proponendole temi su cui riflettere, ha raccolto alcune delle poesie che meglio esprimono la fame di assoluto di Alda Merini, la tensione religiosa presente nei suoi versi. In un'ampia introduzione racconta inoltre alcuni episodi della sua vita, per far sì che anche i lettori possano «sentire un po' il profumo di casa sua, conoscerla da vicino, e soprattutto avvertire le armonie della sua anima fatta di musica, quella musica che lei emanava come manna e donava intorno a sé». Un nuovo filo da seguire per giungere al segreto di una delle voci poetiche più belle, profonde e profetiche dell'ultimo secolo.
Poetessa amatissima, personaggio trasgressivo e commovente che ha saputo parlare direttamente al cuore del popolo, Alda Merini ha rappresentato un caso del tutto particolare nella storia letteraria del Novecento italiano. In questa ricca antologia, che ne raccoglie tutti gli scritti importanti in poesia e in prosa, sono riproposte per intero le raccolte poetiche degli inizi: "La presenza di Orfeo" (1953), "Nozze romane" (1955), "Paura di Dio" (1955), "Tu sei Pietro" (1962), nelle quali si intrecciano temi mistici e slanci erotici, interrogativi estremi senza risposta. Il volume comprende poi notissimi e più recenti titoli come "Vuoto d'amore" (1991), "Ballate non pagate" (1995), "Superba è la notte" (2000) e "Il carnevale della croce" (2009). In questi versi l'autrice conferma la potenza della sua lirica, estranea a qualunque "linea" o "corrente", nella quale si mescolano passione e tenerezza, ironia e sarcasmo, gioco e disperazione, nel segno di un'urgenza assoluta di fare poesia. Le prose autobiografiche "L'altra verità" (1986) e "Lettere al dottor G." (2008), infine, testimoniano la straziante discesa negli inferi del manicomio.
«The sun and her flowers (il sole e i suoi fiori)» è una raccolta di poesie di dolore, abbandono, celebrazione delle radici, amore e legittimazione di sé. È divisa in cinque capitoli: l'appassire, il cadere, il radicare, il crescere, il fiorire.
Un percorso di narrazione in cui l'autore commenta i versi di alcuni poeti che si sono confrontati con la figura e la santità di Francesco. Un diario di parole chiave come nudità, natura, povertà, bellezza, vocazione, letizia, amicizia.
La seconda raccolta montaliana, pubblicata nel 1939, contiene versi celeberrimi, tra cui la bellissima Casa dei doganieri: liriche che hanno lasciato un'impronta indelebile nella storia della nostra letteratura più recente. Curato da Tiziana De Rogatis, il volume, accolto nella rinnovata collana dello Specchio, è accompagnato da ricchi apparati critici, contenenti - oltre al commento di ciascun testo - una biobibliografia montaliana, un'introduzione all'opera, un saggio di Vittorio Sereni e uno del critico Luigi Blasucci.
Uscite nel 1971, le liriche di Satura rivoluzionarono lo stile e la concezione della poesia stessa di Montale. Il poeta si ispira all'antico genere tipicamente latino delle "satire", per prendere di mira il malcostume, la convenzionalità, il conformismo del suo tempo con ironia e intelligenza sempre lucida e tagliente. Il volume, qui riproposto nella rinnovata collana dello Specchio, riporta il testo originale accompagnato da una ricca curatela comprendente il commento di Riccardo Castellana e saggi di Romano Luperini e Franco Fortini.
L'amore per Orazio e il desiderio di tradurlo accompagnano Guido Ceronetti sin da quando, diciottenne, si cimentava in versioni oggi «ripudiatissime». L'Orazio interruptus viene poi ripreso al principio degli anni Ottanta col progetto, mai realizzato, di una piccola edizione concepita come prima tappa di un «viaggio ascetico verso il puro non-essere, lo spogliarsi d'ogni illusione e farsi 'jivanmukta' in compagnia di Orazio». Per Ceronetti, infatti, Orazio è lontano mille miglia dal poeta sondato e scrutato dalla filologia classica: il suo stile non è fredda accademia augustea, semmai «contrazione della vita, mediante l'impegno della parola», il che esige «tutto il fuoco della passione rivolto ad un fine che la contraria» - fuoco contratto, dunque. E a lui ancor meglio che a Kavafis si attaglia quel che diceva la Yourcenar: «Siamo così abituati a vedere nella saggezza un residuo delle passioni spente, che fatichiamo a riconoscere in lei la forma più dura, più condensata dell'Ardore, la particella aurea nata dal fuoco, e non la cenere». Dopo più di trent'anni il viaggio attraverso il «deserto fiorito» di Orazio ha preso la forma di ventotto traduzioni, che bastano a metterci di fronte a qualcosa di totalmente imprevisto: malgrado la sua fama ininterrotta, del più classico dei classici ci era sinora sfuggita l'anima segreta.
Un vertice di limpida bellezza atemporale: in estrema sintesi è questo il prodigio poetico di un'opera che va oltre il mutare degli orientamenti estetici e che è stata capace di stupire ed emozionare generazioni di lettori come raramente accade, o come accade solo ai veri classici. La celebre versione dei "Lirici greci" di Salvatore Quasimodo è un duplice capolavoro, per la mirabile essenzialità poetica dei testi originali e per le virtù di chi ha saputo trasformare quei versi antichi in insuperabili esempi di purezza lirica, insieme trasparente e profondissima, nella nostra lingua. Come scrive Giuseppe Conte nella prefazione, «Quasimodo vede il suo incontro con i lirici greci come il coronamento di un suo percorso destinale: quel suo sentirsi esule ma sempre figlio di un'isola che, per paesaggi, mitologie, memorie storiche, è, tra le terre dove oggi si parla e si scrive in italiano, la più vicina alla Grecia e al suo patrimonio di poesia e di mito». Lo stesso Quasimodo, nella piena consapevolezza di un'operazione tanto ardua quanto affascinante, ci dice: «Le parole dei cantori che abitarono le isole di fronte alla mia terra ritornarono lentamente nella mia voce, come contenuti eterni». Ma un esito insieme così pieno e sapientemente leggero nella sua alta efficacia poteva solo scaturire dal talento naturale di un autore sensibilissimo, come Quasimodo, alla più chiara musica della parola e del verso, passando dal «desiderio d'amore» o dai «celesti patimenti» di Saffo al raffinato edonismo bacchico di Anacreonte, nel quadro elegantissimo di una varietà lirica impareggiabile.
In un'epoca in cui la tecnologia sembra invadere anche l'ambito delle relazioni, le tracce della scrittura ci riconsegnano una testimonianza di piena autenticità umana e spirituale. "Scritture profetiche": una collana dove la grafia dell'autore diventa scavo e ispirazione di un ascolto. L'ascolto della Parola, l'ascolto dell'Altro.
Profezia nel senso rigorosamente biblico del termine: interpretare la Paola è interpretare l'oggi. Nelle sue tensioni, nelle sue inquietudini, nelle sue attese, nelle sue speranze. Tra dolore e possibilità di gioia.
Come spiegano Clara e Vittorio Strada nella prefazione della nuova traduzione delle poesie, la caratteristica più evidente della struttura de "Il dottor Zivago" è che si compone di una parte in prosa e di una in versi. Le poesie del protagonista non sono un'appendice, bensì un complemento del racconto che li precede. Anzi, il rapporto tra le parti del romanzo può essere rovesciato: i versi finali come momento essenziale, rispetto ai quali la narrazione costituisce, a modo di introduzione, la biografia del loro autore, Jurij Zivago. O di Boris Pasternak? Le poesie del dottor Zivago diventano infatti l'estremo frutto della creatività di Pasternak, l'estremo approdo della sua visione di sé e del mondo, e sono da lui donate al suo eroe.