
Il 10 ottobre 2021 ricorre il centenario della nascita di Andrea Zanzotto, unanimemente considerato uno dei grandi maestri della poesia italiana del secondo Novecento. Uno dei più attivi critici e studiosi della sua generazione, Andrea Cortellessa, sintetizza in questo libro i termini della sua già lunga fedeltà al poeta. La critica ha per lo più indagato, sinora, il tessuto linguistico e stilistico di quello che è stato definito «il Signore dei Significanti», facendo così perdere di vista che si tratta anche di una poesia densissima di 'significati', personali e collettivi, di traumatica urgenza, sebbene psichicamente schermati e 'cancellati' (come i temi dell'ambiente e del paesaggio, nella loro stratificazione storico-culturale). La monografia di Cortellessa risponde all'esigenza di una lettura che si rivolga anche a un pubblico più vasto di quello specialistico, come quello degli studenti universitari.
Da quando l'umanesimo è stato messo a tema dei lavori del prossimo convegno ecclesiale di Firenze (novembre 2015), con il titolo programmatico In Gesù Cristo il nuovo umanesimo, il dibattito sul senso di tale riferimento culturale sembra essersi riacceso. E tanto più di fronte alle profonde trasformazioni antropologiche in atto in un contesto storico e culturale sempre più plurale e contraddittorio. Ecco, allora, l'opportunità, proprio a Firenze, dove per primi "si imparò a dire la parola uomo con particolare intenzione" (Giovanni Paolo II), di provare a offrire un contributo di riflessione intorno all'idea di umanesimo. E di farlo a partire dall'eredità poetica e letteraria di Mario Luzi, uno dei grandi protagonisti della tradizione culturale fiorentina. Così, interrogarsi sull'umanesimo della poesia può significare - attraverso il contributo di alcuni tra i maggiori studiosi dell'opera di Mario Luzi, tornare a scoprire la poesia come cifra dell'umano: sforzo di portare alla parola, perfino in quella sperimentazione linguistica tanto cara a Luzi, il mistero della vita e così renderla veramente e pienamente umana.
Libro d'esordio di una delle più grandi figure poetiche degli ultimi secoli in Italia rappresenta il vero e proprio apprendistato poetico dell'autore, una sorta di primo e provvisorio laboratorio da cui scaturiranno in seguito le grandi vette delle "Odi" neoclassiche. Una tappa insomma, in cui ancora riecheggiano suggestioni legate all'Arcadia o alla poesia del Berni, ma una tappa che comunque Parini non ripudiò mai del tutto, riconoscendovi molti pregi e soprattutto quell'urgenza di dire in versi che resterà sua caratteristica fondamentale anche nelle opere successive.
L'"Elegia a Bartolomeo Fonzio" e l'"Epicedio di Albiera degli Albizi", composti verso la fine del 1473, sono le prime grandi prove poetiche di Angelo Poliziano, e si collocano tra i prodotti più significativi della letteratura umanistica del secondo Quattrocento. I due testi rivelano anche il ruolo politico svolto da Poliziano a sostegno della Firenze medicea. L'Elegia e l'Epicedio non avevano fino ad oggi ricevuto adeguate cure filologiche ed esegetiche. Questa edizione critica dei due componimenti è corredata di versione semiritmica e di un commentario erudito; completano il volume un'ampia Introduzione e una dettagliata Nota ai testi. L'edizione dei due componimenti è limitata a 999 esemplari singolarmente numerati.
In questa sua raccolta di liriche, Renato Pilutti, "squarcia le tele dell'illusione, svelle le antiche stabilità di quadretti poetici corrotti dalla ripetizione intimistica e dal dubbio crepuscolare, per 'transitare' lungo percorsi liricamente e sintatticamente piuttosto inconsueti, in direzione di prospettive pregne di atmosfere, sia fonetiche che visive, inedite, e tali da assegnare al termine 'transito' anche un significato di trasformazione semantica, oltreché di puro pellegrinaggio temporale, nella 'selva oscura' dell'esistenza". (Luigi Molinis)
Questo volume raccoglie tutte le maggiori opere poetiche "italiane" di Amelia Rosselli: le opere giovanili in italiano, inglese e francese di "Primi scritti" (1980, ma risalenti al periodo tra il 1952 e il 1963); il poemetto "La libellula" (1959); le raccolte "Variazioni belliche" (1963), "Serie ospedaliera" (1969) e "Documento" (1976); il poemetto "Impromptu" (1981). Completano il volume alcuni testi tratti da "Appunti sparsi e persi" e a suo tempo inseriti nell'"Antologia poetica" pubblicata nel 1987.
Figura centrale della nostra poesia novecentesca, in ogni sua opera Vittorio Sereni ha saputo scriverne un capitolo particolare. Il volume che si ripropone, apparso per la prima volta postumo nel 1986, ripercorre - identificando anche le edizioni di riferimento - i momenti essenziali della sua vicenda poetica, scanditi dai suoi quattro libri con l'importante aggiunta del quaderno di traduzioni, dove si trova concreta traccia delle sue predilezioni letterarie per poeti come - tra gli altri - Apollinaire, Char, Williams. Si inizia con le delicate trasparenze liriche della raccolta d'esordio, Frontiera (1941), seguita dal Diario d'Algeria (1947), in cui la tragica vicenda storica della Seconda guerra mondiale, vissuta dall'autore e subita in prima persona con la prigionia, trova decisiva testimonianza. Si tratta di un testo classico in cui le lacerazioni del conflitto e il dramma personale toccano la più alta dimensione espressiva nella fermezza antiretorica e nella impeccabile pronuncia di Sereni. Un poeta che, nella coerente fedeltà a se stesso e nella strenua attenzione alla realtà, riesce a rinnovare ogni volta la fisionomia della propria scrittura e perviene così, con Gli strumenti umani (1965), a una tensione viva e potente del linguaggio, a un'assunzione del dato esperienziale nel corpo del testo, passando dalla castità formale degli esordi a un dire felicemente abbassato con inserti prosastici, rompendo «la crosta dell'elegia», come scrisse Montale. La complessità dei mutamenti epocali si riflette nella consapevole, per quanto problematica presenza del poeta negli intrecci del reale, ma sempre con un'opzione di netta apertura alla vita, nonostante la piena coscienza della precarietà, e tenendo bene aperta «la possibilità di dare voce a tutto il ventaglio dei sentimenti», come scrive Dante Isella nella Prefazione. Un'apertura vitale che si esplicita nel quarto capitolo del suo cammino poetico, Stella variabile (1981), in cui trovano spazio, in perfetto equilibrio, respiro lirico e spunto meditativo o narrativo, lievità di accenti e intensi passaggi prosastici. Una poesia, quella di Sereni, che, a quarant'anni dalla scomparsa, sempre più si conferma nella profondità della sua umana indagine esistenziale e nella splendida energia comunicativa della sua parola.
Questo libro è lo scrigno che racchiude e svela il mondo di Alda Merini, una delle maggiori voci poetiche di oggi. Contiene foto mai pubblicate che ne mostrano la casa, la vita privata, i navigli attorno ai quali ruota il suo universo, i molti amici, tra cui si contano numerosi personaggi dello spettacolo e della cultura come Milva, Lucio Dalla, Enzo Jannacci, Umberto Eco. L'autore delle immagini è Giuliano Grittini, il fotografo che le è stato vicino in tutti questi anni, e che ha anche scattato il servizio-scandalo (compreso nel libro) della poetessa nuda, estrema provocazione di una vita turbolenta. Ad accompagnare le fotografie, testi, versi e aforismi in massima parte inediti, che dialogano con le immagini e formano un'autobiografia rivelatrice.
La presente edizione propone, con testo a fronte, tutta l'opera di Holderlin, comprese le "liriche della follia". La traduzione di Mandruzzato vuole essere una vera versione poetica, leggibile di per sè come poesia. Un suo lungo saggio accompagna le traduzioni. Le liriche sono annotate e il testo tedesco, pur fondato sulla canonica edizione Beissner, tiene presenti anche gli ultimi dibattiti filologici holderliniani.
Nato nel cuore della Bielorussia e suddito dell'Impero russo, Oscar Vladislas de Lubicz-Milosz non cessò mai di rivendicare l'antico lignaggio lituano; la sua lingua madre era il polacco, ma questo non gli impedì di diventare un grande poeta cosmopolita di lingua francese. Benché annoverato fra i simbolisti francesi tardivi, Milosz (così scelse di firmare i suoi libri) si sottrae a qualsiasi classificazione. E mentre ovunque si imponevano le Avanguardie e trionfavano gli esperimenti più bizzarri e le innovazioni più disperate, egli scelse di allontanarsi da quella che definiva una "pericolosa deviazione", destinata a suscitare tra il poeta e la "grande famiglia umana" una "scissione" e un "malinteso". Scissione e malinteso che hanno invece, troppo a lungo, oscurato la sua solitaria ricerca, così refrattaria alle curiose ricerche dell'io e così "appassionata del Reale", e oggi più che mai meritevole di uscire dalla ristretta cerchia degli iniziati.

