
Betti non è mai sparita così, quasi due giorni senza rispondere nemmeno ai messaggi sul cellulare. Delle tre è lei, la manager in carriera, quella sempre reperibile, e il problema per Guia e Lucia è semmai come arginare le sue chiacchiere. Perciò le amiche non possono fare a meno di preoccuparsi per Betti. Soprattutto da quando sanno che ha perso la testa per il misterioso Raul, da loro soprannominato il fecalomo: "la vera essenza del bastardo". E fanno bene a preoccuparsi: ancora non sanno che Betti sta per coinvolgerle nel grosso guaio in cui si è cacciata...
Nemmeno il commissario Pietro Lanzi, del resto, avrebbe mai pensato di trovarsi alle prese con un caso così complesso proprio nella cittadina di mare dove suo malgrado è appena stato trasferito: e invece gli stretti carruggi, i moli, la spiaggia di ciottoli rivelano la loro anima segreta proprio quando i turisti fanno i bagagli, le imposte verdi delle case di vacanza si chiudono e arriva l'inverno, con una nebbia salata che scende dai colli fitti di ulivi. Una serie di aggressioni orchestrate secondo una regia meticolosa che sembra alludere a un immaginario infantile turba la vita della piccola Chiavari in un crescendo inquietante e misterioso.
Come in un caleidoscopio, mille tessere trasparenti si accumulano sulla scrivania del commissario, ma la soluzione dell'enigma è visibile solo per chi sa scorgerne il disegno nascosto: e quando Guia, Lucia e Betti entrano negli spogli uffici della polizia tutto assume senso e colore. L'intuito femminile di Guia, con i suoi bimbi e la sua segreta sensibilità cromatica, di Lucia, che prende lezioni di taekwondo per mettere al tappeto la noia, e anche la sventatezza di Betti, che su internet cerca la felicità, saranno fondamentali per cogliere la chiave dell'odio e della disperazione annidati nell'animo di un uomo, per distinguere la sagoma di un coccodrillo sotto il pelo dell'acqua melmosa dell'esistenza.
Valeria Corciolani disegna una spirale sempre più veloce di sentimenti e personaggi pieni di vita: dal libraio Guido appollaiato tra gli scaffali del suo negozio all'agente scelto Maria Fiore, che sa consolarsi di molti dispiaceri divorando un'intera Viennetta, dalle risa dei piccoli Emma ed Elia ai giochi spregiudicati del torvo armatore van Lagen e di tutti i suoi emuli assetati di denaro. E con un'ironia nutrita di allegra saggezza racconta la storia di un mistero risolto grazie alla fantasia.
Proviamo a usare l'immaginazione.
Immaginiamo un'antica magione di campagna in Inghilterra. L'antica magione si chiama Buckshaw e ha conosciuto giorni migliori. Immaginiamo di essere nel 1950.
Immaginiamo una ragazzina che ci vive con il padre e le sorelle. Si chiama Flavia de Luce e ha undici anni.
Immaginiamo un laboratorio chimico dell'età vittoriana da tempo in abbandono: l'unica persona che lo frequenta è proprio Flavia che, fra l'altro, è appassionatissima di veleni.
Per concludere, immaginiamo un misterioso e silenzioso papà vedovo e filatelico - il colonnello de Luce -, due sorelle maggiori dispettose - Daphne e Ophelia -, una cuoca - la signora Mullet -, e un enigmatico giardiniere - il signor Dagger - che risente ancora dei traumi della guerra.
Siamo nel bel mezzo dell'estate quando una serie di inesplicabili eventi turba la vita abbastanza tranquilla (se si escludono i dissidi fra le tre sorelle) del posto.
Sull'uscio di casa viene trovato un uccello morto, al cui becco qualcuno ha per giunta attaccato un francobollo. Qualche ora dopo Flavia scopre un uomo che giace nell'aiuola dei cetrioli e che proprio davanti ai suoi occhi esala l'ultimo respiro. La cosa lascia Flavia sconvolta ed estasiata. Per lei ora comincia sul serio la vita: il delitto finalmente è arrivato a Buckshaw.
Importanti rivelazioni sull'oscuro passato del padre, il colonnello de Luce, e il suo successivo arresto per omicidio rendono la vicenda ancora più ingarbugliata e spingono irresistibilmente Flavia a inforcare la sua bici per partire alla ricerca della soluzione del mistero.
Chi ama le eroine imberbi dotate di un vocabolario fuori dal comune e di un coraggio portentoso troverà nelle vicende di Flavia e della sua eccentrica famiglia qualcosa di assolutamente e deliziosamente originale: una ragazzina che oltre a possedere le abilità deduttive di Sherlock Holmes e le conoscenze chimiche di Madame Curie deve convivere con due sorelle maggiori insopportabili.
Succede a volte che un imprevisto interrompa il corso normale della vita: un accidente si mette di traverso, e d'un tratto il tempo si biforca. Alla drammatica rapidità dell'istante si affianca un tempo diverso, dilatato e fermo: il tempo dell'attesa. «Io non sono buona ad aspettare, - dice Maria, la protagonista di questo romanzo. - Non sento curiosità nel dubbio, né fascino nella speranza. Aspettare senza sapere è stata la piú grande incapacità della mia vita».
Maria insegna italiano in una scuola serale di Napoli, legge Dante e Leopardi a giganteschi camionisti che faticano a infilarsi nei banchi.
Una sera, tornando a casa, un dolore rotondo e forte la precipita nella sala d'aspetto di un ospedale: «Quelli sono medici, signò, che vi possono rispondere?»
Narrata con una voce ribelle che pure sa trovare i toni dell'indulgenza, una storia che inizia come un destino di solitudine personale e piano piano si trasforma in un caldo coro di scoperte, volti e incontri. Tanto che a Maria sembra quasi che siano la vita e la città a farle da compagne.
Un libro bruciante, profondo, luminoso.
Zuckerman fa tre incontri che in breve tempo spazzano via la sua solitudine gelosamente custodita. Il primo è con una giovane coppia alla quale, agendo d'impulso, offre uno scambio di case. Dall'istante in cui la incontra, Zuckerman è attratto dalla sfida erotica rappresentata dalla giovane donna, Jamie, e da tutto ciò che credeva di essersi lasciato alle spalle: l'intimità, il gioco vitalissimo fra il cuore e il corpo. Il secondo contatto lo stringe con una figura della sua giovinezza, Amy Bellette, musa e compagna del suo primo eroe letterario, E. I. Lonoff. Un tempo irresistibile, Amy è ormai una vecchia stremata dalla malattia ma ancora decisa a preservare la memoria dell'uomo che ha mostrato a Nathan la via solitaria per la vocazione di scrittore. Il terzo incontro è con l'aspirante biografo di Lonoff, un giovane segugio letterario pronto a tutto pur di stanare il «grande segreto» del maestro. Di colpo invischiato nuovamente - come mai avrebbe voluto o previsto - nelle trame dell'amore e della perdita, del desiderio e dell'animosità, Zuckerman mette in scena un dramma interiore di vivide e intense possibilità.
Per Javier Marías l'amore è il sentimento che richiede la maggior dose di immaginazione, non soltanto quando chi lo ha sperimentato e perduto ha bisogno di spiegarselo, ma anche mentre l'amore si sviluppa e ha pieno vigore. È un sentimento che richiede sempre qualcosa di fittizio oltre a ciò che gli procura la realtà. In altre parole per Marías l'amore ha sempre una proiezione immaginaria, per quanto possiamo crederlo tangibile o reale in un determinato momento. È sempre sul punto di compiersi, è il regno di ciò che può essere. O anche di ciò che avrebbe potuto essere.
Ed è proprio sulla base di queste riflessioni personali che Marías ha costruito, seppur con declinazioni diverse, i romanzi qui riuniti, accomunati dal filo rosso della passione amorosa.
In Tutte le anime Marías racconta la storia di un turbamento, un penetrante diario pubblico dell'intimità dove ogni dettaglio viene indagato con l'acribia minuziosa dell'entomologo, nella convinzione che anche il gesto e l'incontro apparentemente piú insignificanti possano aprire la strada a vertigini metafisiche. Un cuore cosí bianco, invece, parla della persuasione e dell'istigazione, del matrimonio, della possibilità di sapere e dell'impossibilità d'ignorare, del sospetto, del parlare e del tacere. Infine in Domani nella battaglia pensa a me, raccontandoci l'inganno e svelandone la macchina che esso mette inevitabilmente in moto, mostrandoci l'altra metà della vita, quella nascosta e dissimulata, Marías racconta l'illusoria realtà in cui tutti noi siamo sprofondati.
Per la prima volta Philippa Gregory scava nella biografia più intima di Maria Stuarda, icona tragica, donna bellissima, manipolatrice e indomabile. È il 1568. Maria, regina cattolica di Scozia ed erede legittima al trono d'Inghilterra, in fuga dai tumulti della sua patria cerca aiuto in Elisabetta I. Ma la cugina si affretta a confinarla nelle proprietà del conte di Shrewsbury, George Talbot, e della moglie Bess. Nobile di nascita integerrimo e fedelissimo alla Corona, lui; abile affarista che si è fatta da sola, lei. La coppia accoglie la sfortunata sovrana, certa che questa permanenza porterà solo vantaggi nella ristretta cerchia dei Tudor. Ben presto, però, i Talbot scoprono con orrore che la loro dimora è diventata l'epicentro di intrighi e tresche d'ogni tipo. Maria - tenuta in esilio lontana da corte - ripudia mariti e si procaccia fidanzati potenti semplicemente per riconquistare la libertà oppure mira ad appropriarsi del trono? E l'inflessibile Regina Vergine agisce per difesa o ha ordito freddamente un piano per liberarsi di una pericolosa rivale?
Mentre il Paese è scosso da rivolte e insurrezioni, e vive sotto la minaccia di attacchi nemici, i due "custodi", incatenati alla scomoda ospite, vedono sgretolarsi il loro patrimonio insieme con la reputazione e la felicità matrimoniale. Bess diventa la spia segreta del potentissimo consigliere di Elisabetta, mentre il marito è un burattino nelle mani dell'incantevole scozzese. Quando la disperata ammirazione di George per l'avvenente Maria non può più essere negata, viene messa in dubbio anche la lealtà dei Talbot alla regina. E tutto precipita. Un romanzo eccezionale, teso, drammatico, che va dal cuore dei protagonisti al cuore della Storia, senza soluzione di continuità. Uno dei momenti più oscuri e torbidi dell'epoca moderna raccontato con tanto pathos e intensità che sembra di viverlo, pagina dopo pagina.
Maschere, sogni, allucinazioni, parrucche, trucco, schizofrenia, monologhi, travestimenti: i temi del romanzo di Adriana Asti tradiscono il primo mestiere della sua autrice. Il teatro è lì, presente in ogni pagina, nonostante Augusta Sarmerio, l’eroina innamorata e perduta in un suo mondo privato, una siciliana trapiantata a Parigi, non sia un’attrice, ma una lettrice. Legge per i ciechi, un modo discreto di essere attrice. Augusta ha un unico amore: la casa, ereditata da una zia, in rue de Tournon, a Parigi. Le vecchie e solide pareti cui appoggiarsi, aggrapparsi se necessario, le stesse da quando era bambina; le tende velate attraverso le quali scoprire il mondo circostante, senza però esserne travolta. Quella è la vita che ha scelto, che ama. Da anni ormai si è chiusa in una rassicurante solitudine fatta di libri, di passeggiate nei giardini del Lussemburgo e non sente il bisogno di altro.
Poi un giorno, durante uno dei tanti giri per le vie della città, Augusta legge un annuncio: è richiesta una lettrice per intrattenere una donna in rue Ferou. Così, decide di fare uno strappo alla regola e di proporsi per quel lavoro.
Proprio grazie a Marie, giovane e bella, ma afflitta da un male incurabile, e al suo affettuoso marito, Augusta riuscirà a dare un nuovo senso alla sua vita, a scoprire una se stessa diversa, che può concedersi di avvicinarsi a qualcuno e anche, perché no, di innamorarsi.
Se si eccettua un fugace e suggestivo accenno di Matteo, i Vangeli sorvolano sull'esistenza dei leggendari Re Magi che tanto hanno alimentato la fantasia dei popoli e tanto peso hanno avuto nell'iconografia pittorica dei secoli antichi. Michel Tournier, grande visitatore di testi classici, si è calato nello scenario della Natività per narrarci le immaginose biografie dei misteriosi re orientali che vanno a Betlemme seguendo la luce della cometa. «Ognuno di loro possiede un segreto e un'andatura». Ognuno insegue un suo sogno-desiderio.
Gaspare, il negro re di Meroa, tradito da una schiava di pelle candida, incapace di placare un'inesauribile sete di «biondezza», fugge abbandonando la sinistra reggia di basalto incontro alla siderea «danzatrice di luce».
Melchiorre, principe di Palmirena, re-mendicante di un paese insanguinato dalle lotte intestine, confida nella stella come nell'unica salvezza alla propria dignità di uomo tradito.
Baldassarre, re del Nippur, è il nevrotico inseguitore di inarrivabili oggetti di bellezza. Costretto dalla legge semitica a vedere perennemente frustrata la sua passione per le immagini, insegue nella cometa la redentrice «farfalla di fuoco».
Ma c'è anche un quarto, ipotetico Re, suggerito da una fiabesca tradizione ortodossa. E c'è Erode, con i suoi moderni tormenti di sovrano costretto alla crudeltà dalla ragione politica, che soffre la solitudine del capo. E persino l'asino e il bue prendono la parola, in questa sapiente «tavola» cui l'arte di Tournier dà vita e colore attraverso il racconto, magico e ironico insieme, di una storia folgorata dall'avvento del messaggio cristiano.
La motonave Nibbio, vecchia gloria della Navigazione Lariana, sta effettuando il suo ultimo viaggio. A Bellano sbarca un'anziana donna: sta cercando il vecchio parroco, don Carlo Gheratti. Attraversa a fatica il paese arso dalla canicola estiva, prima di scomparire nel nulla. Quando arriva la notizia che manca una delle ospiti del Pio Ospizio San Generoso di Gravedona, sulle due rive del lago i carabinieri iniziano a indagare. Un secondo enigma segna l'estate del 1933. Dietro pressante richiesta del Partito e della Prefettura, i carabinieri devono raccogliere informazioni su una "celebre" concittadina, Velia Berilli, madre di quattordici figli, tra legittimi e illegittimi. Perché mai Velia Berilli è diventata così importante? Due misteri, insomma, cui si aggiunge un altro problema: in caserma si è rotto il vetro del bagno, e aggiustarlo non sarà semplice. Ancora una volta, le pagine di Vitali si animano di una piccola folla di protagonisti e comprimari: dall'equipaggio della Nibbio alle autorità locali, e poi don Gheratti, il sacrestano Bigé e la perpetua Scudiscia. Non possono mancare i carabinieri della locale stazione, vere star dei suoi romanzi: il maresciallo maggiore Ernesto Maccadò, l'appuntato Misfatti, il brigadiere Mannu e il carabiniere Milagra, che segue giorno dopo giorno, con indomita passione, i gloriosi trasvolatori della Seconda Crociera Atlantica.
«Enorme – davvero: enorme, e unica, e inspiegabile – è l’ossessione meteorologica dei siciliani. Se c’è brutto tempo si sentono in colpa, si giustificano, come se avessero invitato qualcuno a casa propria facendogli trovare la tovaglia macchiata di sugo». Una stravaganza, ma non l’unica. Se andate a Scicli troverete, per esempio, un’insolita raffigurazione della Grande Madre: in tutto il Mediterraneo è una figura archetipica soavemente benigna, mentre qui si trasforma nella Madonna delle Milizie, armata e a cavallo, parecchio minacciosa. Ma è tutta la Sicilia a essere, oltre che se stessa, anche il contrario di sé, capace di amori smisurati, che si esprimono nella fisicità degli incontri: è il tatto a prevalere fra i cinque sensi. I siciliani toccano. Ti toccano un braccio mentre cercano di capire di cosa hai bisogno e anche di cosa non sai ancora di avere bisogno. La sensazione di e ssere toccati può rivelarsi sgradevole, per il viaggiatore, ma anche lui a poco a poco si abitua, e alla fine qualcuno persino si dispiace quando poi nessuno lo tocca più. Apparenti contraddizioni e immobili mutamenti rendono lo spirito di una terra piena di angoli insospettabili. Marsala, Palermo, Ustica, Porto Palo, Favignana, Agrigento, Siracusa, Tindari, Catania, Gela, Taormina, Messina sono solo alcune delle tappe di Roberto Alajmo, un viaggiatore capace di raccontare riallacciando i fili di una trama antichissima e tormentata: in fondo l’amore per la Sicilia è quello che si prova per una canaglia. Tu sai che è una canaglia, ma non puoi farci niente.
Guerra e pace, certamente il capolavoro di Tolstoj, è, come ha scritto Ettore Lo Gatto, «la più grande opera della letteratura narrativa russa e una delle più grandi della letteratura europea del secolo XIX». Il romanzo racconta la storia di due famiglie aristocratiche, i Bolkonski e i Rostòv, in una Russia sconvolta dalla guerra e dall’invasione napoleonica. Raramente è dato di leggere un’opera in cui i destini individuali dei personaggi principali – fra cui spiccano Nataša Rostòva, il principe Andréi Bolkonski e il conte Pierre Bezuchov – si intrecciano in modo così perfetto con gli avvenimenti storici e militari: una dimensione che il cinema non ha mancato di sottolineare in tanti film di successo. L’epopea del popolo russo, il rapporto fra personalità individuale e collettività, i grandi temi filosofici dell’Ottocento e l’interrogazione sul senso della Storia si fondono in questa grandiosa narrazione tolstojana.
Uno scrittore, impegnato da anni nella stesura di una biografia di Isaac Newton o, piuttosto, nell’analisi di quella crisi esistenziale che precedette il suo sofferto addio alla scienza, è in cerca della necessaria concentrazione per terminare il suo libro. Con questo intento prende in affitto la foresteria della casa di campagna di un’antica famiglia decaduta. Ma a distrarlo dal lavoro che fino ad allora aveva dato senso alla sua vita è la presenza di due donne destinate a incarnare facce diverse dell’amore. La sensuale Ottilia, disposta a concedersi anima e corpo, e l’aggraziata Carlotta, una bruna dall’eleganza dimessa, sempre assorta in qualche recondito rovello, sono per l’ospite della foresteria un mistero che a poco a poco offusca ogni altro pensiero.
Il suo rapporto con le due donne dà vita a un intreccio di relazioni, complesse quanto quelle delle Affinità elettive di Goethe, ma in questo caso spesso basate su un equivoco. Complici una campagna illuminata da una luce pittorica e un’atmosfera fuori dal tempo, lo scrittore finirà per vedere l’arcano laddove vi è solo la più banale delle realtà: «Non stavo inseguendo qualcosa di esotico, ma l’ordinario, il più strano e il più sfuggente tra gli enigmi».

