
"Il soggiorno di Rilke a Firenze non fu lungo; ma l'attività svolta dovette essere intensa. Musei, chiese, palazzi, conventi, gallerie (persino quella del principe Corsini, di difficile accesso), nulla rimase inesplorato. Furono fatte escursioni non solo a Bellosguardo, a Fiesole, a Settignano e alla Certosa, ma a Maiano, a Rovezzano, a Bagno a Ripoli. Il frutto di tale primo contatto con realtà profondamente diverse da quelle conosciute sino allora non fu tanto l'albo o quaderno di riflessioni e ricordi che riempì per donarlo, testimonianza di amore e di ammirazione, a Lou Salomé, la donna amata, quanto un nucleo di idee e di concezioni che attraversano in modo più o meno visibile tutta la sua opera e alimentano la fase estrema della sua poesia." (Dallo scritto di Giorgio Zampa)
Ci sono storie delle quali non potremmo mai fare a meno, storie che ci appartengono come un nome, un destino. Per Natalia, giovane medico in un Paese balcanico uscito dalla guerra, a contare soprattutto sono le storie che le raccontava suo nonno: quella misteriosa di Gavran Gailé, il mitico uomo senza morte; e quella della tigre di Galina, giunta in montagna dallo zoo della Città bombardata a terrorizzare o a sedurre le persone che incontra. E adesso che il nonno se ne è andato - andato a morire lontano da tutto e da tutti in uno sputo di villaggio di là della frontiera - tocca a Natalia provare a far luce sul mistero dei suoi ultimi giorni. E insieme riavvolgere il filo di quelle storie, per ritrovare finalmente il bandolo, doloroso e irrinunciabile, della memoria. "L'amante della tigre" segna l'esordio di una narratrice nata, capace di raccontare, con tocco leggero e una scrittura sensibile alle minime vibrazioni della realtà, cosa vuol dire vivere e crescere in un Paese che ha attraversato la follia e l'orrore della guerra civile. In corso di traduzione in 23 Paesi, "L'amante della tigre" ha conquistato la critica e scalato le classifiche internazionali, proiettando la sua autrice - la più giovane vincitrice nella storia dell'Orange Prize inglese - al centro della scena letteraria mondiale.
Marat Bazarev è quello che è sopravvissuto e sopravviverà. È l'uomo che, con i suoi compagni, una mattina di sole di settembre è entrato nella scuola numero 1 di Beslan. E lì ha dato inizio alla fine. 334 morti, di cui oltre la metà bambini: questo il bilancio dei tre giorni di sequestro in cui più di mille persone sono state tenute in ostaggio da un commando di separatisti ceceni. Marat è l'unico fra gli attentatori a essere uscito vivo dalla scuola, catturato dalla polizia russa e imprigionato in un carcere di massima sicurezza a Mosca. E qui, chiuso in una cella gelida e isolata, scrive la sua ultima confessione. È pronto ad assumersi la responsabilità che gli spetta, ma ha anche un'urgenza più forte: raccontare la sua storia. È così che comincia: con Marat e il suo migliore amico Shamil seduti sull'erba di un anfiteatro in un pomeriggio di pace, con Shamil che ridendo si allontana nella boscaglia e dopo pochi passi lancia un urlo terrificante. Nascosti sotto un mucchio di pietre e frasche trovano sette corpi straziati: è il primo segnale. A casa li attende un villaggio saccheggiato e deserto, le porte delle case spalancate e nessuno dei familiari e degli amici. E così che comincia: Marat in quel pomeriggio terribile capisce che non esiste più una legge e nemmeno le regole, che non c'è onore né coraggio, ma solo paura. E allora si unisce ai guerriglieri in montagna, e con loro si prepara a un'azione in grado di rimbombare da un capo all'altro del mondo.
La voce narrante del romanzo breve "Valentino" è Caterina, sorella del protagonista che dà il nome all'opera, una "esclusa" dalla vita eppura ansiosa di vivere. Destinato dalle fantasie paterne a diventare un professionista del successo, Valentino finisce invece ozioso e viziato marito di una donna vecchia e brutta, ma ricchissima, che lo mantiene, e legato da un'ambigua amicizia a un non più giovane inglese, fallito al pari di lui. A "Valentino" si aggiungono i romanzi brevi "Sagittario" e "La madre". Nuova edizione, con Notizie sul testo a cura di Domenico Scarpa, antologia della critica, bibliografia e cronologia della vita e delle opere.
Il nero delle notti in Vietnam è solido, è un buio che ti si appiccica addosso. Cammini in fila, ti hanno ordinato di metterti in marcia per fare un'imboscata, ma quello che ti preme di più è non perdere di vista i compagni, non rimanere solo in mezzo alla boscaglia, dove ogni cespuglio può nascondere un nemico. Sei come un bambino nella foresta degli spettri, e sapere che sono dei Charlie non li rende meno spaventosi. Tim non avrebbe mai pensato di trovarsi lì. Cresciuto nel Minnesota, in una cittadina che si vanta di essere la capitale mondiale del tacchino, voleva andare al college, e fino all'ultimo aveva accarezzato l'idea di disertare. Ma poi, per non perdere la faccia di fronte ai suoi concittadini, decide di andare. Addestramento a Fort Lewis, da dove, dice Tim, bisogna partire per capire il Vietnam, sbarco come "Fucking new guy", fottuto pivellino, giornate in spiaggia, birra e donne come essere in vacanza, poi la prima linea, i cecchini, i compagni colpiti da una mina sotto i tuoi occhi, le pallottole che ti sibilano nelle orecchie, ti trapassano l'elmetto, ma tu sei ancora vivo. La paura che ti tiene in vita, ma che devi nascondere, gli amici che ti fai e quelli che perdi per sempre. E i vietcong, che sono ovunque e, se ne fai fuori uno, ce n'è un altro che lo rimpiazza, e che l'America non vincerà la guerra lo capisci perché non combatti per conquistare della terra, perché appena ti sposti perdi quello che hai occupato il giorno prima al prezzo di tante vite umane.
Inghilterra, 1592. Un ragazzo e una ragazza, giovanissimi, vengono ritrovati accanto a un fiume, in una notte d'estate: nudi, stretti in un abbraccio fatale. Accanto a loro una fiala di arsenico e, sulle labbra, tracce del veleno mortale. La coppia di sfortunati amanti sembrerebbe uscita da una tragedia di William Shakespeare. Se non fosse che il Bardo, per ora, ha composto solo qualche sonetto. Al momento, ben più famoso è suo fratello John, uno dei principali agenti segreti della Corona. È lui a sospettare che la morte dei due giovani, frettolosamente archiviata come suicidio, sia solo l'appendice di un gioco di potere molto più complesso, riconducibile all'ambiente di corte, firmamento dove si può brillare all'improvviso e da cui si può cadere altrettanto rapidamente, covo di intrighi e mutevoli alleanze. Lì il conte di Essex - l'astro più fulgido, il favorito della regina - starebbe tramando proprio contro la sovrana. E la verità sarebbe contenuta in alcuni documenti segreti, trafugati dallo stesso conte. Tocca a John Shakespeare penetrare nella sua biblioteca e ritrovarli. Ma per farlo dovrà innanzitutto immischiarsi in quel mondo infido e dissoluto, dove veleno e stregoneria, torture e omicidi sono mezzi comuni per raggiungere i propri scopi. Un mondo di interessi personali, dove scegliere il bene del regno può rivelarsi un'impresa solitaria: come una partita a scacchi in cui la difesa del re abbia il prezzo della vita.
Sita è l'unica figlia del capo di Kathputli - un villaggio del Rajasthan, nel nord-ovest dell'India -, un uomo ricco, discendente da una nobile stirpe di bramini. Rama è l'ultimogenito di una famiglia di dalit, gli intoccabili. Suo padre spazza le strade del villaggio e lavora in condizioni servili nelle terre del padre di Sita. L'invalicabile muro delle divisioni di casta separa i due ragazzini, che nonostante le rigide regole sociali iniziano a frequentarsi di nascosto. Quando Sita, contro la sua volontà, viene promessa in sposa a un importante medico di Jaipur, molto più vecchio di lei, i due ragazzi, alla vigilia del matrimonio combinato, decidono di fuggire e di far perdere le loro tracce. Ma la vendetta e la ritorsione li inseguiranno a lungo. Un'emozionante storia vera, che riverbera le tradizioni e le contraddizioni dell'India contemporanea attraverso la vicenda di due ragazzini.
Nove donne più una. Nove donne radunate nello studio della loro psicoterapeuta raccontano la propria storia e le ragioni per le quali sono andate in terapia. Lupe, adolescente lesbica, alla ricerca della propria identità tra feste, sesso, droghe e passioni non proprio convenzionali; Luisa, vedova di un desaparecido, che per trent'anni aspetta il ritorno del suo unico amore; Andrea, giornalista di successo che si rifugia nella solitudine di Atacama, il deserto più arido del pianeta, sono alcune delle protagoniste di questo vivace romanzo che parla di donne e di sentimenti. Seppur profondamente diverse per età, estrazione sociale e ideologia politica, scopriamo che le loro esperienze si richiamano e che la vera protagonista del romanzo è la femminilità. Dall'autrice di "Noi che ci vogliamo così bene", un caleidoscopio dell'universo femminile in tutta la sua sfaccettata bellezza.
"Fra gli eteronimi di Pessoa, quello di Antonio Mora resta fra i meno noti e più problematici. Si tratta infatti del personaggio di cui lo scrittore portoghese si serve per fondare e insieme sondare la poetica di due dei suoi eteronimi più famosi, Alberto Caeiro e il suo discepolo Ricardo Reis. Allo stesso modo di Reis, anche Mora viene presentato come discepolo di Caeiro; ma mentre Reis - scrive Pessoa in un abbozzo di prefazione all'edizione, mai realizzata, della sua opera - "ha intensificato e reso artisticamente ortodosso il paganesimo scoperto da Caeiro", il compito di Antonio Mora "è di provare definitivamente la verità, metafisica e pratica, del paganesimo". "Il ritorno degli dèi" viene concepito da Pessoa proprio come prefazione all'opera di Alberto Caeiro e rappresenta, pur nella sua inevitabile frammentarietà, una critica feroce del cristianesimo, sulla scorta certamente della filosofia di Nietzsche, ma con l'ambizione di superarla, di andare ancora oltre quel suo "sapore cristiano che non può ingannare". Del resto, il parallelismo con Nietzsche non si limita a questo; come il filosofo tedesco era morto all'interno di una clinica psichiatrica, Antonio Mora si trova internato, a causa del suo squilibrio mentale, in una casa di cura di Cascáis." (Paolo Collo)
Introduzione di Attilio Brilli, traduzione di Simonetta Neri
Scenari italiani di Edith Wharton è il più affascinante «viaggio in Italia» scritto dopo Goethe e dopo Stendhal. E lo è per quel suo consapevole frapporsi fra il viaggio sette-ottocentesco, con le sue categorie estetiche e le sue lentezze, e il turismo moderno con i suoi sguardi frettolosi gettati su luoghi inesorabilmente omogeneizzati. Quello della scrittrice americana è un viaggio moderno che ingloba una lunga tradizione per trarne il succo e poi trascenderla in nome della propria autonomia culturale ed estetica, un’autonomia che va oltre la lettura gotica di Ruskin, oltre l’aureo rinascimento di Pater o le sensazioni di Bourget in favore di una visione più eclettica della civiltà italiana. Protagonista del libro è infatti il paesaggio, anzi potremmo dire che questi ‘scenari’ compongono il più bel libro che sia stato scritto sul paesaggio italiano e sul modo in cui lo si debba osservare e conservare. Pur essendo ben lontana dal presagire le geremiadi del viaggio italiano di Ceronetti, straordinariamente attuali si rivelano alcuni moniti che Edith Wharton enuncia nel corso dei suoi itinerari, a cominciare dagli italiani ai quali rimprovera l’eccessiva tendenza a impoverire il territorio trasferendone le opere d’arte nell’atmosfera asettica dei musei, ai collezionisti d’oltreoceano che quel territorio contribuiscono a depredare. Senza contare che gli itinerari della nostra viaggiatrice si rivelano ancor oggi inconsueti, se non inediti, e in grado di restituire al turista l’illusione momentanea di farsi viaggiatore.
Patrizia ha trascorso l'infanzia e l'adolescenza nel quartiere di Cinecittà, negli anni Sessanta e Settanta. Dopo la laurea si è trasferita negli Stati Uniti, lasciandosi alle spalle anche un'intensa ma problematica storia d'amore. Molti anni dopo viene richiamata a Roma dove, fronteggiando continui soprassalti della memoria, affronta un vissuto recondito ma mai rimosso, da cui affiora qualche gemma preziosa legata ad affetti perduti e a scorci e ad atmosfere cittadine d'invincibile suggestione. Tra le pieghe del passato di Patrizia, però, s'annida pure una tragica beffa del destino, che riemerge nel presente con una sconvolgente rivelazione sulla morte misteriosa e violenta dei genitori.
Un'antica tradizione vuole che ogni sette anni, a Likovrissi, un piccolo villaggio greco-ortodosso affacciato sul Mare di Creta, la Pasqua venga festeggiata mettendo in scena il dramma della Passione di Cristo. Per l'occasione i contadini abbandonano le consuete occupazioni per vestire i panni dei personaggi del Vangelo ma, nel momento in cui vengono scelti gli attori, accade qualcosa di strano. I futuri protagonisti della Via Crucis, infatti, sembrano come posseduti dallo spirito evangelico e, stravolgendo i loro comportamenti, si trasformano nei personaggi che dovrebbero interpretare. Accade così che, quando a Likovrissi giungono dei profughi greci fuggiti da un paese bruciato dai turchi, i contadini a cui è stata affidata la parte di Cristo e degli apostoli finiscono per opporsi all'egoista padre Grigori, accogliendo i fuggitivi nelle loro terre. Allo stesso modo Manoliò, il giovane a cui è stato affidato il ruolo di Gesù, lascia la sua fidanzata nel tentativo di redimere Katarina, la vedova peccatrice scelta per dare un volto alla Maddalena. Lo stesso Manoliò non esiterà ad autoaccusarsi di un delitto che non ha commesso pur di risparmiare ai suoi compaesani le ritorsioni minacciate dall'Agà turco che governa Likovrissi.