
Gioca a shanghai con le sue storie, Alice Munro, da sempre. Getta sulla pagina posti, alberi, situazioni e donne, cucine, abiti e animali, e con mano ferma se li riprende, li riordina provvisoriamente dentro la storia successiva, di raccolta in raccolta. Intanto passano gli anni e le verità che accendono improvvise i suoi racconti si sono fatte longeve. Non perché durino, ma perché non smettono di accendersi di nuovo, emanando altra luce, un'altra luce. Con "Troppa felicità", tuttavia, il lettore avverte il passaggio in corsa di un'elettricità inedita, una scarica di tremenda libertà. Queste storie sembrano spingersi un passo oltre il segreto contenuto in storie passate, e non per consumarlo rivelandolo, ma per complicarne l'esito a partire dalla consapevolezza temeraria della vecchiaia. E se altrove l'immaginazione aveva provato a raffigurarsi l'orrore della morte di un bambino, qui i figli a morire sono tre, e a ucciderli è il padre. Se altrove una madre imparava a sopportare l'abbandono della figlia, qui all'abbandono del figlio segue il coraggio di rappresentare l'incontro, anni dopo, con uno sconosciuto di cui un tempo si conosceva a memoria ogni millimetro di intimità. Se altrove la fragile e caparbia convenzionalità dell'infanzia coagulava in dispetti odiosi ai danni di una qualsiasi creatura debole, qui tocca il fondo di una banalità del male senza scampo.
L'universo creato da Javier Marías per accogliere le vicende del suo narrare, in particolare del recente e fondamentale romanzo in tre volumi "li tuo volto domani", ospita spesso le attività di servizi segreti, la cui peculiarità più inquietante è saper interpretare le vite dei soggetti che ricadono sotto la loro attenzione, famosi o sconosciuti che siano. Qui sono riuniti tre di quei ritratti, che consentono di cogliere come le tecniche d'interpretazione siano diverse, ma lo scopo finale - conoscere, giudicare, prevedere per controllare e semmai coartare - sia pur sempre unico: un esercizio di stile che fa cogliere grandezze e miserie di tre personaggi molto noti come Silvio Berlusconi, Michael Caine e Lady Diana.
"La montagna, più che un luogo geografico, è un'esperienza: quella di un mondo potente nella sua resistenza a certe pazze vertigini della modernità, ma assolutamente marginale". E proprio come la montagna sono marginali e potenti le figure che l'hanno abitata, e che abitano questo libro. Sono le donne lupo, capaci di "affrontare a viso aperto il grave del mondo". Sono balenghe, diverse, eccentriche, "tutte falciate dalla stessa sentenza di emarginazione, servite alla comunità per mettere in scena sempre lo stesso canovaccio". Eppure, forse proprio per questo, cariche di un'oscura forza leggendaria. Una ricercatrice s'inoltra per le valli piemontesi facendo interviste con il suo registratore. Le hanno parlato di una donna, la Fenisia, che vive isolata nel Paese Piccolo, vicino al vecchio cimitero è lei la memoria di quei posti. È nata nel novembre del 1928, non ha mai vissuto altrove e "il lavoro della sua famiglia è sempre stato quello del sotterramorti". Comincia così il rapporto tra la scrittrice e l'anziana donna e, scabro e incalzante, si dipana il racconto di una vita da cui emergono figure femminili impossibili da dimenticare: la madre Ghitìn, la nonna Malvina, la bionda cugina Grisa, "un bisqui di settebellezze", rinchiusa in manicomio per aver osato ribellarsi a un padre violento. "Agli uomini il sudore e alle donne il dolore", la vita in valle è sempre stata durissima, specie per chi ha la sfortuna di nascere femmina.
Secolo XIII. Eustachius von Felben non aveva mai vacillato. In Terrasanta dove aveva combattuto per vent'anni, sapeva con certezza quale fosse il suo compito di cavaliere dell'Ordine Teutonico. Difendere la Croce con la sua spada. Diffondere il vero Credo tra gli infedeli. Ma ora che è tornato in Prussia, sede del suo Ordine, sente nascere nell'animo un'inquietudine insopprimibile. La sua missione non è cambiata, anche qui ci sono pagani da convertire, ma le urla di uomini, donne e bambini arsi vivi nel rogo delle loro case ora sembrano più acute, i cadaveri che si aggiungono ai cadaveri disegnano un trionfo della morte sconosciuto al più visionario dei pittori. Davvero "Deus vult", Dio lo vuole? E quando si trova coinvolto nella crociata mossa dai cattolici contro il principato russo di Vladimir-Suzdal e la potente città di Novgorod, il suo dubbio si fa disgusto. Lungo la marcia, l'esercito cristiano, formato in gran misura da suoi compagni d'arme, si concede ogni genere di violenza, che il vescovo von Buxthoeven, promotore della crociata, non può che benedire. Ma stavolta i nemici sono ortodossi: scismatici ma pur sempre fratelli di fede. Eustachius riceve l'incarico di scortare un confratello inviato dall'Ordine a trattare la pace con i russi, ma lungo il cammino si renderà conto con crescente amarezza che sono in molti a preferire la guerra. Attraverso un succedersi di battaglie, assedi e scontri sanguinosi in uno scenario di ghiaccio e di gelo, fitte foreste e immense paludi...
"Prima di iniziare il viaggio che mi avrebbe portato attraverso ventitré città del mondo, non sapevo perché volevo partire. La risposta migliore a chi me lo avesse chiesto sarebbe stato qualcosa come 'Mi annoio' o 'Ne ho abbastanza di cene a base di takeaway cinese'. Ma dovevo volare per 24.901 miglia per capire, anzi per sentire, quello che mi mancava. Ho dovuto scoprire quale piccolo cerchio sia in realtà l'esperienza di un uomo. Sentire cosa si prova a stringere uno dei 132 milioni di orfani nel mondo, e poi lasciarlo andare. Capire cosa significa essere fortunati, così sfacciatamente fortunati da avere la nausea al pensiero. Ho dovuto vedere, annusare, temere, assaporare da dove vengono i miei fratelli e sorelle e realizzare quanto sarebbe stata diversa la loro vita se non fossero diventati la mia famiglia. E quanto diversa sarebbe stata la mia. I miei fratelli e sorelle, quattro orfani dalle parti opposte del pianeta, l'India e la Corea. Ho dovuto fare il giro del mondo per capire quale miracolosa connessione ci ha uniti, ma, ora che stavo di nuovo lì con loro, sembrava naturale. Non normale - adesso sapevo che normali non lo eravamo - ma ci sentivamo una cosa sola per la prima volta in tanti anni. La risposta al perché mi sono messo in viaggio è che dovevo circumnavigare la Terra per trovare la strada di casa." (Aaron Eske)
Nello sperduto Monastero abruzzese di Monte Monaco, una coppia di giovani ricercatori si ritrova a studiare gli enigmatici affreschi di uno sconosciuto pittore medioevale (detti della Madonna triste). Per una serie di sfortunate coincidenze, il custode, a stagione turistica ormai terminata, li chiude dentro, credendo che se ne siano già andati. Da quel momento inizia il loro calvario, fatto di fame e di sete, fino a quando, dopo una settimana di prigionia, vengono ritrovati in fin di vita. Ricoverati in ospedale, Luca e Manuela sono perseguitati da strani sogni, che persistono anche dopo la loro completa guarigione. I due scoprono di avere rivissuto, ciascuno con un’angolazione diversa, la stessa tragica vicenda di orrori e violenze occorsa alla piccola comunità che viveva a Monte Monaco negli anni in cui furono realizzati gli affreschi.
Destinatari
Un romanzo destinato al grande pubblico.
Autore
Giovanni D’Alessandro nasce a Ravenna da famiglia abruzzese nel 1955. Laureato in Legge, vive e lavora a Pescara. Conoscitore profondo della letteratura anglosassone e appassionato d’arte, esordisce nel 1996 con il romanzo Se un Dio pietoso (Donzelli Editore) caso letterario, finalista ai premi Viareggio e Palazzo al Bosco, vincitore dei premi Penne-Mosca e Convegni Maria Cristina, tradotto in diverse lingue straniere. Nel 2004 pubblica I fuochi dei Kelt (Mondadori) con cui vince il premio Scanno, e nel 2006 La puttana del tedesco (Rizzoli) insignito del premio Fenice Europa 2007. Con le Edizioni San Paolo è apparso il suo primo libro di racconti, Il guardiano dei giardini del cielo (2008), premio Maiella e Sulle rovine di noi (2009).
Punti forti
Il ritorno al romanzo di un autore già noto, che si contraddistingue per un ritmo veloce e una lingua scorrevole.
Temi di forte impatto sul pubblico: la vita di
coppia; il conflitto tra generazioni e la baronia universitaria; la violenza che il potere scatena sugli uomini calpestando ogni sentimento e rispetto; la pietà e il perdono come possibilità di sottrarsi alla logica della storia; il misterioso e magico rapporto tra arte e memoria.
Tra tutti i libri di Alojz Rebula che hanno per protagonista un uomo di Chiesa, il romanzo Notturno sull’Isonzo occupa un posto speciale. Ispirandosi alla vita di un sacerdote realmente esistito, ovvero don Filip Tercelj (di cui Florijan Burnik è l’alter ego letterario), Rebula descrive il tragico destino che investì tanti preti sloveni, vittime dei totalitarismi del secolo scorso: il protagonista del romanzo è dapprima incalzato dai fascisti in casa propria, poi confinato ed esiliato in Italia; rinchiuso in un campo di concentramento dai nazisti; infine, nel dopoguerra, assassinato brutalmente dai comunisti senza tanti complimenti. Questo romanzo è un singolare monumento eretto alla memoria di tutti i sacerdoti sloveni della cosiddetta Primorska che, accettando la persecuzione e mettendo a repentaglio la loro vita, furono sempre pronti a difendere la dignità umana nonché il diritto fondamentale spettante a ciascun uomo di onorare Dio nella sua lingua madre e di conservare la propria identità nazionale.
Destinatari
Un ampio pubblico.
Autore
Il triestino Alojz Rebula (1924), insegnante di lettere classiche ed esponente della minoranza slovena in Italia, è uno dei maggiori scrittori e intellettuali sloveni contemporanei. Al suo attivo ha più di quaranta volumi di opere letterarie, diversi saggi e traduzioni. I suoi campi di interesse spaziano dalla poesia alla saggistica, dai romanzi ai racconti, dai diari alle biografie, dai trattati di filosofia e teologia ai testi teatrali, dalle traduzioni dall’italiano, dal latino e dal greco in sloveno a quelle dallo sloveno in italiano. Ricordiamo alcuni titoli di maggior successo: La vigna dell’imperatrice romana, Il richiamo al Mediterraneo, Il ballo delle ombre, Nel vento della Sibilla, Jakob Ukmar e La peonia del Carso. Notturno sull’Isonzo è stato pubblicato nel 2004 con il titolo Nokturno za Primorsko e ha vinto nel 2005 il prestigioso “Premio Kresnik” per il miglior romanzo sloveno dell’anno.
Punti forti
Rebula è uno dei più grandi scrittori di lingua slovena viventi, nonché forse il più influente intellettuale cattolico di aerea slava. Notturno sull’Isonzo si è aggiudicato nel 2005 il prestigioso premio Kresnik per il miglior romanzo sloveno dell’anno.
Anche la critica non ha potuto fare a meno di constatare, dopo il suo ultimo grande successo con “Il tempo che vorrei”, che Fabio Volo è un vero e proprio fenomeno: editoriale, letterario, di costume. I suoi libri riempiono le classifiche (capita di vederli presenti anche tutti e cinque contemporaneamente), gli zaini dei ragazzi e le borse da lavoro degli adulti, le mani dei viaggiatori e i comodini dei sognatori. Ma oltre ogni tentativo di spiegazione (sociologica, semiotica, storica), oltre la sua notorietà mediatica, rimangono dei libri pieni di emozioni, di ironia, di intelligenza. Come questo suo nuovo romanzo.
Il romanzo comincia seguendo le due protagoniste bambine, e poi adolescenti, tra le quinte di un rione miserabile della periferia napoletana, tra una folla di personaggi minori accompagnati lungo il loro percorso con attenta assiduità. L'autrice scava nella natura complessa dell'amicizia tra due bambine, tra due ragazzine, tra due donne, seguendo la loro crescita individuale, il modo di influenzarsi reciprocamente, i buoni e i cattivi sentimenti che nutrono nei decenni un rapporto vero, robusto. Narra poi gli effetti dei cambiamenti che investono il rione, Napoli, l'Italia, in più di un cinquantennio, trasformando le amiche e il loro legame. E tutto ciò precipita nella pagina con l'andamento delle grandi narrazioni popolari, dense e insieme veloci, profonde e lievi, rovesciando di continuo situazioni, svelando fondi segreti dei personaggi, sommando evento a evento senza tregua, ma con la profondità e la potenza di voce a cui l'autrice ci ha abituati. Si tratta di quel genere di libro che non finisce. O, per dire meglio, l'autrice porta compiutamente a termine in questo primo romanzo la narrazione dell'infanzia e dell'adolescenza di Lila e di Elena, ma ci lascia sulla soglia di nuovi grandi mutamenti che stanno per sconvolgere le loro vite e il loro intensissimo rapporto.
John Moore è poco più di un ragazzo quando, nell'estate del 1779, viene mandato a difendere, alla testa di un pugno di uomini, un avamposto britannico a est del Massachusetts, durante la guerra di indipendenza americana. Da quell'ultima fortezza, in cima a un boscoso e impervio grumo di terra che domina la baia di Penobscot, la corona inglese spera di organizzare la propria riscossa. Ma il governo del Massachusetts, deciso a "catturare, uccidere o distruggere gli invasori", mette insieme una spedizione punitiva inviando un'imponente flotta contro il nemico. La battaglia, che scriverà una delle pagine più drammatiche e significative di quella guerra fratricida, avrà però un esito sorprendente. Questa è la storia di quella battaglia ed è la storia dimenticata, o volutamente nascosta da qualcuno, di John Moore: un uomo pronto a combattere per una causa superiore, pronto a morire per l'amore di una donna e pronto a cambiare le sorti di un combattimento armato soltanto del proprio cuore. È la storia di un eroe.
Tre individui: tre diversi la cui emarginazione non è dovuta a cause sociali o ideologiche, ma alla sindrome di Tourette, che provoca tic motori e verbali e una luminosa sensibilità. Sono amici; hanno passioni complementari; svolgono lavori solitari. Il primo è sospettato ingiustamente di un omicidio e diventa bersaglio di inspiegabili tentativi di ucciderlo. Gli altri due cominciano a indagare sul delitto per scagionarlo. Scovano le tracce di traffici tenebrosi e assassini, incrociano un gigante russo che nutre perverse utopie estetiche, si battono contro coppie di gemelli killer. Incompresi dalla polizia, tormentati da tic compulsivi che imitano pezzi di realtà svelandone la trama invisibile, vagabondano per le calles livide e i sotterranei miserabili di una Buenos Aires che prepara il bicentenario della indipendenza, tra bombe di nazionalisti, colonne di fumo, palazzi distrutti. "La sindrome di Rasputin" non è un giallo convenzionale. La critica in Argentina lo ha definito un feuilleton avventuroso, e l'autore, un innovatore del genere nella letteratura in lingua spagnola, vi unisce, all'avventura, l'azione cruda, la comicità del grottesco e dell'assurdo che diventa logica del mondo, sprazzi da fantascienza, e una visione in bianco e nero che s'ispira esplicitamente a sguardi cinematografici. Il tutto per raccontare, in fondo, la sostanza umana di un'amicizia nata dove la cosiddetta normalità erige i suoi muri.
"Si sorprende di scorgere la punta di un timpano di Santa Croce che si conficca nel cielo nero, abbassa gli occhi come a riparare lo sguardo nella pace di un lembo di piazza e intanto pensa che davvero Firenze è infinita, e si potrebbe andare avanti e girarla in lungo e in largo per giorni, con la certezza che di Sante Croci ce ne sono almeno cento (e di punti da cui sbirciarla, mille) e chissà quante vie dei Pepi ancora da scoprire, una babele di marmo e torri dalla testa mozza." E dopo Santa Croce c'è San Miniato, il Cimitero degli Inglesi e il Forte Belvedere, borgo Pinti, piazza del Carmine, Santa Maria Novella, il centro e l'Oltrarno, la periferia e i giardini ermetici. È fra questi luoghi che si snoda la vita di tanti personaggi. Ognuno, a modo suo, vive Firenze: città elegante, raffinata, ma anche un po' punk e new wave, città di antichi nobili e nobildonne, città d'arte e città-vetrina. In queste pagine, si accavallano storie, episodi, aneddoti su chi vuole andarsene e chi ha deciso di rimanere a Firenze, su chi prova a smuoverne le acque e chi si accontenta di galleggiare. Fra studenti, artisti veri o presunti, delinquenti e signori, stranieri e fiorentini doc, Vanni Santoni scrive una guida-romanzo di una delle città più belle d'Italia.