
"Quando ero piccola volevo fare la domatrice d'orsi. Poi mi è passata, e sono diventata medico, il sostituto di un medico generico. Nei 12 anni trascorsi fra università, ospedale e ambulatorio, ho avuto occasione di vedere un bel po' di cose assurde, commoventi, rivoltanti, spassose. Ho detto parecchie sciocchezze e ne ho anche fatta qualcuna. Insomma, ho raccolto un bel po' di storie e poi mi è venuta la voglia di scriverle, queste storie; all'inizio per non dimenticare tutto ciò che mi aveva scioccato all'epoca del mio tirocinio in ospedale, per non rischiare di farci l'abitudine. Anche per gridare lo sconforto di ritrovarmi spesso così impotente. E poi, per condividere certi incontri, le piccole vittorie, i frammenti di vita vissuta. Tutte queste storie ve le consegno così, senza abbellimenti, in ordine sparso, proprio come le ho vissute e come mi sono tornate in mente." (Jaddo)
La poesia di Dante è trapunta di stelle. Il suo sguardo verso il cielo non è però soltanto quello di un poeta, ma è anche quello di un appassionato di astronomia, una delle discipline più alte nell'assiologia scientifica medievale. Un astrofisico e un umanista dialogano intorno alle immagini stellari nella poesia dantesca, che ancora oggi coinvolgono e appassionano i lettori, sebbene il sistema scientifico di riferimento sia totalmente mutato.
Questo curioso sermone è stato pronunciato in data imprecisata e pubblicato nel 1776 dallo scrittore e poeta irlandese Jonathan Swift (1667-1745), che fu anche pastore anglicano e decano della cattedrale di St. Patrick a Dublino, universalmente noto per i Viaggi di Gulliver, il suo capolavoro.
Si tratta di un insolito testo in cui l'autore affronta il tema della predicazione lanciando, in primo luogo, un aspro e polemico atto d'accusa nei confronti della diffusa indifferenza per il culto e la religiosità del suo tempo.
Swift se la prende con quanti accampano ogni genere di scuse - dai malanni immaginari all'aria malsana delle chiese - per non andare a messa, o antepongono la cura degli affari a quella dell'anima; e con quanti preferiscono restare a casa la domenica, non solo per pigrizia o per abbandonarsi all'ingordigia e all'ozio, ma per un radicale disprezzo nei confronti della religione. Siamo di fronte allo sfogo di un prete anglicano evidentemente deluso per la vita del suo tempo e deciso a rivolgere un attacco diretto alle prediche soporifere.
Roma, 1903: la quiete della dolce notte estiva è turbata da un delitto perpetrato nel luogo più inviolabile, il Vaticano. Una guardia svizzera viene trovata morta insieme a una cameriera. Il vecchio papa ha le mani legate: indagini ufficiali solleverebbero un polverone, mettendo a repentaglio la credibilità della Chiesa. Ci penserà il Padre eterno a punire il colpevole. Ma quel che Leone XIII vuole assolutamente impedire è che, dopo la sua morte, il soglio di Pietro sia occupato da una persona coinvolta nel crimine. Così, per risolvere il mistero con la dovuta discrezione, Leone XIII decide di avvalersi della consulenza di un medico viennese, che si dice abbia elaborato teorie che rivoluzioneranno per sempre l'indagine della mente umana: Sigmund Freud. Con il suo metodo psicoanalitico, Freud dovrà portare alla luce il segreto che si cela nel cuore buio di uno dei cardinali destinati a diventare papa: Mariano Rampolla del Tindaro, il segretario di Stato, Luigi Oreglia di Santo Stefano, decano dei cardinali e camerlengo, Joaquín De Molina y Ortega, aiutante di camera del pontefice. E dovrà fare in fretta, perché il colpevole potrebbe tornare a colpire. Ad affiancarlo, un novizio in cui il papa ripone totale fiducia, Giuseppe Angelo Roncalli, giovanissimo ma già in odore di santità.
Forte e armoniosa, la nuova capitale Pi-Ramses rispecchia il carattere del faraone. È una città dalla bellezza miracolosa e il suo compimento sembra aprire a un'era di ricchezza e di pace. Ma Nefertari, la bella tra le belle, scruta il cielo: gli uccelli sono nervosi, si prepara una tempesta che scuoterà la famiglia reale, e vedrà il nemico varcare il sacro suolo d'Egitto. Ramses, il Figlio della Luce, dovrà affrontarlo in una prova decisiva, che le generazioni a venire non dimenticheranno.
1900, Pechino. La fotografia che stringe tra le mani è tutto ciò per cui vale la pena lottare in quel momento, circondato, insieme alle altre truppe europee, dai boxer cinesi in rivolta. È la fotografia della sua famiglia, che lo ritrae insieme agli altri componenti attorno al patriarca, Filiberto Bondoli. Al suo ritorno dal fronte, a Ernesto, spetterà l'eredità, ma prima deve diventare un uomo, secondo il nonno. E nulla più della guerra può assolvere a quel compito. Ma Ernesto non torna dalla Cina, l'unica cosa di lui che rivedrà l'Italia sarà quella fotografia che l'ha rasserenato nelle interminabili notti cinesi, insonne per l'ansia e la paura di morire. È il suo compagno Mario a riportare la fotografia a casa Bondoli. Un po' per il legame che nei mesi di guerra ha instaurato con quel giovane gentile e un po' per un volto del ritratto di famiglia, una donna che si è impossessata dei suoi sogni e che vuole rivedere. Al suo arrivo a Ladispoli, Mario troverà in parte ciò che cerca da sempre, una famiglia, una casa le cui fondamenta risalgono al passato e che nulla può far crollare. Una donna da amare, anche se solo da lontano, per tutta la vita. Ma troverà anche segreti celati e difesi col sangue e capirà che la fotografia da cui tutto è cominciato nasconde un universo intero.
In un tempo di crisi papa Francesco ha rilanciato oltreoceano la parola speranza. E ha lanciato un appello: "Sogna che il mondo con te può essere diverso". Con un monito: "Custodire la propria identità per non cadere in una superficiale ricerca di unità". È il volto di una globalizzazione buona che "fa crescere un popolo e dà dignità a tutti gli uomini". Questo libro, raccoglie i principali discorsi di papa Francesco del viaggio apostolico a Cuba, negli USA e all'ONU, accompagnati da alcune analisi di contesto. È la storicizzazione di una nuova grande stagione della speranza.
Il volume raccoglie sei studi danteschi, editi in rivista tra il 1992 e il 2010: cinque letture di canti, di If. XV e XXXIII-XXXIV, di Pg. XVI e XXXI, di Pd. XV, seguite da una riflessione sulla fortuna della Commedia attraverso il caso specifico di Tommaso Campanella. Unifica la raccolta l'intento di far emergere in quale misura si debba al primo e più grande dei nostri poeti l'avvio non solo della prima fase, teocentrica, della storia italiana ma altresì della seconda, umanistica, cosmocentrica e cristocentrica, sullo sfondo di una prospettiva che riconosce nella letteratura la principale e autentica forza spirituale specificamente costitutiva dell'unità nazionale italiana. Ne deriva una lettura nuova e coerente di momenti, episodi e temi della Commedia - dall'incontro di Dante con Brunetto Latini a quello con Marco Lombardo, con Cacciaguida e, soprattutto, con Beatrice nel Paradiso terrestre -, che rappresenta un'occasione di riflessione e ripensamento per semplici appassionati della poesia dantesca, e in generale della cultura letteraria italiana, per gli studenti e per gli studiosi.
Tutto era cominciato (ma quando, esattamente? Lui stesso non riusciva a ricordarsene) con una improvvisa sensazione di vertigine, accompagnata da "un intenso e molesto calore alla gola". Poi, in seguito al ripetersi delle crisi, aveva consultato vari medici, l'ultimo dei quali gli aveva consigliato di prendere nota di che cosa aveva fatto, e mangiato, prima di ogni crisi. In quegli appunti, buttati giù su un foglietto che nascondeva tra le pagine di un libro, aveva deciso di annotare anche altro: quello che sua moglie, a differenza di lui, non aveva mangiato. E, dall'appartamento collegato attraverso una scala a chiocciola con la cartoleria di cui sua moglie era la "padrona", aveva cominciato a spiarla, ad ascoltare le sue telefonate, a cercare delle prove. A volte quasi si vergognava di rimuginare quei vaghi sospetti: si amavano da così tanto tempo, loro due! Altre volte, invece, gli veniva voglia di "afferrarla per le spalle" e, guardandola negli occhi "come si guardavano quando si stringevano appassionatamente l'uno all'altro", dirle: "Ho vissuto qui, con te, per quindici anni. Abbiamo fatto di tutto perché i nostri due corpi fossero un corpo solo, perché la tua saliva fosse la mia, perché il tuo odore e il mio odore fossero il nostro odore. Ci siamo accaniti a far sì che il nostro letto diventasse il nostro universo... Dimmi la verità". Ma sarebbe mai riuscito a formulare quella invocazione, a chiedere pietà?
A sei donne incontrate fra il 1932 e il 1935, quasi tutte sue amanti occasionali, sono indirizzate queste lettere di Céline, dove sempre risuona la petite musique del suo stile. Sei donne che Céline continua a seguire e proteggere: e, se si guarda bene dal parlare d'amore, non lesina consigli su come usare gli uomini nel modo migliore, cioè "per il piacere e per i soldi". Ma soprattutto, lettera dopo lettera, con una generosità che rende lacerante la violenza autodenigratoria ("Già vecchio, depravato, non ricco, malmesso insomma. Tutt'altro che un buon partito. Battona e malfido") , non cessa di illuminare per barbagli, a loro beneficio, il mondo. In fondo, scrive a Evelyne Pollet, "Crepare dopo essersi liberato, è almeno questa l'impresa d'un Uomo! Aver sputato ogni finzione...".
Chi è l'uomo, assente e impenetrabile, che alla domanda "Chi sei?" dei settanta rabbini appositamente convenuti a Nyesheve dalle grandi città della Polonia russa e della Galizia risponde solo, con voce remota: "Non lo so"? Il sensibile, delicato Nahum, genero dell'onnipotente Rabbi Melech ed esperto di Qabbalah, tornato pressoché irriconoscibile a Nyesheve dopo quindici anni di un misterioso errare? O, come invece sostengono i nemici di Rabbi Melech, il più miserabile e deriso dei mendicanti di Bialogura, Yoshe il tonto, che per placare una spaventosa epidemia è stato unito in matrimonio a Zivyah, la figlia idiota dello scaccino? È un asceta, un santo, degno di succedere all'ormai anziano rabbino di Nyesheve e di guidare i hassidim, o un peccatore, uno spergiuro? Mai la comunità ebraica è stata tanto lacerata e divisa - al punto da istituire un tribunale che risolva il caso -, mai ha conosciuto una così sanguinosa faida, quasi che le sue sorti fossero appese all'esile filo di una vacillante identità e di un incomprensibile vagabondare. E mai come in quest'uomo l'impossibilità di decidere del proprio destino, l'esilio - da se stessi, anzitutto -, l'angosciosa ricerca di una patria inesistente hanno trovato una più arcana, struggente, memorabile incarnazione.
Come molti altri della sua generazione, dalle atrocità della Grande Guerra il "piccolo eroe" Bernard Jacquelain è stato trasformato in un "lupo" avido di piaceri e di denaro, cinico e disincantato, e unicamente attratto dal mondo luccicante dei faccendieri, degli affaristi, dei politici corrotti. A niente servirà la presenza dolcissima della giovane moglie: lui ha voglia di avventure, e di quella mediocre vita piccoloborghese non sa che farsene. Ma il fuoco di molti incendi verrà a devastare i campi della sua vita: un amore sordido, una débàcle finanziaria, un'altra guerra, un lutto atroce. Solo allora Bernard capirà che cosa vuole davvero - e saprà che da quel cumulo di ceneri può nascere una vita nuova.