
1939. L'Italia si prepara a vivere l'ultimo Natale di pace, ma un omicidio squassa il ventre della città. Quanta solitudine che c'è. In Europa la guerra è cominciata, eppure da noi qualcuno si illude ancora che sia possibile tenerla fuori della porta. E poi sta arrivando la più bella delle feste, quella dove si mangia, si beve, ci si abbraccia, quella in cui ci si scambiano doni con le persone care; non bisogna avere pensieri tristi. La solitudine, però, la solitudine vera, è difficile da scacciare. Puoi essere solo perfino se stai in mezzo alla gente, se hai una famiglia, degli amici. Soprattutto puoi essere solo se decidono che sei diverso, magari perché non sai parlare, o perché ami persone del tuo stesso sesso. O perché, dicono, sei di un'altra razza. Anche Erminia Cascetta era diversa, a modo suo. Aveva troppa voglia di vivere, perciò l'hanno uccisa. In questo tempo che accelera verso l'abisso, spetta al commissario Ricciardi e al brigadiere Maione scoprire chi è stato. La chiave di tutto, però, è sempre la solitudine. Che, a volte nemmeno lo sappiamo, ci siede accanto. «Potessi parlarti, ti parlerei della solitudine del cuore. E della condanna che hai comminato, senza nessuna pietà, e senza avere idea di quello che stavi facendo. Potessi parlarti, ti direi che alla fine la colpa è tua. Ma non posso parlarti, giusto? No, non posso. Perché sei morta».
"Non dovrei dare nulla per scontato, dovrei essere concentrata come un dio, esercitare l'amore in ogni momento, perché l'amore è esercizio di presenza": questo pensa ogni madre quando rimprovera a sé stessa una défaillance, e questo pensa anche Antonia, detta Toni, brillante scrittrice di libri illustrati, che il suo ex marito chiama mélomamma ma è solo la genitrice affaticata di una figlia preadolescente e non riesce a perdonarsi tutta la stanchezza che ha nel cuore. Ma Toni non molla, ogni mattina si sveglia e affronta una nuova giornata, anche quando il Natale si avvicina con i suoi obblighi di riunioni familiari e tintinnante felicità che per lei suonano in contraddizione. Continuare a correre e stringere i denti, però, non sempre è la strategia giusta: il rischio è di fermarsi all'improvviso e dire la verità tutta insieme. È così che una mattina di dicembre, davanti a una platea di bambini e insegnanti, Toni guarda il buio oltre il cono dei riflettori e dice poche parole che infrangono irrimediabilmente il tabù del Natale. Subito intorno a lei si leva un'ondata di sdegno che attraverso i social diventa una tempesta, capace di travolgere tutto e di scaraventarla indietro, al cuore della sua infelicità: in quel posto dove ciascuno è costretto a guardare negli occhi sé stesso per capire come risalire. Un posto dove si può essere molto soli, ma può anche capitare di incontrare qualcuno come Riccardo, che a Toni ricorda: "A qualcosa serviranno, tutti questi errori". Fresco come il vento dell'est che porta con sé Mary Poppins, questo è un romanzo di adulti e di bambini, di elfi natalizi e e-mail dirette in Lapponia, di addii, di guai e d'amore, che ci racconta noi stessi, il nostro tempo veloce, le ipocrisie in cui troppo spesso stritoliamo i nostri desideri. Con il suo timbro inconfondibile Enrica Tesio scrive una fiaba metropolitana amara e dolce, capace di farci sorridere nel buio.
La Seconda guerra mondiale è finita da poco e in un piccolo monastero tra le Dolomiti si presenta un uomo, indossa un loden sbiadito e ha un vecchio zaino di tela sulle spalle. È atteso. Arriva dalla Germania, ha superato di nascosto le frontiere e cerca accoglienza prima di continuare la sua fuga verso nord. Diretto in Irlanda. Dublino, dodici anni dopo. Rosa Jacobs, giovane storica e ricercatrice al Trinity College, viene trovata morta in un garage, in circostanze che fanno inizialmente pensare a un suicidio. Incaricato dell'autopsia, l'anatomopatologo Quirke arriva però alla conclusione che la ragazza è stata uccisa. Il caso è affidato all'investigatore Strafford, verso il quale Quirke nutre ancora del risentimento per quello che è successo in Spagna, dove qualche mese prima sua moglie è morta (se solo Strafford...). Nonostante le acredini i due iniziano a indagare insieme: le frequentazioni di Rosa, le sue origini ebraiche e il suo impegno politico e civile, aprono una pista inaspettata, che affonda le radici nel passato e riporta alla luce alcune delle pagine più oscure della storia europea. Mentre Quirke e Strafford sembrano sempre più vicini alla soluzione, le loro vicende personali incrociano le indagini e rischiano di mettere in pericolo tutte le persone coinvolte.
Etty Hillesum è figura che, lungo gli anni, è andata assumendo un'importanza sempre crescente nell'ambito della cultura sia alta che di massa (e già questo è un merito che le si deve ascrivere). Martire del nazismo, ella pian piano è assurta a vera e propria compagna del lavoro interiore di molte donne e uomini; ma ha anche proposto (per quanto in parte inconsapevolmente), una vera e propria filosofia del quotidiano, capace di provocare le coscienze grazie e a causa del contesto in cui era inserita. È proprio nell'esperienza quotidiana che ella trovò per sé - e ripresenta a noi - la propria strada di "resistenza-, quella più difficile e sfidante: la resistenza all'odio. Resistenza interiore, poiché il vero danno che l'odio altrui e nostro può farci è quello che ha conseguenze devastanti in noi stessi. La sua è un'idea di rifiuto dell'odio, oggi tornata tanto necessaria quanto lo dovette essere ai suoi tempi. Chi accetta di accompagnarsi al cammino che Etty Hillesum propone nei suoi scritti (di cui il lettore trova qui una scelta antologica), accetta di essere messo in gioco con lei nel difficile lavoro interiore che tutti, prima o poi, dobbiamo compiere: quello di affrontare i nostri demoni, per giungere, infine, ad alzare gli occhi verso il cielo.
L'amicizia, un dono di Dio per non lasciarci soli nei momenti difficili della nostra vita e condividerne anche attimi felici. Lia ha sperimentato su di sé e nella sua anima l'esperienza spirituale di un legame che durerà oltre la vita. Un incontro avvenuto non casualmente - Lia non crede nel caso - ma guidato da eventi divini, una storia che attraversa, nostalgicamente, le quattro stagioni e di cui l'inverno diventerà la metafora di una fredda estate. Lia, la protagonista del racconto, parla del rapporto speciale che ha con A.C. (di cui non svelerà mai il nome) e della sua malattia, che la porterà a lasciare per sempre questo mondo, per entrare nell'eternità.
Non esiste un'età senza paura. Siamo fragili sempre, da genitori e da figli, quando bisogna ricostruire e quando non si sa nemmeno dove gettare le fondamenta. Ma c'è un momento preciso, quando ci buttiamo nel mondo, in cui siamo esposti e nudi, e il mondo non ci deve ferire. Per questo Lucia, che una notte di trent'anni fa si è salvata per un caso, adesso scruta con spavento il silenzio di sua figlia. Quella notte al Dente del Lupo c'erano tutti. I pastori dell'Appennino, i proprietari del campeggio, i cacciatori, i carabinieri. Tutti, tranne tre ragazze che non c'erano più. Amanda prende per un soffio uno degli ultimi treni e torna a casa, in quel paese vicino a Pescara da cui era scappata di corsa. A sua madre basta uno sguardo per capire che qualcosa in lei si è spento: i primi tempi a Milano aveva le luci della città negli occhi, ora sembra che desideri soltanto scomparire, si chiude in camera e non parla quasi. Lucia vorrebbe tenerla al riparo da tutto, anche a costo di soffocarla, ma c'è un segreto che non può nasconderle. Sotto il Dente del Lupo, su un terreno che appartiene alla loro famiglia e adesso fa gola agli speculatori edilizi, si vedono ancora i resti di un campeggio dove tanti anni prima è successo un fatto terribile. A volte il tempo decide di tornare indietro: sotto a quella montagna che Lucia ha sempre cercato di dimenticare, tra i pascoli e i boschi della sua età fragile, tutti i fili si tendono. Stretta fra il vecchio padre così radicato nella terra e questa figlia più cocciuta di lui, Lucia capisce che c'è una forza che la attraversa. Forse la nostra unica eredità sono le ferite. Con la sua scrittura scabra, vibratile e profonda, capace di farci sentire il peso di un'occhiata e il suono di una domanda senza risposta, Donatella Di Pietrantonio tocca in questo romanzo una tensione tutta nuova.
Nell'ottobre del 1945 Georges Simenon sbarca a New York, ansioso di lasciarsi alle spalle le turbolenze degli anni di guerra, le accuse di collaborazionismo e le minacce di epurazione. Con la moglie Tigy e il figlio Marc si stabilisce in Canada, nel Nouveau-Brunswick - ma è agli Stati Uniti che guarda. E, per conoscere meglio il paese dove comincerà una nuova vita, parte al volante di una Chevrolet per un viaggio di cinquemila chilometri, che dal Maine lo porterà sino a Sarasota, sul Golfo del Messico. Ad attirarlo, come sempre, non sono le città - anche se confesserà che a New York si sente perfettamente a suo agio -, ma la gente e «i piccoli particolari della quotidianità»: tutto ciò che può offrire ai suoi lettori «un'immagine più intima» degli Stati Uniti. Lui che aveva sempre captato, ovunque nel mondo, un disperato e insoddisfatto bisogno di dignità, finirà per essere conquistato dalla «forte tensione verso l'allegria e la gioia di vivere» che sprigionano le semplici ed essenziali case americane, dalla cordialità (o meglio: la familiarità) che regola i rapporti di lavoro, dalla fiducia in sé stessi che le scuole sanno inculcare negli studenti, dalla squisita cortesia degli abitanti del Sud - che nelle relazioni mettono «quel qualcosa di impercettibile e affascinante» che rende tanto preziosa l'esistenza - e scoprirà che proprio qui, nella sua nuova patria, vige «un tipo di vita che... tiene conto più di qualsiasi altro della dignità dell'uomo». Traduzione di Federica Di Lella e Maria Laura Vanorio. Con una Nota di Ena Marchi.
La cultura italiana ha radici millenarie e una grande capacità di universalizzarsi, e ha regalato al mondo architetti, pittori, scultori, musicisti e scrittori unici e straordinari. Questo libro intende introdurre il lettore ad alcuni classici della letteratura italiana: sarà, per così dire, una sorta di "viaggio letterario" in Italia. Per brevità, ho selezionato soltanto alcuni autori per me particolarmente significativi: Dante, Manzoni, Collodi, De Amicis e Guareschi. Le loro opere offrono uno spaccato della storia e della società dell'Italia del loro tempo, e dimostrano la possibilità di dialogo, di comprensione e di convivenza tra persone di diversa sensibilità culturale: un dialogo reso possibile, a mio avviso, dal profondo humus cristiano del Paese. Ma al di là di queste ragioni oggettive, ho scelto questi testi anche perché sono i miei classici, quelli che mi hanno accompagnato nel corso della vita, e la cui lettura mi ha lasciato qualcosa. Sono certo che potranno essere molto utili anche a quanti finora non hanno avuto occasione di accostarsi ad essi.
La casa di legno brucia nel cuore della notte. Lingue di fuoco illuminano la vallata fra le montagne. Nel silenzio della neve che cade si sente solo il ruggito del fuoco. E quando la casa di legno crolla, restano soltanto i sussurri impauriti di chi è riuscito a fuggire in tempo. Ma qualcosa non è come dovrebbe essere. I conti non tornano. E il destino si rivela terribilmente crudele nei confronti di una madre: Serena. Se c'è una parola con cui Serena non avrebbe mai pensato di identificarsi è proprio la parola «madre». Lei è lo «squalo biondo», una broker agguerrita e di successo nel mondo dell'alta finanza. Lei è padrona del suo destino, e nessuno è suo padrone. Ma dopo l'incendio allo chalet tutto cambia, e Serena inizia a precipitare nel peggiore dei sogni. E se l'istinto materno che lei ha sempre negato fosse più forte del fuoco, del destino, di qualsiasi cosa nell'universo? E se davvero ci accorgessimo di amare profondamente qualcuno soltanto quando ci appare perduto per sempre? Questo non è semplicemente l'ultimo capolavoro di Donato Carrisi. Perché Serena non è un personaggio come gli altri, e questa non è una storia come le altre. Questo è un viaggio inarrestabile alla scoperta degli angoli più oscuri del nostro cuore e delle nostre paure, al termine del quale il nostro modo di vedere il mondo, semplicemente, non sarà più lo stesso.
Una fattoria nella campagna irlandese, una bambina silenziosa, un padre e una madre non suoi. Claire Keegan tratteggia un lessico sentimentale dell'accoglienza e dell'amore genitoriale, in un racconto di sommessa e struggente bellezza. «Può bastare anche solo un'estate per imparare a essere amati. Ce lo racconta con ineffabile grazia la piccola protagonista di questo racconto perfetto» (Viola Ardone). «Per raccontare un mondo nuovo, un'esperienza mai vissuta, servono parole nuove, quelle che Claire Keegan trova dentro un vocabolario di cose, reali come l'amore» (Maria Grazia Calandrone). «L'estate non è mai un tempo qualsiasi. Ma c'è un'estate che può essere più preziosa delle altre, che può portare in sé l'abbacinante luce della crescita. La luce con cui è scritto questo romanzo» (Valeria Parrella). «Poi attraversiamo il tepore della cucina e lei mi dice di sedermi, di fare come se fossi a casa mia. Sotto il profumo di qualcosa che cuoce nel forno c'è una punta di disinfettante, candeggina forse. Toglie dal forno una crostata di rabarbaro e la mette a raffreddare sul piano della cucina: sciroppo bollente sul punto di traboccare, foglie sottili di pastafrolla saldate alla crosta. Dalla porta entra una corrente fresca ma qui è caldo, immobile, pulito».