
Il volume affianca a una sezione di scritti autobiografici altre sezioni dedicate al filone anticartesiano della letteratura francese, al XVII secolo (il secolo del teatro per antonomasia), a temi e figure del Settecento e dell'Ottocento (rapporti tra pittura e teatro, origini del romanticismo ecc.) e a Baudelaire.
Il volume è insieme interpretazione di tutta l'esperienza mistica dell'Occidente e raccolta di testi mirabili e spesso ignoti. E' un percorso dalle sterminate ramificazioni, che va dalle dottrine misteriche pagane sino a quelle dei Padri della Chiesa, dal rigore dei primi ordini monastici fino alla passione francescana e ai grandi mistici dell'età moderna.
"Le isole mi hanno sempre affascinato, e forse affascinano tutti noi" scrive Sacks all'inizio di questo libro. Nell'arco di una "storia d'amore con le isole che dura da una vita", una serie di strani casi lo ha portato a intraprendere due viaggi in Micronesia, paralleli ma indipendenti, che si sono poi cristallizzati nell'Isola dei senza colore. Per uno scienziato le isole non sono soltanto mondi a parte, sempre collegati a immagini paradisiache e infernali, ma laboratori dove studiare in condizioni ideali, come accade a Darwin, gli esperimenti della natura. Sacks racconta i suoi viaggi passo per passo, o meglio salto per salto dei minuscoli aerei che lo trasportano come cavallette da un'isola all'altra.
"Scarno e asciutto, e insieme magico nell'essenzialità con cui narra storie fiabesche e insieme di brusca, elementare realtà. I suoi racconti hanno l'autorità della favola, in cui il meraviglioso si impone con assoluta semplicità, con l'evidenza del quotidiano. In essi c'è comunione con la natura, col fluire nascosto e incessante della vita, e un'infinita, intrepida solitudine. (...) Un mondo meraviglioso, inesauribile e generoso, ma anche dolente, si apre d'ogni parte, fa sentire la sua voce fraterna e minacciosa, lascia intravedere il suo volto inafferrabile e cangiante, talora l'insondabile sorriso della vita, talora la sua infinita desolazione. (...) la lingua viene scolpita come un tronco, la mano sapiente sbalza via l'inutile e il superfluo ed emergo-no i connotati, i volti, i corpi, le storie. (...) questi racconti sono la voce di uno schietto, intenso artista, e insegnano un giusto modo di vivere." (Dalla Prefazione di Claudio Magris)
"Nel 1980 - racconta Andrea Camilleri - Livio Garzanti volle pubblicare questo mio romanzo risolvendo le perplessità di alcuni suoi eminenti collaboratori. Mi domandò però, quasi a guardarsi le spalle, un glossario. Comprendendo le sue taciute ragioni, principiai a compilarlo di malavoglia: poi, a poco a poco ci pigliai gusto e me la scialai. Il romanzo viene ora ristampato a distanza di diciassette anni e il glossario, nel frattempo, è diventato superfluo. Se ora lo ripubblichiamo è perché la cosa sottilmente ci diverte. Lo spunto di 'Un filo di fumo' me lo diede un volantino anonimo, trovato tra le carte di mio nonno, che metteva in guardia contro i maneggi di un commerciante di zolfo disonesto. Per il resto, nomi e situazioni sono da addebitare alla mia fantasia. Allora, quando uscì, il romanzo piacque a mia madre: lo dedico alla sua memoria".
Lazzaro Scacerni, nominato erede da Mazzacorati, un capitano dell'esercito napoleonico in Russia, tornato in Italia si costruisce un mulino. Sposa Dosolina e conserva con difficoltà i suoi beni. Il figlio Giuseppe, detto Coniglio Mannaro, riesce ad ampliare, non sempre con metodi leciti, la proprietà paterna. Il figlio di Giuseppe, Lazzarino, raggiunto Garibaldi, muore a Mentana. Dopo una violenta inondazione Coniglio impazzisce e finisce in manicomio. La moglie Cecilia supera mille avversità per mantenere la famiglia. Il figlio Princivalle, per difendere la sorella Berta, uccide con un pugno un giovane vicino. Un altro figlio di Cecilia, Giovanni si sposa e adotta un trovatello che morirà sul Piave nel 1918 e sarà l'ultimo Lazzaro Scacerni.
Nei racconti che compongono questo volume non si parla d'amore, ma delle emozioni senza nome, senza etichetta, che vincolano il cuore di un'umanità spaesata, non connotata da ruoli o qualifiche, stupita dal fluire del tempo come dagli scarti improvvisi del destino, in cerca di sé nelle stanze di case non riconoscibili, in chiese abbandonate a una sacralità senza riti, in città sospinte dalla storia di altri mondi. Quel sommovimento di tutto, quel senso di perpetua precarietà che la Rivoluzione russa impose in una vasta parte del mondo diventano qui un clima e un fondale psicologico. L'esilio come condizione dello spirito, espressione dello smarrimento e della vulnerabilità dell'anima e nonostante tutto un'ostinata vitalità dei sentimenti.