
Questo libro rivela ai lettori un aspetto praticamente sconosciuto dell’autore di Don Camillo e dei racconti familiari con Margherita, Albertino e la Pasionaria:quello di creatore di brillanti testi per la Radio. Per ben tre anni, infatti, dal 1947 al 1949, Guareschi realizzò due rubriche radiofoniche che ebbero grande successo.
La prima, «Signori, entra la Corte!», consisteva di ventinove processi – divisi in due serie – il cui verdetto era lasciato agli ascoltatori; la seconda, «Caccia ai ricordi», era composta di dieci episodi immaginari inquadrati in avvenimenti realmente accaduti nell’anno che i radioascoltatori dovevano indovinare.
Per entrambe le trasmissioni erano previsti premi per i vincitori: naturalmente, niente di simile alle migliaia – o milioni – di euro che vengono offerti oggi. Per quanto riguarda, ad esempio, «Signori, entra la Corte!», tra tutti coloro che avevano espresso un giudizio corrispondente a quello della maggioranza venivano sorteggiati «un apparecchio radio Ducati a cinque valvole con occhio magico e venti cassette di Aperitivo Select e Gin Pilla».
Entrambe le rubriche erano nate per campagne pubblicitarie. La prima, per promuovere le pastiglie per la gola del «Resoldòr», prodotto della Ditta Gazzoni di Bologna, offriva nella serie iniziale vicende tipiche del dopoguerra, «comicamente tragiche o tragicamente comiche », i cui protagonisti erano i reduci, i borsari neri, i nuovi industriali, la nuova criminalità; nella serie successiva, richiesta per il notevole successo riportato dalla prima, erano invece proposti argomenti più tipicamente «gialli». Quanto alla seconda, la «Caccia ai ricordi», venne commissionata dal Calzaturificio di Varese: aveva come narratori radiofonici i personaggi allora popolarissimi di Giovannino e Margherita del «Corrierino delle famiglie», e voleva semplicemente divertire. Negli episodi, molti sono i riferimenti autobiografici legati a eventi della sua vita, molti gli spunti tratti da testi scritti in precedenza: del resto, lo stesso accade per gli avvenimenti processuali esposti in «Signori, entra la Corte!». Ogni racconto è pervaso dal ben noto umorismo, dalla struggente ironia del grande scrittore della Bassa, e ci porta il profumo di un’Italia che non c’è più.
La storia comincia a Vigàta nel gennaio del 1890. Gnazio ritorna dall'America dopo 25 anni di assenza. Ci era andato a lavorare giovane perché in paese era rimasto solo. Sapeva solo "arrimunnari "gli alberi, ma alla perfezione tanto da essere assunto a New York come giardiniere. Poi, una brutta caduta da un pino, i soldi dell'assicurazione e il ritorno a Vigàta con un piccolo gruzzolo, sufficiente a comprare un pezzo di terra. Se ne era innamorato subito Gnazio, perché al centro di quella terra, stretta tra ciclo e mare, troneggiava un ulivo secolare, la gente diceva che aveva più di mille anni. La terra era rinata con le sue amorevoli cure, rivoltata e bagnata, popolata di animali, abbellita da una costruzione tirata su pietra su pietra e ora a 45 anni Gnazio era desideroso di farsi una famiglia. È l'esperta di erbe e guarigioni, la vecchia Fina, a trovargli una moglie, Maruzza Musumeci, bella come il sole. Chi sa perché quella ragazza non aveva mai trovato marito. Forse per certe sue stramberie? Le nozze, poi i figli. La famiglia di Gnazio e Maruzza cresce, prima nasce Cola, poi Resina, dalla voce ammaliante, poi Calorio e Ciccina, e cresce anche la casa... Una favola in cui si intrecciano mito e storia, ma anche arte, architettura, astrologia. Una fantasia sconfinata imbrigliata nel racconto di una vita vissuta intensamente.
Quando una madre e un padre aspettano l'arrivo di un bambino si pongono molti interrogativi. Le dieci lettere che formano questo libro aiutano a trovare risposte ad alcune delle domande più importanti di chi si prepara a essere padre, madre e anche educatore. La loro originalità sta nel fatto che non sono i soliti consigli per futuri genitori, asettiche raccomandazioni e istruzioni per l'uso calate dall'alto della saggezza di qualche esperto. Irene, voce narrante del libro, vive l'attesa del suo primo bambino lasciandosi andare al pieno coinvolgimento di cuore e sentimenti. Così le lettere che scrive mese dopo mese al figlio che nascerà parlano ai tanti mamma e papà 'in divenire' che, come lei, devono imparare poco per volta a guidare e farsi guidare dall'amore e dall'esperienza.
Chi fu realmente Cristoforo Colombo, l'"Ammiraglio del Mare Oceano", scopritore ufficiale del continente americano, prima celebrato dai potenti, poi morto in miseria e solitudine? Fu davvero un impavido navigatore, eroe senza macchia oppure un ipocrita privo di scrupoli, incapace di rispettare la parola data e le regole dell'onore? Rodrigo di Triana, soldato e disertore nonché marinaio, non nutre l'ombra di un dubbio al riguardo. Perché in quel famoso 12 ottobre 1492 non è l'Ammiraglio il primo ad avvistare l'isola di San Salvador. Chi grida il fatidico "Terra, terra, terra!" non è l'esploratore genovese, ma lui, Rodrigo, imbarcatosi sulla Pinta per sfuggire alla miseria e per sete di avventura. Cristoforo Colombo è stato solo lesto a rubargli la scena, e a intascarsi i diecimila pezzi d'oro della Corona spagnola. Da allora Rodrigo di Triana è ossessionato da un unico pensiero: vendicarsi di chi lo ha tradito e derubato di quanto gli spettava. La sua è un'odissea sullo sfondo degli ultimi anni della Reconquista: il regno dei cattolicissimi Ferdinando e Isabella; la caduta di Granada, ultimo baluardo moro nella penisola iberica; le persecuzioni razziali benedette dall'Inquisizione. Tra guerre, esplorazioni, pirati, picari, briganti, cupe prigioni, taverne dove tutto può succedere, un romanzo, frutto di anni di ricerche, per rileggere la prima pagina della storia moderna e lasciarsi trasportare dalla fantasia.
"Un lento apprendistato" include i cinque racconti (più la leggendaria introduzione a questo stesso libro) che Thomas Pynchon ha scritto tra il 1958 e il 1964. Pynchon racconta "a modo suo" storie di spionaggio, inquietanti incursioni nel cuore di tenebra dei sobborghi americani, avventure ambientate in gigantesche discariche di rifiuti e algidi esperimenti di fughe dal mondo. E dispiega con pienezza le sue tematiche ricorrenti: la critica all'imperialismo occidentale, la nevrastenia delle società opulente, gli splendori e le miserie della scienza e della tecnologia, l'ostinata difesa di chi è debole e non riesce a far risuonare la propria voce. Il tutto con quello stile che fonde insieme slang e linguaggi tecnici, dal cinema all'economia, dai fumetti ai maestri del Novecento letterario, che lo ha reso il capofila della letteratura nordamericana più innovativa, dal postmoderno fino ai nostri giorni.
Il 13 aprile 1980, nel centro di Beirut, viene rinvenuto tra le immondizie il cadavere di un uomo sulla cinquantina. Il corpo presenta segni di torture. Il narratore - un laureato in scienze politiche costretto dall'immanenza della guerra civile a riciclarsi in impiegato presso un'agenzia di viaggi - si improvvisa giornalista e decide di scoprire chi ha ucciso Khalil Ahmad Jàbir, un cittadino qualsiasi, e perché. Ognuno dei sei capitoli centrali dà voce a un personaggio diverso tra quanti hanno conosciuto o anche solo incontrato la vittima, ed è attraverso le loro parole che l'autore cerca di ricostruirne la personalità e le traversie (sono la moglie, la figlia, un vicino, la portiera, un miliziano e un netturbino). Ed è nell'incessante accumulo di storie che partono o si concludono con morti violente che l'assassinio di Khalil Jàbir perde di significato, da eccezionalità diventa quotidianità.
La lotta fra un uomo e un angelo, in un albergo di montagna. Un inverno trascorso sotto una valanga. Un amore finito sullo sfondo del Monte Fuji. E poi storie di neve e di guerra, di ghiacci artici e scoperte della libertà, di sinuosi corpi femminili sulle piste da sci. Come recita il titolo del racconto di Fosco Maraini, "Quando salendo creavi un mondo", l'esperienza della montagna ha a che fare prima di tutto con un percorso interiore. Mentre il paesaggio si allarga, le pareti di roccia, la neve, i ghiacciai, l'esperienza stessa della salita obbliga l'uomo a un confronto con l'assoluto. La montagna diventa simbolo, una concretissima sfida contro i propri limiti, nell'isolamento dal mondo circostante l'ascesa si estremizza in ascesi.
In ossequio al modello culturale legato al mito di Roma, Petrarca praticò quasi tutti i generi: dalla poesia, al trattato morale, all'epistolografia, alla storiografia. Ed è proprio a quest'ultimo filone che appartengono i testi raccolti in questo "Millennio": il "De viris illustribus" e il "De gestis Cesaris". Con il "De viris", Petrarca riprende apparentemente le forme della storia universale medievale, iniziando la trattazione da Adamo e dai personaggi biblici. Ma nello stesso tempo forza questa tradizione focalizzando i suoi personaggi illustri, per quantità di voci e loro dimensioni, nell'ambito della storia di Roma. Con questa "mossa" dà il via alla storiografia umanistica. Al "De viris" (in cui grande rilievo ha la vita di Scipione e che documenta l'appassionato repubblicanesimo del giovane poeta) viene abbinata l'opera più matura del Petrarca storico, il "De gestis Cesaris", interamente centrata sulla vita e le imprese di Giulio Cesare; in essa il Petrarca si muove verso un approfondimento storico-psicologico che assolve Cesare dall'accusa di aver provocato, per ambizione, le guerre civili, e fa affiorare i segni di una sua "conversione" in favore della monarchia imperiale.
Ricardo conosce la "ragazza cattiva" da adolescente, a Lima, e per trent'anni la rincorre in lungo e in largo per il mondo, colpito da un amore folle e sconsiderato. Lei ama nascondersi sotto false identità, è sempre in fuga da qualcosa, irretita da ideali politici, alla ricerca di libertà, ma anche di patrimoni da depredare. La rincontra a Parigi, dove lei è di passaggio, guerrigliera della MIR destinata all'addestramento a Cuba: sull'isola seduce un capo castrista, poi un diplomatico francese che la riporta con sé in Europa. Seduce poi un benestante inglese, per poi finire con un mafioso giapponese, che la devasta nel morale e nel fisico con ripetute, terribili violenze sessuali. Ogni volta Ricardo è lì a proteggerla. E ogni volta lei riprende la sua via di fuga.
Un cane troppo fedele che torna sempre come un boomerang dal padrone che lo vuole abbandonare; un potentissimo manager pronto a tutto pur di riunire i Beatles per un concerto; un terzino fantasioso e romantico su uno spelacchiato campo di periferia; un arrogante e irredimibile uomo d'affari; un frate che sceglie il silenzio per sentirsi più vicino a Dio ma viene vinto dalla bellezza di una muta; una perfida vecchietta divorata dall'invidia e dal livore sono solo alcuni dei protagonisti di questa raccolta di racconti, nella quale Benni mostra il lato più curioso, imprevedibile e misterioso della vita.
VII secolo d.C. L'Inghilterra è divisa in piccoli regni sempre in guerra tra loro e incapaci di affrontare le minacce che vengono dal grande mare del Nord. Dalla nebbia emergono vascelli dei vichinghi danesi, che si abbattono sulle coste inglesi con brutalità. Uthred, rampollo di un piccolo reame sulla costa, viene rapito dai vichinghi, diventa prima lo schiavo e poi il pupillo del re Ragnar, pirata e guerriero. Al suo fianco, in una terra lontana e gelida, Uthred diventa uomo. Apprende a brandire la spada, a navigare, e conosce l'ardore delle donne del Nord. Inizia così, tra battaglie, tempeste e una difficile formazione, la saga di Uthred e del suo re. Un ciclo di avventure che fonde leggende arturiane e realtà storica.

