
Un inconsueto e inedito legame familiare unisce un grande direttore del Corriere della Sera, un drammaturgo che ha scritto la Tosca e una talentuosa attrice nipote di Lev Tolstoj. Questo è il romanzo di quelle vite, di quegli intrecci, che coprono molti decenni tra '800 e '900, in una saga storica e letteraria che racconta per la prima volta una famiglia che ha cambiato l'Italia.
Luca Fanti non avrebbe saputo dire qual era stato l'istante esatto in cui le cose avevano iniziato a mettersi male. Dopotutto era un uomo fortunato. Una moglie affascinante, due splendidi figli, un lavoro che in tanti gli invidiavano: fare il manager di suo fratello Olli, uno dei ciclisti più forti del mondo. Poi qualcosa aveva sbagliato, certo. Errori piccoli, ed errori grandi. E il castello delle sue certezze si era sgretolato. Il divorzio, gli alimenti impossibili da pagare, le accuse della figlia maggiore, perfino un processo per aggressione, una cosa ridicola, in fondo aveva solo tirato un pugno a un amico. Certo, con suo fratello l'aveva davvero fatta grossa... Enrico Brizzi scrive la storia della caduta e della redenzione di un uomo lontano dall'essere perfetto, ma al tempo stesso irresistibile, un meraviglioso concentrato di difetti, superficialità, speranze, slanci e voglia di lottare; dei vizi e delle virtù, insomma, che rendono umani. "La primavera perfetta" tratta temi fondamentali, dalla disintegrazione della famiglia tradizionale ai non detti tra fratelli, dal ruolo prezioso dell'amicizia alla sorpresa di fronte al riaffacciarsi del sentimento più tenero, e riesce a toccare la profondità con leggerezza, portando il lettore dal riso alla commozione.
1520. La famiglia Di Segni è una delle tante che vivono a Roma nel serraglio degli ebrei, dove la sera si chiudono i cancelli e nessuno può più entrare né uscire. Michael, giovane capofamiglia, è già un valente cerusico specializzato nella cura delle malattie con rimedi a base di erbe, ma, a causa delle ristrettezze economiche, vive in una casa fatiscente insieme alla moglie Ruth e la loro piccola Ariela. Un giorno, Michael viene convocato dal banchiere Agostino Chigi detto il Magnifico, da tempo affetto da un male che lo tormenta, nonostante i tanti consulti di medici cristiani. Il potente e ricco mecenate vive nel fasto di Villa Chigi con la moglie Francesca Ordeaschi, ex cortigiana, e pur di guarire è disposto anche a passare sopra al fatto che il giovane sia ebreo. Mentre Michael viene fatto trasferire alla villa per stare notte e giorno vicino al malato, Ruth e la figlia rimangono da sole e ai limiti della sopravvivenza... E così, a poca strada dalla residenza dei Chigi, dove si sta organizzando la sfarzosissima festa dell'anniversario del matrimonio, per qualcuno le cose si mettono davvero molto male e Michael dovrà dimostrare tutta la sua capacità di medico e la sua determinazione, se vorrà un futuro per sé e per la sua famiglia...
Mario è un uomo che inventa storie, modifica la realtà, non è interessato alla verità, né sulle cose né sulle persone. Mario sfugge, per indolenza, all'obbligo di capire che tutto ci lega e tutto ci frustra. Vuole sposare Viola ignorandone la doppia, forse tripla vita. Anni prima è stato lasciato da Bianca, subito prima che nascesse Agnese, che forse è sua figlia o forse no. Tuttavia, se Bianca, spuntando dal nulla dopo anni, chiede aiuto, Mario subito accorre, disponibile ad accollarsi la paternità. È succube di Santiago, un ragazzo dedito a pratiche sessuali estreme, e affida alle fotografie la coerenza e consistenza della propria vita. Se dei giorni della vita di Mario possiamo dire - quasi sempre è il 17 giugno -, degli spazi in cui Mario si muove non siamo certi. La ripetizione è l'unica realtà di Mario. Con una scrittura che procede per variazioni capitolo dopo capitolo, pur conservando un incalzare ipnotico, Giulio Mozzi in questo suo romanzo guida il protagonista, e chi legge, attraverso avventure in parte reali e in parte - ma la cosa è sempre indecidibile - del tutto immaginarie, portandoli a sfiorare le vite strane e misteriose di personaggi senza nome - il Grande Artista Sconosciuto, il Terrorista Internazionale, il Martellatore di Monaci, il Capufficio - che Mario contempla come enigmi incomprensibili e rivelatori. Arrivando, nell'ultima pagina, alla più orribile delle conclusioni.
Le parole possono tutto. Questo ci insegna Amanda Gorman. Ci insegna a cercare la luce dietro ogni ombra, a costruire l'alba dopo ogni notte, a resistere davanti a ogni ostacolo. Bisogna farlo non per sé stessi, perché l'uno è nulla senza la moltitudine. Bisogna farlo per creare sempre più ponti che uniscano le persone. Solo la condivisione, la fratellanza, il superare le differenze ci salverà. Solo insieme possiamo scalare il colle. Oltre i confini, oltre gli orizzonti, oltre le distanze, siamo un unico popolo. Un popolo che ha bisogno di credere ancora, di credere di nuovo. E le parole di Amanda Gorman ci sono state regalate per questo. Per guardare al futuro con occhi diversi, con gli occhi di chi sa cosa c'è dietro ma è tutto teso nella volontà di generare il nuovo. Amanda Gorman è diventata una leggenda. Perché chi riesce a infondere coraggio e speranza lo è. È luce. E sprona tutti noi a diventarlo. Davanti al Campidoglio, durante la cerimonia all'insediamento della presidenza di Joe Biden, la ventiduenne Amanda Gorman senza esitazione alcuna ha dato voce alla sua generazione. Da quel momento la stampa di tutto il mondo non ha mai smesso di parlare di lei. Michelle e Barack Obama hanno visto in lei una fonte di ispirazione a cui guardare con orgoglio. Poetessa, attivista di successo premiata a livello internazionale, da anni lotta per l'uguaglianza razziale, la giustizia di genere, i diritti umani e la difesa dell'ambiente. È la donna più giovane a cui è stato assegnato il titolo di National Youth Poet Laureate; dal 2014 è delegata giovanile dell'Onu. Nessuno dimenticherà mai le parole che ha pronunciato davanti a milioni di persone, fondamentali per noi e soprattutto per i nostri figli. Perché sono loro il nostro futuro, da oggi più luminoso se a fare da faro ci sono donne come Amanda Gorman.
La storia di un uomo che non crede alla fine di un amore. Un romanzo di ossessioni, tenacia e tenerezza. "Perdonami, sono tanto stanca. Non mi cercare". Solo questo lascia scritto Giulia, prima di scomparire nel nulla. E suo marito Giovanni, nella casa improvvisamente vuota, si sente un naufrago. Il loro è un amore fatto di cose minime: la colazione al mattino, con le fette imburrate e la marmellata; un bacio volante prima di andare al lavoro e un altro più lungo la sera, quando lui torna dalla tipografia con le dita sporche d'inchiostro; abbracciarsi in giardino, tra le rose che lei ha potato con cura. Dopo una vita insieme, non hanno ancora perso la voglia di farsi felici l'un l'altra. O almeno, così credeva lui. Adesso Giovanni, in cerca di risposte, guarda tra i libri di Giulia e dagli scaffali pesca il più voluminoso: Anna Karenina. Comincia a leggere. E si convince che sua moglie abbia trovato un altro uomo, un amante focoso, un maledetto Vronskij. Geloso e amareggiato, si chiude in tipografia, deciso a creare una copia unica del capolavoro di Tolstoj: carta pregiata, copertina in pelle, nella speranza, un giorno, di farne il suo ultimo pegno d'amore per Giulia. Ma la vita non è un romanzo, procede per strappi lievi e imprevedibili. Quando il mistero della scomparsa si svela, Giovanni capisce che c'è sempre qualcosa che ci sfugge, e tutto ciò che possiamo fare è smettere di averne paura.
Quando Maddalena Splendori entra per la prima volta nella boutique della famiglia Fendi, in via Piave, Adele Casagrande Fendi la riconosce subito. Maddalena è una donna nota alle cronache per uno scandalo di cui è stata protagonista prima del matrimonio. Sin dal primo scambio di parole, però, le due donne sentono che qualcosa le lega: è lo spirito anticonformista e passionale che le anima entrambe. Quello spirito che ha consentito a Maddalena di emanciparsi dalla miseria in cui è nata e frequentare ora i salotti buoni di Roma, di ospitare in casa sua scrittori dell'importanza di Luigi Pirandello. Lo stesso spirito che ha spinto Adele Fendi, nella Roma degli anni Venti, ad aprire un negozio di moda insieme al marito, realizzando il suo sogno e diventando una stimata e affermata imprenditrice. Ben presto, infatti, grazie alla sua determinazione, le raffinate pellicce e gli accessori in pelle con il marchio Fendi diventano famosi anche all'estero, nonostante il conflitto mondiale. È solo l'inizio di un successo inarrestabile: l'amore per la produzione artigianale e per la tradizione, unito alla capacità visionaria, si trasmetterà dalla madre alle cinque incredibili figlie. Con loro e grazie al duraturo sodalizio con Karl Lagerfeld, il marchio diventerà una vera e propria icona del lusso internazionale. Tra le pagine di questo romanzo rivive la storia di un'amicizia così profonda da legare più generazioni, insieme a quella di una famiglia il cui nome è in grado di evocare eleganza e bellezza. Un viaggio nel mondo della moda...
"Splendi come vita" fa quello che fa la letteratura alla sua massima potenza: ridà vita a ciò che non c'è più, illuminando di riflesso la vita del lettore. Ma lasciamo che a parlarne sia l'autrice. «Splendi come vita è una lettera d'amore alla madre adottiva. È il racconto di una incolpevole caduta nel Disamore, dunque di una cacciata, di un paradiso perduto. Non è la storia di un disamore, ma la storia di una perdita. Chi scrive è una bambina adottata, che ama immensamente la propria madre. Poi c'è una ferita primaria e la madre non crede più all'amore della figlia. Frattura su frattura, equivoco su equivoco, si arriva a una distanza siderale fra le due, a un quotidiano dolore, a un quotidiano rifiuto, fino alla catarsi delle ultime pagine. Chi scrive rivede oggi la madre con gli occhi di una donna adulta, non più solo come la propria madre, ma come una donna a sua volta adulta, con la sua storia e i suoi propri dolori e gioie. Quando si smette di vedere la propria madre esclusivamente come la propria madre, la si può finalmente "vedere" come essere separato, autonomo e, per ciò, tanto più amabile» (Maria Grazia Calandrone).
L'esistenza di Bianca si è sbriciolata il giorno in cui, da bambina, ha perduto sua sorella. Stella era pura, onesta, e manteneva le promesse. Ecco perché la sua scomparsa ha macchiato il mondo di colpa. Con un ritmo magnetico, che travolge e sorprende, Nicoletta Verna scrive un romanzo familiare nel quale una giovane donna cerca ostinatamente una forma di redenzione. Menzione Speciale della Giuria Premio Calvino 2020. Bianca aveva sette anni quando un incidente dai contorni incerti ha innescato nella sua vita una reazione a catena, che non ha risparmiato nulla. Oggi sta con Carlo, cardiochirurgo di fama internazionale, e all'apparenza lo venera. Ma tanta devozione, in realtà, nasconde un piano macchinoso, folle: un progetto di rinascita in cui l'uomo è un mero strumento. Nel percorso che intraprenderà per realizzarlo, Bianca scoprirà una verità che nessuno avrebbe mai potuto sospettare.
Dalla dura lezione delle pandemie al razzismo, dal virus della corruzione alla tensione per l'innovazione, l'epopea di Roma - a saperla leggere - può scacciare il buio che spesso ci inghiotte, illuminare il nostro presente, edificare il nostro futuro.
Molti imperi scompaiono avendo lasciato dietro di sé un campo di sterminio, rovine, massacri e... niente altro. Roma ha lasciato una civiltà. Viviamo ancora nella sua legge, ci avvantaggiamo del suo sistema di comunicazione, delle poderose e geniali tecniche costruttive, parliamo la sua lingua, in tante e diverse parti del mondo. Alcuni dei popoli che sono stati interessati dalla dominazione romana non avrebbero poi avuto alcuna pietà quando, a loro volta, si sarebbero trovati nel ruolo degli invasori. Avrebbero distrutto, ucciso, saccheggiato: in questo, la storia del genere umano è tristemente quella che è. Gli "altri" non erano migliori. Una volta ancora la differenza è in ciò che rimane dopo. O che non rimane affatto. La narrazione storica rifugge illusorie classifiche morali, ma quel che è certo è che bisogna sentirsi orgogliosi della civiltà che l'antica Roma ci ha lasciato, orgogliosi di esserne, in tanti, eredi.
Scritto nel 1932, "Il mondo nuovo" è ambientato in un immaginario Stato totalitario del futuro, nel quale ogni aspetto della vita viene pianificato in nome del razionalismo produttivistico e tutto è sacrificabile a un malinteso mito del progresso. Il culto di Ford domina la società mentre i cittadini, concepiti e prodotti industrialmente in provetta, non sono oppressi da fame, guerra, malattie e possono accedere liberamente a ogni piacere materiale. In cambio del benessere fisico, però, devono rinunciare a ogni emozione, a ogni sentimento, a ogni manifestazione della propria individualità. Produrre, consumare. E, soprattutto, non amare. Un libro visionario, dall'inesausta forza profetica, sul destino dell'umanità. E sulla forza di cambiarlo. Al romanzo, qui per la prima volta accompagnato dalla fondamentale Prefazione che lo stesso autore scrisse nel 1946, segue la raccolta di saggi "Ritorno al mondo nuovo" (1958) nella quale Huxley tornò a esaminare le proprie intuizioni alla luce degli avvenimenti dei decenni centrali del Novecento.
«L'unica cosa importante in questo tipo di ritratti scritti e cercare la distanza giusta, che è lo stile dell'unicità». Così scrive Emanuele Trevi in un brano di questo libro che, all'apparenza, si presenta come il racconto di due vite, quella di Rocco Carbone e Pia Pera, scrittori prematuramente scomparsi qualche tempo fa e legati, durante la loro breve esistenza, da profonda amicizia. Trevi ne delinea le differenti nature: incline a infliggere colpi quella di Rocco Carbone per le Furie che lo braccavano senza tregua; incline a riceverli quella di Pia Pera, per la sua anima prensile e sensibile, cosi propensa alle illusioni. Ne ridisegna i tratti: la fisionomia spigolosa, i lineamenti marcati del primo; l'aspetto da incantevole signorina inglese della seconda, così seducente da non suggerire alcun rimpianto per la bellezza che le mancava. Ne mostra anche le differenti condotte: l'ossessione della semplificazione di Rocco Carbone, impigliato nel groviglio di segni generato dalle sue Furie; la timida sfrontatezza di Pia Pera che, negli anni della malattia, si muta in coraggio e pulizia interiore. Tuttavia, la distanza giusta, lo stile dell'unicità di questo libro non stanno nell'impossibile tentativo di restituire esistenze che gli anni trasformano in muri scrostati dal tempo e dalle intemperie. Stanno attorno a uno di quegli eventi ineffabili attorno a cui ruota la letteratura: l'amicizia. Nutrendo ossessioni diverse e inconciliabili, Rocco Carbone e Pia Pera appaiono, in queste pagine, come uniti da un legame fino all'ultimo trasparente e felice, quel legame che accade quando «Eros, quell'ozioso infame, non ci mette lo zampino».

