
Attratto da un richiamo fatale nel cuore dell'Africa, il giovane Salim, indiano di fede musulmana, lascia la costa orientale del continente per rilevare da un amico di famiglia un eccentrico bazar in riva a un fiume punteggiato dalle "isole scure" dei giacinti e circondato da un paesaggio primordiale di foreste, torrenti nascosti e impervi, canali infestati da zanzare e solcati da chiatte, buganvillee rigogliose, tramonti velati di nuvole lungo le rapide. Qui cercherà di contribuire, con pochi sodali, all'evoluzione di una società travolta da recenti tumulti. E in un primo momento la comunità dell'"ansa del fiume" - così come l'intero paese sembrerà avviarsi a un promettente progresso. Ma quello slancio innovatore, fagocitato dal Grande Uomo (nel quale non è difficile riconoscere il dittatore Mobutu), si convertirà presto in un futurismo grottesco (il "radioso avvenire"); e, unito alla feroce rabbia accumulata nel periodo coloniale e a un equivoco ritorno alla 'nazione autentica', susciterà un sistema di controllo paranoico e una catena di cieche rappresaglie - consegnando Salim a un destino di apolide senza patria e senza vera identità.
"Da adolescente" scrive Emmanuel Carrère nel "Regno" "sono stato un lettore appassionato di Dick e, a differenza della maggior parte delle passioni adolescenziali, questa non si è mai affievolita. Ho riletto a intervalli regolari 'Ubik', 'Le tre stimmate di Palmer Eldritch', 'Un oscuro scrutare', 'Noi marziani,' 'La svastica sul sole'. Consideravo e considero tuttora il loro autore una specie di Dostoevskij della nostra epoca". A trentacinque anni, spinto da questa inesausta passione, Carrère decise di raccontare la vita, vissuta e sognata, di Philip K. Dick. Il risultato fu questo libro, in cui, con un'attenzione chirurgica per il dettaglio e una lucidità mai ottenebrata dalla devozione, Carrère ripercorre le tappe di un'esistenza che è stata un'ininterrotta, sfrenata, deragliante indagine sulla realtà, condotta sotto l'influsso di esperienze trascendentali, abuso di farmaci e di droghe, deliri paranoici, ricoveri in ospedali psichiatrici, crisi mistiche e seduzioni compulsive e riversata in un corpus di quarantaquattro romanzi e oltre un centinaio di racconti (che hanno a loro volta ispirato, più o meno direttamente, una quarantina di film). Con la sua scrittura al tempo stesso semplice e ipnotica, Carrère costruisce una biografia intricata e avvincente quanto lo sarà, vent'anni dopo, quella di Eduard Limonov che è insieme un romanzo di avventure e un nitido affresco delle pericolose visioni di cui Dick fu artefice e vittima.
A Lukones, in una villa isolata, una madre e un figlio si fronteggiano. Lui, don Gonzalo, che le dicerie vogliono iracondo, vorace, crudele e avarissimo, è divorato da un male oscuro, quello che «si porta dentro di sé per tutto il fulgurato scoscendere d'una vita». Lei, la Signora, è ridotta da una desolata vecchiezza e dal lutto per la morte dell'altro figlio (il «suo sangue più bello!») a una spettrale sopravvivenza. Li unisce un amore sconfinato, li separa un viluppo di gelosia, senso di colpa, rancore, dolore - preludio al più atroce degli epiloghi. Intorno a loro una casa dissennata, feticcio narcissico ed epicentro di ogni nevrosi, estremo rifugio e tomba, e un'immaginaria terra sudamericana identica alla nostra Brianza, vessata dai Nistitúos provinciales de vigilancia para la noche ? che a tutti vorrebbero imporre la loro violenta protezione ?, assediata da robinie e banzavóis, disseminata di strampalate ville, popolata di «calibani gutturaloidi» che come miserabili Proci dilapidano le attenzioni della Signora. E che Gonzalo vorrebbe cancellare, insieme al barcollante feudo e a tutte le «figurazioni non valide». Perché il «male invisibile» da cui è affetto lo condanna a distinguerle e negarle, quelle «parvenze»: a respingere la «cara normalità», la turpe contingenza del mondo. Anche a prezzo di negare se stesso, anche a prezzo della più dura cognizione, quella che consegna alla solitudine e alla «rapina del dolore».
L’amicizia fra Benjamin e Scholem spicca, nel Novecento, come una tra le più affascinanti e vitali. E quando nel 1980 Scholem pubblica questo carteggio, che copre gli ultimi otto anni della vita di Benjamin, vuole rendere giustizia a un rapporto complesso e non privo di contrasti, ma improntato a una profonda fedeltà. Grande studioso della Qabbalah e della mistica ebraica, Scholem è, nel 1932, già da tempo in Palestina e ormai a un passo dalla cattedra; la vita di Benjamin, cabbalista in incognito e profondo innovatore del pensiero, attraversa invece la sua fase più tormentata: ospite di volta in volta a Ibiza, Parigi, Sanremo e in Danimarca, è costantemente alla ricerca di una base di sussistenza. Tra i due, fortemente segnati dalla formazione nella Berlino di inizio secolo e subito attratti dalle ricerche l’uno dell’altro, si sviluppa un confronto incessante che investe l’attualità politica, i libri letti, le comuni conoscenze (da Buber a Bloch, da Brecht ai francofortesi), e che trova il suo fulcro nei densissimi scambi a proposito di Kafka. Un dialogo a distanza – se si esclude il breve incontro parigino dell’inverno del 1938 – e non di rado drammatico, intessuto com’è anche di malintesi, puntute allusioni, eloquenti silenzi, ma che resta una prova convincente delle parole con cui Benjamin definì il suo rapporto con Scholem: «fra Gerhard e me le cose stanno così: ci siamo persuasi a vicenda».
Secondo la teoria del caos, il battito d'ali di una farfalla può scatenare un uragano dall'altra parte del pianeta: allo stesso modo il battito delle grigie ali di un pipistrello in una caverna nel Sud della Cina può seminare lutti a Times Square. La pandemia di Covid-19 ha provocato finora oltre sei milioni e mezzo di morti nel mondo. Il Big One, descritto in termini quasi profetici dallo stesso Quammen in Spillover, ha bussato alle nostre porte, e non eravamo pronti. La nostra reazione ha seguito lo schema illustrato già da Lucrezio a proposito della peste di Atene: alla sottovalutazione iniziale è subentrata la ricerca di un capro espiatorio, poi il panico, e infine l'impulso, altrettanto irrazionale, alla rimozione. La creazione dei vaccini ha ridotto il margine di manovra del virus, che tuttavia ha già risposto con una contromossa, le «famigerate varianti». Stiamo dunque assistendo a una battaglia non dissimile dalla partita a scacchi che nel Settimo sigillo vede il Cavaliere (la scienza, ma senza il conforto della religione) sfidare la Morte. Chi vincerà? Probabilmente si giungerà al pareggio, il che significa che dovremo convivere con il virus in una guerra «a bassa intensità». Ma al di là delle sofferenze inflitte al genere umano dal Sars-CoV-2, Quammen ci ricorda che i virus, come il fuoco, sono un fenomeno non necessariamente negativo, e che può anche portare vantaggi. Non diversamente dai batteri, fanno parte di noi: sono «gli angeli neri dell'evoluzione», meravigliosi e terribili, e questo li rende meritevoli di essere compresi, più che temuti e aborriti.
Epistolario inedito di Antonia Pozzi. Gli affetti, le amicizie, la poesia, l'amore per la montagna.
Un’opera monumentale, dedicata a un monumento della cultura americana, e da molto prima che il Nobel ponesse il suo sigillo sull’arte di Bob Dylan. E un’opera senza paragoni, che parla della Bibbia così come è stata letta, e selezionata, da Dylan. Un lavoro di dieci anni, condotto con passione e competenza, che l’autore presenta così: Spero che il libro possa contribuire non solo alla conoscenza e alla valorizzazione delle canzoni di Dylan, ma anche alla conoscenza della Bibbia, e che sia utile sia a chi, come Dylan e come me, la considera un libro ispirato nel senso letterale del termine, sia a chi si limita a ritenerla il «grande codice» della civiltà occidentale”.
«Oh Consuelo tornerò presto a disegnare dappertutto dei piccoli principi… Dov’è la mia Consuelo?». Antoine a Consuelo «Ti amo e amo il mondo dei nostri sogni, amo il mondo del piccolo principe, ci vado a passeggio». Consuelo ad Antoine
Buenos Aires, settembre 1930. Il conte Antoine de Saint-Exupéry ha già pubblicato i primi romanzi, ma la sua vita è dedicata al volo: esperto aviatore, dirige a Buenos Aires la linea aeropostale Argentina-Francia, inaugurando nuove rotte in tutta l’America Latina. È in questo ruolo che conosce la giovane Consuelo Suncín Sandoval. Scrittrice, giornalista, scultrice e pittrice, Consuelo è uno spirito libero, al limite dello scandalo: a poco meno di trent’anni ha già un divorzio e due matrimoni alle spalle. Molti la descrivono come un vulcano, dalla cui forza vitale Antoine de Saint-Exupéry rimane affascinato. Tra i due, immediatamente, esplode la passione. La loro relazione turbolenta, fatta di continue separazioni e commoventi ricongiungimenti, darà vita a una delle più belle corrispondenze d’amore del XX secolo. La vita della coppia sarà tutt’altro che semplice: il loro amore è continua-mente messo alla prova dalle lunghe fughe di «Tonio» e dal desiderio di libertà di Consuelo, ma a unirli è la comune capacità di immaginare storie e creare mondi popolati di stelle, piccoli animali e ogni genere di tesori. La promessa reciproca di un amore incondizionato permetterà loro di sopportare l’inquietudine e la lontananza, quando Saint-Exupéry deciderà di arruolarsi volontario nella seconda guerra mondiale. Tonio è consapevole dei rischi che corre e sa che potrebbe non tornare più, mentre Consuelo non smetterà mai di credere al ritorno del suo principe volante. Poco prima dell’incidente nel quale perderà la vita, lo scrittore aviatore aveva pubblicato a New York il libro destinato a diventare il suo più grande successo: una fiaba sognante e delicata nella quale un giovane principe compare magicamente davanti a un aviatore in panne, in mezzo al deserto del Sahara. L’immaginario è lo stesso che troviamo nel lessico amoroso di queste lettere inedite, che svelano in controluce la realtà dietro la fantasia, permettendoci di vedere Il Piccolo Principe come la più bella lettera d’amore di Tonio a Consuelo, del principe alla sua rosa.
Costruito in uno spazio temporale ristretto, i tre giorni del Natale del 1949, e in un luogo chiuso, la saraska di Marfino, una prigione alle porte di Mosca dove scienziati di ogni tipo sono detenuti per crimini politici, il romanzo "Nel primo cerchio" - che arriva finalmente al lettore nella sua versione integrale, a mezzo secolo di distanza dalla prima traduzione italiana - potrebbe apparire claustrofobico. Ma le vite e i ricordi dei prigionieri allargano l'orizzonte da quelle stanze a tutta la città e all'immenso paese, regalandoci uno degli affreschi più appassionanti della letteratura, un'indimenticabile composizione di caratteri, luci, colori. La vita di una nazione. Paragonato da Heinrich Böll a una cattedrale, il romanzo della cattedrale ha la struttura e, come dice Anna Zafesova, "possiede il respiro della navata - il panorama multidimensionale della Russia staliniana, dalle campagne desolate ai salotti della borghesia rossa, e dalle segrete del gulag ai teatri moscoviti - e la vertiginosa guglia dei capitoli su Stalin, ma anche la moltitudine di angoli reconditi, cappelle, affreschi, statue che emergono dall'oscurità...
Tiziano Terzani, sapendo di essere arrivato alla fine del suo percorso, parla al figlio Folco di cos'è stata la sua vita e di cos'è la vita: "Se hai capito qualcosa la vuoi lasciare lì in un pacchetto", dice. Così racconta di tutta una vita trascorsa a viaggiare per il mondo alla ricerca della verità. E cercando il senso delle tante cose che ha fatto e delle tante persone che è stato, delinea un affresco delle grandi passioni del proprio tempo. "Se mi chiedi alla fine cosa lascio, lascio un libro che forse potrà aiutare qualcuno a vedere il mondo in modo migliore, a godere di più della propria vita, a vederla in un contesto più grande, come quello che io sento così forte." Un testo che è il suo ultimo regalo: il nuovo libro di Tiziano Terzani. Letto da Edoardo Siravo, Marco Pagani, Carmen Piga e Lucy Matera.
Il romanzo presenta la figura del Capitano Generale veneziano Marcantonio Bragadin, l'eroico difensore di Famagosta durante la guerra di Cipro del 1571. Sulla trama degli eventi storici lavora l'immaginazione poetica dell'autore che porta in primo piano tutta la ricchezza di vita interiore del protagonista: i ricordi, gli affetti, la preoccupazione per la vita delle persone che dipendevano dalle sue decisioni, la speranza disillusa dell'arrivo dei rinforzi militari, la difesa della propria identità spirituale fino alla tranquilla consapevolezza che lo porterà a dire, giunto al terribile epilogo: 'Non sono stato abbandonato. Sono stato sacrificato'.
Il volume di Aldo Spranzi "L'altro Manzoni", pubblicato dall'Ares nel 2008, ha suscitato scalpore fra i critici e i lettori. La rivoluzionaria tesi di un Manzoni che avrebbe sotterrato nei Promessi sposi, sotto le apparenze di un cattolicissimo romanzo, una vicenda tutta diversa, è stata discussa dal Presidente e dal Direttore del Centro studi manzoniani di Milano, ed è stata condivisa dal prof. François Livi, italianista della Sorbona di Parigi. Il metodo adottato da Spranzi, di affidarsi esclusivamente all'autorità del testo del romanzo, senza illazioni biografiche e stratificazioni critiche, trova ora esauriente applicazione in questa edizione commentata del capolavoro manzoniano. La tesi spranziana risulta dunque dalle note al testo, che accompagnano il lettore pagina dopo pagina, verso un epilogo che ribalta centocinquant'anni di critica letteraria. Ecco perché "dalla lettura integrale del testo", qui fedelmente riprodotto, "emerge un'inattesa interpretazione del romanzo".

