
Il commento alla Commedia qui proposto, destinato prevalentemente alle scuole medie superiori e alle università ma anche a tutti gli studiosi e cultori di Dante, è caratterizzato da una parafrasi integrale del poema che per la prima volta mira - verso dopo verso - a mantenere fino a un estremo limite possibile l'ordine originario dei periodi in modo tale che il numero delle righe della parafrasi corrisponda esattamente al numero dei versi per ogni canto. E vengono anche restituite soluzioni semanticamente equivalenti a innumerevoli parole del poema che hanno molto o del tutto trasformato - nel corso dei secoli - peculiari, originari significati imprescindibili dalla cultura e dalla forma mentis del Medio Evo. Un lavoro che ha richiesto pure una particolare cura linguistica e filologica nelle note in margine, condotte con sobria misura e con massima chiarezza, nell'intento di offrire al lettore notizie utili in modo sufficientemente completo. Con una introduzione allo studio della Commedia.
Una volta, si dice, Oscar Wilde rifiutò un medicinale per via del suo colore «marrone sporco»: per convincerlo a curarsi, il farmacista dovette sostituirlo con un flacone di bellissimo liquido «rosso-rosa» e pastiglie che «splendevano come l'oro». Un'altra volta, agli amici preoccupati per il suo pallore mattutino rivelò, esausto: «Il fatto è che ieri ho colto una primula in giardino, dopo stava così male che ho dovuto passare la notte sveglio al suo capezzale». Il più classico dei problemi per un biografo è trovarsi con poco materiale di partenza. Ma esiste un altro, speculare problema: averne fin troppo. Così è per Wilde, di cui già in vita si moltiplicavano aneddoti, battute, aforismi, fanfaronate, miti e leggende: riverberavano dalle colonne dei giornali al cicaleccio dei circoli letterari, si amplificavano di bocca in bocca in una gara a chi la sparava più grossa, gara che spesso era vinta da Oscar stesso, suo primo mitologo e ufficio stampa, creatore del personaggio che si trovava a impersonare ogni giorno, fino a restarne forse imprigionato. Un paradosso? Certo, ma per chi aveva eletto il paradosso a stile e l'ironia ad arma non restava che vivere una vita all'altezza: genio della commedia, si ostinava a scrivere tragedie; dandy di natali aristocratici, si dichiarava a favore di un individualismo "socialista"; dissacratore di ogni autorità e norma morale, si appellò alla legge per proteggere la relazione con Lord Alfred Douglas, dando così inizio al processo che avrebbe decretato la sua rovina; mattatore dei più eleganti salotti, precursore del futuro culto della celebrità, morì solo e dimenticato - al funerale si presentò appena una manciata di persone. A lungo i biografi sono rimasti vittima di questo incantesimo: non riuscendo a districare in lui la vita dall'opera, anche perché in un'opera d'arte suprema aveva trasformato la vita stessa, hanno schiacciato l'una sull'altra, confondendo i piani e faticando a restituirci la verità dei fatti. Riportando alla luce nuovi documenti, tra lettere inedite e atti del processo, Matthew Sturgis penetra nella complessità romanzesca del tardo Ottocento attraverso una delle sue personalità più geniali e discusse.
"Le Mille e una notte" cominciano a Parigi, nel 1704 a partire da Monsieur Antoine Galland, l'orientalista che per primo le traduce e le tradisce, le trascrive e le riscrive. E da questo inizio parte uno dei più tortuosi e tormentati capitoli della storia dell'edizione, il cui punto cruciale diventa la caccia alle fonti arabe delle Notti. C'è un solo, corposo blocco delle Mille storie su cui la mano sublime e truffaldina di Galland non ha potuto sovrapporre la sua impronta. Un manoscritto arabo in tre volumi, effettivamente proveniente dalla Siria, di qualche secolo più antico, che si trova ora depositato presso la Bibliothèque Nationale di Parigi. L'unico modo di risalire a prima di Galland era lavorare su quel manoscritto, cercarne i riscontri nell'ambito della sua stessa famiglia e in quelle limitrofe, senza i veli dell'Occidente e del suo "orientalismo". A questa impresa si è dedicato Muhsin Mahdi e questa edizione ne riporta la traduzione. Il volume è accompagnato da un DVD in cui Vincenzo Cerami legge le storie sulle musiche di Aidan Zammit all'Auditorium Parco della musica di Roma. "Ogni immagine che compare nelle Mille e una notte - scrive lo stesso Cerami nell'introduzione ne chiama a raccolta tante altre, in un gioco di metafore, di specchi, di rimbalzi, di inganni, di allusioni. Il destino, che di quest'opera è protagonista assoluto, crea gli incroci più improbabili, incongrui, quasi sempre inattesi".
La raccolta di tutta la sua opera in forma di libro (nove titoli, dal libro cult Il più mancino dei tiri del 1995 fino al postumo severo testamento di L’economia giusta) compone uno straordinario ritratto, in diretta, tra politica, cultura e costume, dei nuovi italiani: i post italiani, in bilico tra una psicologia arcaica e comportamenti post-moderni. Berselli descrive un’Italia deideologizzata, demoralizzata, un Paese da talk show confusionario, in cui sentimentalismo e ferocia, le caratteristiche di sempre, vengono proiettati in una dimensione che non è vera e non è falsa, è iperreale. Senza moralismi, perché la fenomenologia è più interessante delle prediche. Un po’ come il Roland Barthes delle Mitologie. Dentro c’è “quel gran pezzo dell’Emilia”, la sua terra, fatta di comunisti, miliardari, motori, cucina grassa e rock star, la catastrofe politica della sinistra sinistrata, l’allegria dei capelli lunghi, delle minigonne e delle chitarre prima del ’68 e il gran cabaret di Venerati maestri, davvero un libro da ridere su una cultura da piangere. La nostra.
Maestro del racconto come misura ideale di investigazione e reinvenzione, John Cheever è stato il riconosciuto testimone di un'America suburbana soffice e torbida, e continua a essere l'implacabile voce-sonda che ha tratto dall'ombra la gestualità rituale e le emozioni malate di una media borghesia chiusa dentro il suo severo protettivo benessere. Piccole anime, piccoli accadimenti, piccole trame, e un grande disegno che li contiene. La "commedia umana" di John Cheever è contenuta in questi 61 racconti che costituiscono la dorsale più riconoscibile e più fascinosa della sua produzione. Appaiono in Italia per la prima volta in un solo volume, secondo le intenzioni dell'autore: solo così i racconti rivelano, in sequenza, una naturale continuità, una potente fluvialità. Fatto com'è di insistenze e ossessioni, il mondo di John Cheever si dispiega qui intero e avvolgente. Come dice Hanif Kureishi di questi racconti, "leggerli, e rileggerli, significa vivere meglio, e attribuire a Cheever l'ammirazione e il rispetto che merita". Con una introduzione di Andrea Bajani e una postfazione di Adelaide Cioni.
"C'è un universo all'orlo del collasso e pronto a liquefarsi [...]. Lo sguardo di Lispector coglie l'incongruenza delle cose che sono e la volgarità dei nessi che le tengono insieme. Uno sguardo che tenta di lacerare la pellicola opaca dei gesti degli uomini per carpirne il segreto più intimo: quel segreto che sappia dare senso al tutto insensato che ci circonda e che chiamiamo vivere." (Antonio Tabucchi). Questo volume, il cui titolo vuole sintetizzare il "mondo" di Clarice Lispector, contiene le seguenti opere: "Legami familiari", "La mela nel buio", "La passione secondo G.H.", "Un apprendistato o Il libro dei piaceri", "La passione del corpo", "L'ora della stella".
Se ancora è possibile che negli ultimi decenni del '900 ci siano state voci intimamente "classiche", tra quelle dei poeti che furono protagonisti del secondo dopoguerra, allora è indubbio che una di queste voci (e forse proprio la più tersa e indimenticabile) sia stata quella di Vittorio Sereni. E quindi nella certezza di questa possibile "classicità" sereniana che la presente edizione propone congiuntamente le prime due raccolte del poeta di Luino, come tappe fondamentali di un percorso che sarà lungo e fecondissimo, ma che proprio da questi testi prende spunto e avvio. Ma due raccolte sono anche due momenti diversi nella storia personale di un poeta; e tra la pubblicazione del libro d'esordio, "Frontiera" (risalente al 1941), e la stampa della raccolta successiva, il "Diario d'Algeria" (1947), trascorsero anni che furono decisivi nella maturazione letteraria di Sereni. Lo scarto temporale tra le due opere fu anzitutto imposto dalla storia: l'entrata in guerra dell'Italia, annunciata il 10 giugno 1940, condusse il poeta lungo le strade di una discesa non solo geografica (dapprima in Grecia, quindi in Africa) ma anche esistenziale, che si concluse solo con la lunga inerzia della prigionia trascorsa in Algeria e in Marocco, vera e propria esperienza limbico-infernale. Se pertanto all'origine del primo libro sembrano esserci elementi sostanzialmente intimi o privati, nel secondo domina invece la dimensione collettiva.
In occasione del centenario della nascita di Alberto Moravia, questo cofanetto propone il testo del suo capolavoro giovanile, aggiornato e corretto secondo la versione originale e accompagnato da un apparato critico con le recensioni inedite firmate al momento della sua pubblicazione dai nomi più prestigiosi del tempo, e l'interpretazione da parte di Toni Servillo, con musiche di Fabio Vacchi, riprodotta nei 6 CD Audio.