
La fine della Seconda guerra mondiale è nell'aria, ma nella campagna piemontese il vecchio Benito Sereno spera che duri ancora quel tanto che gli serve per intascare una lauta ricompensa, consegnando al regime fascista tre "articoli" interessanti: Michele, un partigiano, suo fratello minore Dino, colpevole solo di avere fattezze giudaiche, e la ribelle Teresa, la madre che li protegge con le unghie e con i denti. Michele sarà deportato a Chemnitz e Dino a Kònigsbrùck. Nel suo viaggio il ragazzo verrà accompagnato da uno strano personaggio, un nano "di eccezionale altezza" che gli farà da guida. All'Offizierskasino del lager vivrà una prigionia "dorata" che rafforzerà in lui l'attitudine a distogliere lo sguardo dall'orrore che lo circonda. Nella palazzina del Circolo stringerà amicizie, imparerà a cucinare e intreccerà una delicata storia d'amore con una Helferin tedesca. Ma la guerra incombe: arrivano i bombardamenti, l'avanzata sovietica e quella degli americani, il crollo della Germania nazista. Dino ritrova Michele, segnato dalla prigionia, e vagando per la Germania distrutta è finalmente obbligato a vedere tutto quello che gli era stato risparmiato: le fosse dei cadaveri a cielo aperto, le vittime delle deportazioni, la disumanità, la distruzione.
«La verità che ricordavo è che il diavolo, visto da vicino, non sembra poi così brutto. Si confonde tra persone che ti somigliano, si nasconde nei piccoli gesti di ogni giorno. Alzarsi, lavorare. Mangiare, bere, lavarsi, dormire, volersi bene. Cose così. E ti lascia credere che anche quella sia una vita possibile.»
Tutto inizia con una pietra d'inciampo vicino casa. Alessandro Milan la scorge in un giorno di ottobre, quasi per caso. Riporta il nome di Angelo Aglieri, impiegato del «Corriere della Sera», arrestato nel maggio 1944 con l'accusa di aver introdotto in redazione una bomba a mano, poi condotto al carcere di San Vittore e da qui deportato al campo di Fossoli. Determinato a ricostruirne la storia, Milan inizia la sua ricerca. A quella vicenda però se ne intrecciano presto molte altre: la storia di chi allora era soltanto un ragazzino, come Sergio Temolo, e perse il padre per mano fascista il 10 agosto 1944 nell'eccidio di piazzale Loreto, o di chi mise a disposizione il proprio coraggio, come Carmela Fiorili, portinaia del palazzo in viale Monza 23 - noto come il «Casermone» -, staffetta partigiana insieme alla figlia, Francesca, e per mesi punto di riferimento sicuro per la resistenza meneghina. Il risultato è un grande affresco di uomini e donne che, pur non conoscendosi, si trovano legati da un filo invisibile, protagonisti e testimoni della Storia. Le loro vite si sfiorarono tra le strade dello stesso quartiere, della stessa città, Milano, sempre più devastata dai bombardamenti e dalle macerie. Quello di Milan è il racconto di una pagina della resistenza milanese, ma anche un racconto universale che, con accuratezza storica e un brillante passo narrativo, restituisce un pezzo di storia del nostro Paese. Un racconto che parte da Milano e si dipana nel resto d'Italia, dal campo di prigionia di Fossoli a Riva del Garda fino alle campagne vicentine di Arzignano. Un racconto che parla di noi, del nostro passato e del nostro presente.
Una storia piena di speranza, di amore, di attaccamento alla vita. Un inno alla resilienza.
Tutto comincia alle sei di mattina, in radio, dove due giornalisti assonnati si danno il turno. Lui sta cercando di svegliarsi con un caffè, lei sta correndo a casa dopo aver lavorato tutta la notte. E succede che nella fretta i due scambiano per errore i loro cellulari. Si rivedono qualche ora più tardi e da un dialogo quasi surreale nasce un invito al cinema, poi a una mostra, un aperitivo, una gita in montagna.
Francesca è bassina, impertinente, ha i capelli biondi arruffati e due occhioni blu che illuminano il mondo. È una forza della natura, sempre in movimento, sempre allegra: per questo la chiamano Wondy, da Wonder Woman. Alessandro è scherzoso e un po’ goffo, si lascia travolgere da Francesca e dall’amore che presto li lega. Con lei, giorno dopo giorno impara a vivere pienamente ogni emozione, a non arretrare di fronte alle difficoltà. E così, insieme, con una forza di volontà che somiglia a un superpotere, si troveranno a combattere la più terribile delle battaglie, quella che non si può vincere. Ma anche dopo la morte sono tante le cose che restano: due figli, un gatto, un bonsai, tanti amici e, soprattutto, una straordinaria capacità di assorbire gli urti senza rompersi mai. Anzi, guardando sempre avanti, col sorriso sulle labbra.
Non è una favola, quella di Alessandro e di Wondy. È però una storia piena di speranza, di amore, di attaccamento alla vita; un inno alla resilienza, quella da esercitare quotidianamente. Perché le storie più belle non hanno il lieto fine: semplicemente non finiscono.
Romanzo nato insieme al progetto cinematografico di "Va, vis et deviens", del regista rumeno Radu Mihaileanu e presentato al 55° Festival internazionale di Berlino, racconta la storia dei falasha - gli ebrei neri - e dell'epico viaggio verso Gerusalemme. La storia di un bambino cristiano che, fatto passare per figlio di una madre falasha, arriva nella città santa e deve cominciare a vivere, a diventar grande sapendo che non è ebreo, che non è un orfano, che non è ancora nulla. Ma che vuole diventare un uomo.
“Un giorno incontriamo la persona giusta. Restiamo indifferenti, perché non l’abbiamo riconosciuta.”
Natalia Ginzburg
“Dal vaporetto pieno di gente bagnata di pioggia che tornava dal lavoro, osservavo, impastati nella nebbia, i palazzi e le luci di Venezia.”
Una chiocciola percorre in media 5-6 centimetri all’ora. Per fare il giro completo di Venezia impiegherebbe circa dieci anni.
È l’inverno del 1999.
Un vaporetto attraversa la laguna di Venezia. Camilla, diciottenne appena arrivata dal paese per studiare letteratura russa, nota tra la folla un ragazzo. Anche lui porta con sé una valigia, anche lui è appena arrivato. I due iniziano a guardarsi: lei è timida e finge di leggere un libro, Silvestro invece è sfacciato e nasconde la sua inesperienza dietro un’ingenua spavalderia. E quando il vaporetto attracca, decide di seguire Camilla per le calli nebbiose di un’isola della laguna. Così comincia un’avventura lunga dieci anni, che porterà i due ragazzi dalla Venezia quotidiana degli studenti fino alla straniante frenesia di Mosca, con i suoi teatri e le enormi strade trafficate. Camilla e Silvestro vivranno altre storie d’amore, si scriveranno, saranno coinquilini nella stessa casetta, ospiti a un matrimonio nella campagna russa e poi ancora passanti distratti nell’affollato mercato di Rialto. Saranno di volta in volta nemici, amici, conoscenti, innamorati, vicini o distanti.
Dieci inverni è una storia d’amore, o meglio il prologo di una storia d’amore, raccontata a due voci: ogni inverno è una finestra aperta a curiosare nella vita di due persone che non si perdono mai del tutto e intanto crescono, segnate dal difficile e splendido ingresso nell’età adulta.
A oltre 50 anni dalla morte di Jack Kerouac, il senso della sua opera - tormentata e magmatica - rimane ancora in parte inesplorato. Luca Miele setaccia la poetica dell'autore di On The Road, rintracciando le apparizioni che essa ospita, le estasi che la accendono, la solitudine che la tormenta, le cadute che la trafiggono, l'inquietudine religiosa, l'ansia, la lotta e l'affidamento a Dio.
Ad Auschwitz ogni giorno è una lotta per la sopravvivenza. Alma è la detenuta 50381, il numero tatuato sulla sua pelle. È rinchiusa con migliaia di altre donne, strappata ai suoi cari, intrappolata in un labirinto di filo spinato. Questa tragica realtà non potrebbe essere più lontana dalla sua vita precedente. Stimata violinista, si esibiva lasciando il pubblico incantato. Ma l'orrore dell'Olocausto ha stretto l'Europa in una morsa e niente ha potuto salvarla. Quando la responsabile del campo femminile nomina Alma direttrice dell'orchestra, lei è tentata di rifiutare. Non ha intenzione di compiacere i suoi aguzzini, ma ben presto si rende conto del potere che quella posizione potrebbe offrirle: riuscirebbe a fornire alle ragazze affamate razioni extra di cibo e potrebbe strapparne molte dalle grinfie della morte. E così Alma si lancia nell'impresa. Ad aiutarla c'è Miklos, un pianista di talento. Circondati dalla disperazione, Alma e Miklos trovano un'inaspettata felicità nelle prove congiunte, nelle note segrete e nei concerti. Ma ad Auschwitz l'aria stessa è pregna di dolore, e la tragedia è l'unica certezza... In un luogo così disperato, può sopravvivere il loro amore?
Scritto in esilio tra il 1832 e il 1834, quando fu pubblicato a Parigi, "Messer Taddeo" racconta la storia d'amore tra Taddeo Soplica e Sofia, sullo sfondo della rivolta della città lituana di Soplicowo contro la dominazione russa, nell'arco di sole sei giornate tra il 1811 e il 1812. Intrecciando le vicende familiari dei protagonisti con le rivendicazioni di un'ideale patria polacca, in un microcosmo sociale di straordinaria pregnanza, Mickiewicz dà vita a uno dei maggiori poemi epici della modernità, tradotto da Silvano De Fanti in versi fluidi e incisivi che ne rispettano ritmo e forza espressiva.
"Vite minuscole" esce in Francia nel 1984. È il primo libro di uno scrittore ignoto al milieu letterario, ma è subito chiaro che si tratta di un esordio folgorante. E audace: recuperando una tradizione che risale a Plutarco, a Svetonio, all'agiografia, Michon ci racconta le vite di dieci personaggi non già illustri o esemplari, ma, appunto, minuscoli: e dunque votati all'oblio se non intervenisse a riscattarli una lingua sontuosa, di inusitata e abbagliante bellezza, capace di "trasformare la carne morta in testo e la sconfitta in oro". Vite come quella dell'antenato Alain Dufourneau, l'orfano che vuole "fare il salto nel colore e nella violenza", in Africa, convinto che solo laggiù un contadino diventa un Bianco e, fosse anche "l'ultimo dei figli malnati, deformi e ripudiati della lingua madre", può sentirsi più vicino alla sua sottana di un Nero; o come quella, lacerante, di Eugène e Clara, i nonni paterni, inchiodati nel ruolo di "tramite di un dio assentato" - il padre, il "comandante guercio", che ha preso il largo e da allora scandisce la vita del figlio come la stampella di Long John Silver, nell'Isola del tesoro, "percorre il ponte di una goletta piena di sotterfugi"; o come quella dei fratelli Roland e Rémi Bakroot, i compagni di collegio, torvamente sprofondati nel passato remoto dei libri il primo, nell'invincibile presente il secondo, e uniti da una rabbia ostinata non meno che da un folle amore.
Lunghe traversate da un capo all'altro della Norvegia, su isole popolate solo di nidiate di uccelli, in mezzo a paesaggi rocciosi e selvaggi, per giorni o settimane, senza compagni e senza mappe, nel silenzio più assoluto. Sembra un'immersione nel vuoto, invece è un'esperienza totalizzante: non sono gli altri a segnare la via, siamo noi a sceglierla a ogni passo. L'attenzione si acuisce, la presenza si fa costante: solo così il cammino è vero incontro con un ambiente partecipe. Le acque che scorrono tracciano il percorso, il vento e la pioggia dettano il passo, gli animali si allertano e seguono l'andare umano. Franco Michieli, geografo ed esploratore, da quasi quarant'anni alterna avventure in solitaria, in coppia e in gruppo, su strade battute e in luoghi disabitati, affidandosi alle indicazioni della natura, certo che il varco si rivelerà da sé. In questo libro ripercorre alcuni dei suoi viaggi - dal whiteout del deserto lavico islandese alle ascensioni andine tra insediamenti di antica spiritualità - rimettendo in discussione l'idea di compagnia: siamo più soli nella folla cittadina, dove la miriade di stimoli si spegne in un bombardamento fragoroso, che nell'isolamento dei boschi, in cui il silenzio, per chi sa ascoltare, si fa denso di voci. Qui, lontano dai condizionamenti tecnologici, riemerge la nostra connessione primordiale e istintiva con la natura e con i nostri simili: come può esserci solitudine fra tanta animata bellezza?
Dopo l'improvvisa scomparsa dei genitori, Ginny, una ventiseienne riservatissima e patologicamente timida, abituata a vivere in un suo mondo protetto fra le pareti domestiche, cerca consolazione nella cucina di casa e fra le ricette di famiglia. Da sempre cucinare è per lei una scappatoia quando non riesce a reggere l'angoscia, ma questa volta il profumo corposo e piccante della zuppa della nonna fa apparire in cucina un ospite inatteso: il fantasma della nonna stessa, morta vent'anni prima, che le sussurra una frase sibillina: "Non permetterglielo!" prima di scomparire. Un ammonimento che la mette in allarme... Che cosa non deve permettere? E a chi? Forse alla sorella Amanda che, abituata a organizzare tutto, ha deciso di vendere la casa in cui hanno vissuto i genitori e la sorella fino a quel momento? Ginny non avrebbe mai pensato di doversi trasferire, ma ormai rassegnata all'idea, incomincia a radunare le cose a cui tiene di più e in questa sua ricerca scopre dei segreti sepolti negli angoli più remoti: una lettera della madre nascosta nel camino della camera da letto, fotografie del padre con una donna di cui lei ignora l'identità. Via via più desiderosa di conoscere la verità, pensa di trovarla nelle parole dei suoi cari richiamandone i fantasmi attraverso le ricette da loro ereditate...

