
Due amici su un'auto rossa attraversano l'Italia: musica da cantare, il vento tra i capelli, la mano fuori dal finestrino a giocare con l'aria. Hanno una quarantina d'anni e una vita incagliata. Andrea aspetta un verdetto da cui dipende la sua vita sentimentale. Paolo è in crisi: di coppia, di identità, di mezza età. O forse è solamente bisogno di leggerezza. L'auto su cui viaggiano è una vecchia Fiat 850 spider. Il padre di Paolo l'aveva dovuta vendere per far spazio alla famiglia, e ancora la rimpiange. Così Paolo ha deciso di recuperarla e fargli una sorpresa. Mentre risalgono dalla Puglia a Milano, Paolo e Andrea parlano tra loro con la spietatezza che ci si può concedere solo fra amici: l'amore, il lavoro, i genitori... E quelli che sembravano problemi insolubili si sgonfiano alla luce di una leggera ironia. Sarà un viaggio pieno di divertentissimi imprevisti e di scoperte, delle bellezze che a volte non si vedono mentre siamo concentrati a fare quello che gli altri si aspettano da noi. Un viaggio che condurrà Paolo dal dovere al volere, dal pensare al sentire, dal pudore alla tenerezza.
«Quando desideri tanto qualcosa, fai come il colibrì: non aver paura di cadere. Anzi, impara a farlo a tutta velocità, per poi risalire.» Questa volta, però, a Teo sembra impossibile risalire: è stato bocciato in seconda liceo, ma soprattutto ha fatto qualcosa di davvero sbagliato, e ora dovrà scontare un'estate di lavori socialmente utili. Sa che è una punizione giusta, eppure c'è qualcosa dentro di lui che non riesce a tenere a bada. Teo la chiama la Cosa proprio perché non è in grado di darle un nome: sa solo che è un nemico troppo forte e di cui non ha il coraggio di parlare a nessuno. Di certo non ai suoi genitori, distanti anni luce, ma nemmeno a Peach, la sua migliore amica, l'unica che sa leggere i suoi silenzi e aggiustare con la musica i suoi giorni storti. Tutto cambia quando su una panchina incontra un signore anziano che dice di essere un ex professore di nome Francesco Bove. Giorno dopo giorno, il professore lo porta nei posti più disparati e gli parla di miti greci e filosofi con parole che Teo non ha mai sentito: parole che lo spronano a non arrendersi, a porsi le domande giuste, perché capisca che non è solo, che tutti siamo in cerca di una ragione di vita, di un dono che ci renda speciali. Solo che, per capire cosa sia, l'unico modo è non smettere mai di tentare, fallire e riprovare, coltivare l'arte dell'imperfezione per tirare fuori il capolavoro che vive dentro di noi. Anche a costo di scoprire verità che ci fanno paura, come la fine di una misteriosa ragazza di cui nessuno sa più nulla e la cui storia sembra voler dire qualcosa a Teo. L'autore è tornato con uno dei suoi personaggi più amati di sempre: il professor Bove di "Eppure cadiamo felici". Un romanzo sulle paure che ci impediscono di essere felici: paure che non vanno allontanate, ma ascoltate. Perché a volte bisogna attraversare il buio per scoprire la meraviglia di uno spiraglio di luce.
"Uno sguardo cristallino, morale fino all'ingenuità, sulle cose del mondo, della società, della politica, uno sguardo che sembra calibrato sui ghiacci, sulle rocce, sugli orizzonti della natura più che sugli ambigui paesaggi umani." Questo sguardo limpido, così ben descritto da Michele Serra, è la prospettiva dalla quale Rossana Podestà racconta un uomo libero: oltre l'alpinista, l'esploratore, il reporter, il fotografo e lo scrittore. Il volume prende le mosse dai sogni di un ragazzo che segue il volo delle aquile nei cieli bergamaschi e gioca sul Po immaginando oceani e deserti, dando fuoco alla fantasia attraverso la lettura dei grandi scrittori d'avventura, da London a Defoe, Melville, Conan Doyle e Hemingway. Le pagine ripercorrono, attraverso testi e immagini, le imprese alpinistiche e i viaggi nei cinque continenti, e danno voce a pensieri ed emozioni. Gli oggetti fotografati portano l'impronta di un uomo straordinario che si è misurato con pareti inviolate, è sopravvissuto a grandi tragedie, ha scoperto terre estreme e inospitali, si è avvicinato, con rispetto e curiosità, ad animali feroci e a popoli primitivi. Un libro "a due voci", la testimonianza di un confronto costante e onesto con se stesso e con le forze della natura, ricco di ricordi personali, testi mai pubblicati dai suoi taccuini di viaggio, scritti di amici.
Andreas Egger non ha mai gridato né esultato da bambino. Fino al suo primo anno di scuola non ha mai neppure davvero parlato. Quando nell'estate del 1902, ancora bimbo, lo tirano giù dal carro con cui giunge tra le montagne diventate poi sue, resta semplicemente muto a guardare in alto con grandi occhi stupiti le cime splendenti di bianco. Ha quattro anni all'epoca, e non interessa a nessuno. Men che meno a Hubert Kranzstocker, il contadino che lo accoglie controvoglia. Il bimbo è l'unico figlio di una cognata che ha condotto una vita leggera ed è stata perciò punita dal buon Dio con una tisi che se l'è portata via. Kranzstocker non lo manda al diavolo unicamente perché reca al collo un sacchetto di cuoio con delle banconote. In compenso non esita a picchiarlo per un pane lasciato ammuffire, una vacca persa o un balbettio durante la preghiera della sera. Andreas Egger non grida né esulta nemmeno quando, trent'anni dopo, fa la sua comparsa nella valle, tra le urla di gioia del paese, la squadra del cantiere della ditta Bittermann & Figli: duecentosessanta operai, dodici macchinisti, quattro ingegneri, sette cuoche e un drappello di aiutanti, l'avanguardia di una colonna incaricata di costruire una funivia e mutare per sempre il volto della valle. Andreas Egger ubbidisce semplicemente in silenzio al suo destino: vivere tra la quiete e la bellezza dei monti e la crudeltà degli uomini...
I quattro vangeli sono veri e propri capolavori di tecnica narrativa. Luigi Santucci -- che sin dalla prefazione dichiara di aver scelto di accostarsi al «Messia quasi da testimone fisico» -- traduce con vigore poetico il testo evangelico, guardando ai personaggi da angolazioni diverse: ora con suggestivi squarci d'anima, ora con icastica pittura dei fatti, ora con espedienti di genere autobiografico, ora infine con originalissime interpretazioni. Una vita di Cristo viene qui riproposto con un'illuminante premessa di Gianfranco Ravasi sulla teologia narrativa.
Un'operazione antiterrorismo, nome in codice Wildlife, viene messa in atto nella più preziosa colonia britannica, Gibilterra. L'obiettivo è catturare e sequestrare un potente trafficante d'armi islamico. Gli ideatori sono un ambizioso ministro degli Esteri del Regno Unito e un contractor della Difesa che è anche suo amico. L'operazione è talmente segreta che neppure Toby Bell, il segretario personale del ministro, ne è al corrente. Sospettando un complotto dagli esiti disastrosi, Toby fa il possibile per bloccarlo, ma viene prontamente trasferito all'estero per un altro incarico. Tre anni dopo, convocato nel suo fatiscente castello in Cornovaglia da Sir Christopher Probyn, un diplomatico in pensione, e tenuto sotto l'occhio vigile di sua figlia Emily, Toby dovrà scegliere tra ciò che gli detta la sua coscienza e gli obblighi nei confronti delle istituzioni per le quali lavora. Se l'unica condizione necessaria perché il male trionfi è che le persone oneste non facciano nulla, come si può rimanere in silenzio?
Un biografo ha scritto che «una singola sillaba in Kafka può suscitare le emozioni del lettore fin nel profondo». Ecco, io sono uno di questi. Nel mio caso si tratta di una parola, benché a variare siano solo due sillabe. La parola è Strassenlampen (lampioni), e sta all’inizio della seconda parte della Metamorfosi. Tutto è cominciato quando mi sono accorto che nella più classica traduzione italiana invece dei lampioni c’era un tram. Come si fa a prendere un tram per dei lampioni? Ho guardato in giro: in una quantità di traduzioni nelle più diverse lingue sbucava il fantomatico tram. Che in tedesco si chiama Strassenbahn. Se un commesso viaggiatore può svegliarsi trasformato in uno scarafaggio, direte, anche un lampione può trasformarsi in un tram. L’apparente strafalcione, tram per lampioni, era già nella prima traduzione della Metamorfosi, uscita anonima nel 1925, un anno dopo la morte di K. Risalendone la peripezia ci si imbatte nell’appropriazione indebita di quella traduzione da parte di un gran signore delle lettere universali come Jorge Luis Borges. La traduttrice vera era Margarita Nelken, una donna spagnola dalla vita brillante, tumultuosa e triste.
Non era questo però a motivare il fervore che mi aveva preso. Il fatto è che a un certo punto mi è sembrato che il tram al posto dei lampioni fosse più bello, e che illuminasse la conclusione stessa del racconto. E non fosse un errore – Strassenlampen e Strassenbahn possono confondersi – ma una variante introdotta dallo stesso Kafka. Proporre una correzione addirittura della Metamorfosi è quasi come sfidare la lettera delle sacre scritture per le quali si fanno guerre micidiali. La filologia laica risparmia lo spargimento di sangue, tutt’al più qualche spargimento di cattedre. Ma è stato bello immaginarsi alleato di Kafka contro l’ordine tipografico costituito. Lettrici e lettori scusino le pagine pedanti: si possono saltare e riprendere dove la trama – il tram – torna sui suoi binari. A. S.
La prima raccolta dei tre testi in prosa del poeta Mahmud Darwish. Dice Elias Sanbar: "Darwish non era ambasciatore del suo paese ma un poeta slegato dalla nazionalità e dal passaporto. Certamente la Palestina era il suo humus, la terra dove affondava le radici: la sua flora e la sua fauna, la sua musica e le sue nuvole, ma tutto questo non doveva essere il suo limite. Se parla di terra, quella terra è proprio la sua terra. Non si è mai impantanato nelle chiavi di lettura che davano della sua opera". "Diario di ordinaria tristezza" (1973) ripercorre il tempo che precede la scelta dell'esilio, gli arresti domiciliari, gli interrogatori degli ufficiali israeliani, il carcere, e chiude la fase più drasticamente militante del poeta. "Memoria per l'oblio" (1987) evoca l'invasione israeliana di Beirut nell'agosto del 1982. "In presenza d'assenza" (2006) è una riflessione sull'esperienza poetica e sulla lingua. Una sorta di testamento, che coincide con l'addio dello struggente poema "Il giocatore d'azzardo" (2009), che chiude questo volume.
La prima raccolta dei tre testi in prosa del poeta Mahmud Darwish. Dice Elias Sanbar: "Darwish non era ambasciatore del suo paese ma un poeta slegato dalla nazionalità e dal passaporto. Certamente la Palestina era il suo humus, la terra dove affondava le radici: la sua flora e la sua fauna, la sua musica e le sue nuvole, ma tutto questo non doveva essere il suo limite. Se parla di terra, quella terra è proprio la sua terra. Non si è mai impantanato nelle chiavi di lettura che davano della sua opera". "Diario di ordinaria tristezza" (1973) ripercorre il tempo che precede la scelta dell'esilio, gli arresti domiciliari, gli interrogatori degli ufficiali israeliani, il carcere, e chiude la fase più drasticamente militante del poeta. "Memoria per l'oblio" (1987) evoca l'invasione israeliana di Beirut nell'agosto del 1982. "In presenza d'assenza" (2006) è una riflessione sull'esperienza poetica e sulla lingua. Una sorta di testamento, che coincide con l'addio dello struggente poema "Il giocatore d'azzardo" (2009), che chiude questo volume.
Adam Kindred, trentenne climatologo americano sbarcato a Londra per un colloquio di lavoro, dopo aver vagato lungo il Tamigi dalle parti di Chelsea Bridge, decide di varcare la soglia di un ristorante italiano, senza avere alcuna idea del fatto che nel giro di un paio d'ore la sua vita cambierà completamente. A metà cena gli si avvicina un altro avventore solitario. Inglese perfetto con accento americano, il tizio si presenta come il dottor Philip Wang, immunologo. Scambia qualche parola con un certo brio, poi saluta e se ne va. Poco dopo Adam si accorge che Wang ha dimenticato una cartellina di plastica trasparente su una sedia. Fortunatamente c'è il biglietto da visita del dottore, con un indirizzo londinese. Adam decide di riportargli la cartellina, ma quando entra nel suo appartamento trova Wang che giace sul suo letto, in una pozza di sangue.
Una mattina come tante a Coldwater, sul lago Michigan. La stagione turistica è finita e la città si prepara alla tranquillità sonnolenta dell'autunno: pochi negozi aperti, parcheggi vuoti e la tavola calda di Frida di nuovo semideserta. Accade così, all'improvviso: i telefoni cominciano a squillare. Il primo è quello di Tess, che riceve una chiamata dalla madre. Poi quello di Jack Sellers, che ne riceve una dal figlio, e di Katherine Yellin, dalla sorella. Per ultimo tocca a Elias Rowe, con una telefonata che arriva da Nick, un suo ex dipendente. Tutti dicono di essere in paradiso. Impossibile contenere una simile notizia nei confini della città: il mondo deve sapere che la morte non è la fine di tutto. Coldwater è invasa dai media, ma anche da migliaia di fedeli richiamati dal miracolo più straordinario mai accaduto. Solo Sully Harding, tornato in città dopo la prigione e la perdita della moglie, sospetta che si tratti di una grande truffa. Mentre tutti sono in balia della "febbre da miracolo" - anche il suo bambino tiene sempre con sé un telefono giocattolo sperando che la mamma lo chiami - Sully va a caccia della verità. Ma quel che scopre è molto lontano da ciò che si aspettava.
Quello di Leila Guerriero non è un racconto di fantasia ma una storia vera. Non è una storia estrema, né di eroismo, né di deriva, né di coraggio. E la storia semplice di un uomo comune che insegue un sogno e per realizzarlo è capace di ipotecare anni di vita e di risparmi. La cosa curiosa è che il sogno di quest'uomo è tutt'altro che straordinario: vincere una gara di ballo, diventare campione di malambo, una danza folkloristica dei gaucho argentini, che dura pochi minuti ma richiede la preparazione fisica e psicologica di un centometrista. Tutto si svolge a Laborde, una cittadina come altre, perduta nell'immensità della pampa, e riguarda una comunità ristretta in cui il campione di malambo assume i connotati di un eroe olimpico. Leila Guerriero decide di capire fino in fondo i meccanismi di questo microcosmo e dei personaggi, a tratti inverosimili, che lo popolano, trascinando il lettore, a forza di suspense e coup de théâtre, in un reportage capace di emozionare come un romanzo.