
Tutto comincia con "Delitto e castigo", un romanzo che Paolo Nori legge da ragazzo: è una iniziazione e, al contempo, un'avventura. La scoperta è a suo modo violenta: quel romanzo, pubblicato centododici anni prima, a tremila chilometri di distanza, apre una ferita che non smette di sanguinare. "Sanguino ancora. Perché?" si chiede Paolo Nori, e la sua è una risposta altrettanto sanguinosa, anzi è un romanzo che racconta di un uomo che non ha mai smesso di trovarsi tanto spaesato quanto spietatamente esposto al suo tempo. Se da una parte Nori ricostruisce gli eventi capitali della vita di Fëdor M. Dostoevskij, dall'altra lascia emergere ciò che di sé, quasi fraternamente, Dostoevskij gli lascia raccontare. Perché di questa prossimità è fatta la convivenza con lo scrittore che più di ogni altro ci chiede di bruciare la distanza fra la nostra e la sua esperienza di esistere. Ingegnere senza vocazione, genio precoce della letteratura, nuovo Gogol', aspirante rivoluzionario, condannato a morte, confinato in Siberia, cittadino perplesso della "città più astratta e premeditata del globo terracqueo", giocatore incapace e disperato, marito innamorato, padre incredulo ("Abbiate dei figli! Non c'è al mondo felicità più grande", è lui che lo scrive), goffo, calvo, un po' gobbo, vecchio fin da quando è giovane, uomo malato, confuso, contraddittorio, disperato, ridicolo, così simile a noi. Quanto ci chiama, sembra chiedere Paolo Nori, quanto ci chiama a sentire la sua disarmante prossimità, il suo essere ferocemente solo, la sua smagliante unicità? Quanto ci chiama a riconoscere dove la sua ferita continua a sanguinare?
In fuga dalla polizia degli Stati Uniti, Jack Burn ha catapultato la famiglia a Città del Capo con la speranza di iniziare una nuova vita. Luogo di richiamo per turisti, molti dei quali americani, la città offre un riparo perfetto e permette un facile anonimato.
Ma oltre le apparenze si rivela piena di rischi per chi non ne conosce le regole.
Sul suo territorio non si è ancora rimarginata la separazione tra la zona dei bianchi ricchi e le aree circostanti, i sobborghi operai e i Cape Flats, il quartiere-ghetto nel quale era stata segregata la popolazione di colore ai tempi dell'apartheid.
Burn si ritrova suo malgrado coinvolto nel conflitto tra le due realtà. Per proteggere la moglie incinta e il figlio piccolo è costretto a ricorrere alla forza uccidendo due gangster e attirando su di sé l'attenzione di Barnard, poliziotto folle e corrotto che per anni ha sfruttato il suo potere sulla povera gente. Contro questo nuovo nemico l'unico alleato è l'ex galeotto Benny Mezzosangue, assassino in cerca di una disperata quanto impossibile redenzione.
In breve
"E tutto è di nuovo come prima. Allora si alza, mi tende la mano e dice: 'Torniamo a casa, Gretel'. E io lo seguo. Seguo Ulisse Bernardini, mio padre, sangue mio". Mancano pochi giorni alla fine della pena per rapina a mano armata e omicidio, quando Ulisse Bernardini riceve una lettera; è di sua figlia Gretel, una ragazza di vent’anni che non ha mai conosciuto e che ora gli chiede di poterlo andare a trovare in carcere...
Il libro
Mancano pochi giorni alla fine della pena per rapina a mano armata e omicidio, quando Ulisse Bernardini riceve una lettera; è di sua figlia Gretel, una ragazza di vent’anni che non ha mai conosciuto e che ora gli chiede di poterlo andare a trovare in carcere.
Ulisse è stato un bandito, un rapinatore di banche, affascinante, intelligente, amante della bella vita, ma adesso non vede alcun futuro davanti a sé.
Padre e figlia si incontrano. C’è dell’imbarazzo. C’è dell’emozione. Lei rompe il ghiaccio e invita il padre a un viaggio verso Sud. A bordo di una Panda, lungo le strade che tagliano l’Italia in verticale, i due imparano faticosamente a conoscersi finché Gretel mette Ulisse davanti a un dilemma atroce.
Romanzo on the road, romanzo di sentimenti, romanzo di valori che si ritrovano, Sangue mio è una storia che vuole colpire al cuore. E ci riesce.
Roma, agosto 2010. In un vecchio palazzo senza ascensore, Ilaria sale con fatica i sei piani che la separano dal suo appartamento. Vorrebbe solo chiudersi in casa, dimenticare il traffico e l'afa, ma ad attenderla in cima trova una sorpresa: un ragazzo con la pelle nera e le gambe lunghe, che le mostra un passaporto. «Mi chiamo Shimeta Ietmgeta Attilaprofeti» le dice, «e tu sei mia zia.» All'inizio Ilaria pensa che sia uno scherzo. Di Attila Profeti lei ne conosce solo uno: è il soprannome di suo padre Attilio, un uomo che di segreti ne ha avuti sempre tanti, e che ora è troppo vecchio per rivelarli. Shimeta dice di essere il nipote di Attilio e della donna con cui è stato durante l'occupazione italiana in Etiopia. E se fosse la verità? E cosi che Ilaria comincia a dubitare: quante cose, di suo padre, deve ancora scoprire? Le risposte che cerca sono nel passato di tutti noi: di un'Italia che rimuove i ricordi per non affrontarli, che sopravvive sempre senza turbarsi mai, un Paese alla deriva diventato, suo malgrado, il centro dell'Europa delle grandi migrazioni.
Pubblicato nel 1966, "A sangue freddo" suscitò una serie di polemiche di carattere letterario ed etico-sociale. L'autore venne accusato, tra l'altro, di voyerismo cinico, per aver voluto registrare "oggettivamente" un fatto di cronaca nera, anzi di violenza gratuita, avvenuta nel cuore del Middle West agricolo: lo sterminio brutale di una famiglia da parte di due psicopatici. Nel libro, la visione puntuale delle dinamiche della vicenda, ottenuta grazie all'assidua frequentazione dei due colpevoli, giustiziati dopo un processo durato sei anni, è filtrata e riscattata attraverso una sapiente rielaborazione stilistica.
Negato come rapinatore di banche perché incasina le fughe. Negato come pappone perché si affeziona alle prostitute. Negato come pusher o esattore di crediti perché non sa tenere i conti. Nel giro della mala, l'unica cosa che Olav è capace di fare è il liquidatore, il killer. Ma quando Daniel Hoffmann, il boss della droga di Oslo, gli ordina di uccidere sua moglie perché lo tradisce, persino lui capisce di essere finito in un mare di guai. Se poi, anziché uccidere la donna, Olav se ne innamora, è chiaro che il mare è destinato a diventare un oceano. Ormai braccato, gli resta una sola speranza: liquidare Hoffmann prima che Hoffmann liquidi lui, magari chiedendo aiuto al suo peggior nemico. Auguri.
«A Pasqualino, che aveva sei anni e ogni mattina portava giù l'immondizia, al pescatore monco, perché metteva a tacere il mare, a Santo Strato, perché proteggeva il palazzo e i malati»: a loro Márai dedica il suo «romanzo napoletano», ambientato nella città dove aveva vissuto dal '48 al '52, prima di partire per gli Stati Uniti. A formare il vasto coro, lacero e sgargiante, che commenta la vicenda intorno alla quale è costruito il libro, sono gli uomini, le donne e i bambini della città, con la loro miseria, il loro lerciume, le loro interminabili chiacchiere, la loro fatica di vivere, il loro orgoglio ancestrale di aristocratici, le loro liti che scoppiano furibonde, teatrali, ritualizzate, da una finestra all'altra, i loro lutti non meno teatrali e urlati, la loro religiosità pagana e superstiziosa, i loro santi arcigni e polverosi dentro le teche di vetro, la loro umanità piagata e ghignante. Un intero popolo che, fra tutte le possibilità, crede che «la più verosimile sia il miracolo» (anche quelli che si dichiarano comunisti, anzi soprattutto loro). Un giorno arrivano a Posillipo due stranieri, un uomo e una donna (inglesi? polacchi?): displaced persons, così li definiscono le autorità, profughi. Anche loro, almeno per un po', crederanno che lì possa avvenire il miracolo. Ma un giorno, durante una bufera, l'uomo precipita da un belvedere sfracellandosi sulla spiaggia. Suicidio? Omicidio? Ne sentiremo parlare in tre lunghi monologhi dai quali potremo intuire che cosa abbia significato, per quell'uomo, la condizione dell'esule.
Nel Messico del 1519, Montezuma, imperatore atzeco, è ansioso di scoprire il significato degli avvistamenti che sempre più frequenti turbano il suo popolo. Dalla costa giungono allarmanti resoconti di montagne fluttuanti brulicanti di strane creature, alte, pallide, maleodoranti e pelose. Sono gli spagnoli di Hernán Cortés, araldi di un futuro devastante e inarrestabile quanto il più letale dei virus. Pitoque, mercante girovago, accetta suo malgrado il mandato di spia. Deve indagare tra i nuovi arrivati, dai più ritenuti emissari di Quetzalcoatl, il divino Serpente Piumato del quale da tempo si attende il ritorno.
Dall'osservatorio sul tetto del Collegio Romano, notte dopo notte padre Athanasius Kircher scruta il cielo. A chi la sa leggere, la volta celeste svela segreti e capovolgimenti che sfuggono all'occhio profano. E quando vede delinearsi, dopo quarant'anni, una rara configurazione astrale, il gesuita non ha dubbi: eventi funesti stanno per abbattersi su Roma, in quell'anno che già porta in sé il segno del male, il 1666. L'era dello Scorpione è tornata. Di li a poco una serie di barbari omicidi sconvolge la città. Le vittime sono tutte gesuiti, tutti decapitati, e lasciati sconciamente con le gambe scoperte. Dietro i delitti sembra celarsi la mano di uno spietato e temibile sicario, lo Scorpione. Nessuno lo ha mai visto, nessuno sa chi sia. Nessuno tranne Giovanni Battista Sacchi, detto il FuIminacci, irascibile e squattrinato pittore, che senza saperlo lo ha ritratto sul luogo del primo omicidio. Da questo momento, la sua vita è in pericolo e, per salvarsi, dovrà gettarsi in una caccia senza respiro all'assassino e scoprire il movente degli omicidi. Aiutato dall'affascinante Beatrice, cartomante e indovina, da padre Kircher, che anni prima aveva assistito ai primi delitti dello Scorpione, dal vescovo de Simara, Fulminacci dovrà affrontare agguati e processi inquisitoriali, duelli e inseguimenti per le vie e i palazzi di una Roma barocca e inquietante. E il quadro che si delinea assume dimensioni sempre più vaste, fino a coinvolgere uomini in tonaca e teste coronate...
È alla sfarzosa incoronazione di Napoleone Bonaparte a Parigi che Juliette Colbert conosce Tancredi di Barolo: è un colpo di fulmine, e pochi anni dopo Juliette diventa Giulia di Barolo, sua moglie, e lo segue nella splendida e terribile Torino della Restaurazione. Nelle prigioni della città sabauda, intanto, è rinchiusa la fiera Angela Agnel, uxoricida: ha accoltellato il marito ubriaco che tentava di abusare della figlia. Donne diverse, vite agli antipodi che il destino si diverte a intrecciare, nel fermento della rivoluzione industriale, delle prime lotte per i diritti dei lavoratori, delle conquiste sociali di cui Giulia di Barolo diventa presto intrepida sostenitrice. C'è tanto da fare, innanzitutto nelle carceri, dove languono prigioniere senza più alcuna speranza di riscatto, ma anche tra i poveri della città che chiedono pane e giustizia. E Giulia trova il tempo per occuparsi anche delle tenute di famiglia nelle Langhe, dove si produce un vinello che, con i nuovi metodi importati dalla Francia, potrebbe diventare un nettare più nobile e corposo. L'aristocrazia torinese si interroga: perché tutta questa frenesia? Forse perché la povera marchesina di Barolo non riesce ad avere un figlio? Magari, se si concentrasse sulla famiglia, le cose cambierebbero? E Giulia è disposta a molto, pur di mettere al mondo il sospirato erede: medicamenti, terapie, persino sortilegi. Ma non è disposta a rinunciare alle sue idee, né al suo amore, né alle sue battaglie. Il sangue delle Langhe scorre in queste pagine avvincenti: nelle vene dei protagonisti, nel frutto dei vigneti, nei crimini che insanguinano i quartieri degradati del popolo e nelle rivoluzioni che si preparano tra i palazzi del potere. E un destino di sangue, traversie e trionfi attende due donne audaci decise a cambiare il loro tempo.
Marion, segretaria dell'Istituto di medicina legale di Parigi, è la scomoda testimone di quello che potrebbe essere un delitto politico. Per proteggerla, la polizia la nasconde a Mont-Saint-Michel, e lì, mentre aiuta il frate bibliotecario, Marion scopre il misterioso diario di un investigatore inglese, Jeremy Matheson, inviato in Egitto nel 1928. Jeremy deve fare luce su una serie di atroci delitti: alcuni ragazzini dei sobborghi più poveri del Cairo sono stati strangolati da una creatura dalla forza smisurata. Per la popolazione si tratta di uno spirito maligno. Ma Jeremy ha ben altri sospetti. Mentre sprofonda nella lettura, Marion comincia a chiedersi come ha fatto il diario a finire nella biblioteca di Mont-Saint-Michel. Forse un monaco è coinvolto in quel mistero? O forse e la stessa vicenda di Marion a essere legata a quell'antico enigma?