
“Donne. Soltanto donne.
Donne con cui deve essere stato difficile convivere.
Donne assenti, lontane.
Donne che non sono mai riuscite a vivere nel presente.
Incapaci di fermare l’attimo perché sempre protese verso l’altro sfuggente…
Donne che desiderano mondi lontani, mai reali.
Donne bambine, che detestano le loro madri e finiscono per assomigliarle.
Che non vogliono crescere e vivono di ricordi di amori inventati o mai vissuti.
Innamorate di fantasmi e ormai spettri anch’esse…
Adesso resto solo io, l’ultima semina, e questa pianta deve spuntare.
Fiorire. Dare un senso al passato.
Perché i fantasmi possano finalmente dormire in pace.”
“Partiri? E dove avemu a jiri?” domandai.
“A la Merica”, rispose seria Nanna.
La Merica?! Ma io la Merica non sapevo manco dove stava!
Rosalia è una bambina di 10 anni quando, all’inizio del Novecento, abbandona la sua amata isola di Stromboli per la “Merica”, la terra promessa. E nel “Paese Nuovo” continua la sua vita, tanto simile a quella di milioni di emigranti che sperano di lasciarsi alle spalle stenti e povertà. Questa è la sua storia. Ma è anche la saga di due continenti, l’Italia e l’America a cavallo di due secoli, e di una famiglia che viene seguita con meticoloso amore da una scrittrice che in America ha vissuto, lavorato e condiviso con la propria famiglia, quella vera – la famiglia Barzini –, un tempo che in quel Paese sembra scorrere più in fretta. È la storia di una ricetta, la parmigiana di melanzane, che unisce o divide come un sottile filo rosso le protagoniste. È un intreccio di affetti, di separazioni, di rimpianti e di rimorsi, di gioie e di dolori, di risa e di pianti, di quattro generazioni che si incontrano, si scontrano, si rincorrono.
Sono molti gli scrittori e i libri che hanno descritto quel mondo. Sono molte le sollecitazioni che nel Novecento e non solo hanno portato l’America a conoscenza del pubblico europeo, snodo mai risolto fra Vecchio e Nuovo Continente, basterebbe ricordare con una vena di ironia America di Kafka. Eppure Stefania Barzini riesce a cogliere in questa sequenza un suono dolce e drammatico. L’ingrediente perduto parrebbe un racconto fra donne, di donne ma è molto di più. Perché Rosalia, Connie, Sandy, Sarah incarnano la storia del nostro passato, delle nostre origini, della nostra emigrazione, delle miserie, delle speranze, delle delusioni e dei successi, e anche delle loro ricette che le hanno aiutate, nel bene e nel male, a sopravvivere.
Florindo Flores ha abbandonato per qualche giorno il suo amato orticello e il suo giardino sassarese, e si trova a Torino per questioni personali. Non immagina certo che sarà costretto, suo malgrado, a riprendere le tradizionali attività investigative. Tutto comincia con la scomparsa di un paio di occhiali, che si ritiene fossero appartenuti a Cavour. Il Bensi, proprietario di un ristorante, che ne ha denunciato la sparizione, non lo convince affatto, sembra una caricatura del Conte, con quel panciotto e i modi cerimoniosi e sfuggenti... Pare una faccenda trascurabile e Flores non vede l'ora di liquidarla per rifugiarsi nel calore dell'atmosfera famigliare, tra gli aromi della saporita cucina della moglie, ma sono invece le nebbie del Po a catturarlo: dalle acque torbide emergono indizi che potrebbero rivelare vicende sinistre: il vestito e la parrucca di una certa Loredana, ben conosciuta da Bensi. Tra i dipendenti del Ricetto del Conte, il locale che esibiva in una vetrinetta gli occhiali e altri cimeli del grande piemontese, manca all'appello Evaristo da Rio, un cameriere che serviva i clienti a passo di samba. Svaniti gli occhiali di Cavour, sparito l'ambiguo brasiliano, scompare anche il signor Bensi: dal suo armadio mancano solo la vestaglia, le pantofole e... una bombetta. Bisogna dipanare la matassa e forse il bandolo potrebbe essere nelle mani della signora Bensi...
È estate, Marina è in montagna con il figlio piccolo, sola di fronte alla propria incapacità di essere la brava madre che dovrebbe, che vorrebbe, essere - una sensazione che si affanna a nascondere alla famiglia e persino a se stessa. Il suo padrone di casa, Manfred, è un montanaro rude e silenzioso, che nasconde con la ruvidezza il trauma di un doppio abbandono: quello della madre e quello della moglie, che gli ha portato via anche i figli. Il figlio di Marina accidentalmente cade dal tavolo, il sangue scorre, lei è incapace di reagire. Manfred salva il bambino e scopre il "segreto" di quella donna che ha continuato a spiare: Marina non è in grado di accudire il suo bambino. Ben presto però anche Manfred viene smascherato come l'uomo traumatizzato e angosciosamente solo che è: lo smascheramento è tanto più doloroso perché avviene dopo un incidente (in montagna, là dove lui dovrebbe sentirsi più sicuro e forte) nel quale rischia di perdere la vita ma viene salvato da Marina. Per un attimo lunghissimo sono stati l'uomo e la donna che si guardano, si sfidano, si desiderano - e forse si vogliono morti, tanto è intollerabile e estremo il loro desiderare.
Daniele Gerace e Cesco Deleo sono due ragazzi di dodici anni che vivono a Taurianova in provincia di Reggio Calabria. Daniele è arrivato da poco dall’Australia; Cesco ha sempre vissuto a Taurianova. Tra i due nasce subito una grande amicizia,avvalorata dalla passione comune per il cinema che presto si traduce in una serie di sottrazioni più o meno indebite di locandine cinematografiche. L’arrivo di un nuovo proiezionista, Pepé Mandraffì, li costringe però a essere più prudenti. Mandraffì si rivela inoltre un fine intenditore di film. Conosce tutto sul mondo dorato del cinema, e Cesco e Daniele rimangono letteralmente affascinati dai racconti dell’uomo,chissà se veri o immaginari. Ma l’amicizia tra Cesco e Daniele viene messa a dura prova dalla recrudescenza di una faida ormai decennale nella quale è implicata anche la famiglia di Cesco. Suo padre viene ucciso in un agguato e per il ragazzo comincia un periodo difficile,dal quale riesce a uscirne solo grazie a Daniele.
SULLO SFONDO DI UNA CALABRIA FERITA DALLE FAIDE, UN’AMICIZIA INCROLLABILE NATA ATTORNO ALLA PASSIONE PER IL CINEMA.
UN ROMANZO EVO-CATIVO ED EMOZIONANTE CHE FA PENSARE ALLE ATMOSFERE DI NUOVO CINEMA PARADISO E DI IO NON HO PAURA.
DESTINATARI
L’ampio pubblico dei lettori di narrativa
AUTORE Graziano Versace nato a Belmore in Australia nel 1964. Laureato in Lettere Moderne, vive a Sant’Agata di Militello, con la moglie e il figlio, dove attualmente insegna materie letterarie al Centro Territoriale Permanente.
Alla morte del padre, il protagonista-scrittore ritorna al paese natale. Atterrato all'aeroporto di Catania, prende la strada per raggiungere Mineo. E se il territorio attraversato dal narratore quello reale, pure è trasfigurato in un alternarsi di boschi e valli animati da una moltitudine di uccelli e da una vegetazione fitta di erbe e alberi rari. Ecco che allora il viaggio si trasfigura in un pellegrinaggio fantastico: radunatisi sull'altura del castello che sovrasta il paese, amici, parenti, maghi al chiarore della luna si mettono alla ricerca del "tanatouccello" l'umano-animale in cui sono trasmigrati i simulacri del padre. Diviso il territorio in cinque settori, le squadre si mettono al lavoro e su consiglio di alcuni dotti del paese si tenta l'esperimento di innestare un corpo umano, quello del piccolo Diofar, nella corteccia di un albero per stabilire una corrispondenza con l'uccello. Ma l'impresa fallisce mentre la madre del piccolo, Aramea, disperata corre nel bosco sino a dissolversi ai piedi un carrubo.
Un rapporto conflittuale tra una madre e una figlia con due personalità contrastanti e una passione lacerante sullo sfondo di un'Italia scossa da scandali politici che finiscono per affossare il governo. Convivere con il peso della celebrità e, soprattutto, con la notorietà di chi si ama, presuppone una duplice sofferenza quando finisce un amore, perché la donna che esce sconfitta dall'affaire con il politico del momento subisce due volte per via della sovraesposizione mediatica del partner. L'intreccio prende corpo attraverso l'alternanza di due voci narranti che vedono protagoniste due donne: Elisa, un tempo avvenente giornalista e conduttrice televisiva all'apice del successo, e la figlia Serena, giovane biologa che attraverso un viaggio iniziatico nella sua terra d'origine, la Puglia, ritrova il diario attraverso il quale ricompone i tasselli della vita parallela della madre scomparsa in circostanze misteriose quindici anni prima, quando lei era ancora adolescente. Scavando nell'oscuro passato materno, Serena si ritrova inconsapevolmente a risolvere il giallo della morte di Elisa, insabbiata in quanto avvenuta proprio in occasione di un incontro segreto con l'uomo del momento, il presidente del Consiglio. A sostenere la ragazza nella spasmodica ricerca della verità è proprio il padre, Davide, depositario dell'epilogo di un intrigo sentimentale dal ritmo incalzante e ricco di colpi di scena.
Il nome di Dante è nel pensiero di molti indissolubilmente legato al titolo della sua opera maggiore: la "Divina Commedia". È facile dimenticare che il grande poema fu solo il punto d'arrivo di un percorso iniziato nella prima giovinezza. Leggere le "Rime", dai sonetti giovanili alla vitalistica esuberanza di "Sonar bracchetti" e alle atmosfere oniriche di "Guido, i' vorrei" fino alle liriche poi raccolte nella "Vita Nuova", come "Donne ch'avete" e "Tanto gentile", significa accompagnare Dante nel lungo viaggio alla ricerca di una propria voce poetica che avrà come meta finale la "Commedia". Teodolinda Barolini analizza da punti di vista innovativi e spesso inediti le singole rime, facendo luce sull'evoluzione artistica e ideologica del poeta e sui rapporti che intercorrono tra le "Rime" e il capolavoro della maturità.
La sola cosa che Peter Blood desiderasse era vivere in santa pace, esercitando il suo mestiere di medico e fumando a tempo perso la sua pipa. E invece la violenta ribellione contro il re Giacomo II che sul finire del Seicento sconvolge Bridgewater, il paese dell'Inghilterra meridionale in cui Peter si è trasferito dalla natia Irlanda, procura improvvisamente al nostro protagonista la patente di sovversivo e l'accusa infamante di omicida. Sorpreso a curare un ribelle ferito, e ingiustamente processato per aver ordito la congiura, Blood viene ridotto alla condizione di schiavo e spedito nei Caraibi. Alle Barbados sarà comprato dal colonnello Bishop, un ricchissimo proprietario terriero deciso a sfruttare le doti del medico-schiavo, ricambiandone con reiterate violenze e continui soprusi la generosità. Tanto più che Blood avrà il torto di innamorarsi di Arabella, la (bellissima) nipote di Bishop. Finalmente Blood fuggirà - riuscendo a mostrare la sua nobiltà d'animo anche nella fuga - e comincerà così la sua vita di pirata, tra tesori nascosti, arrembaggi, intrighi politici e duelli all'arma bianca. Sempre a fianco del suo inseparabile amico-bucaniere Levasseur, sempre a rischio di cadere nelle grinfie del vendicativo colonnello Bishop, sempre alla ricerca della sua amata Arabella. E nel frattempo, la sua reputazione di pirata salirà, naturalmente, alle stelle.
A Parigi, al termine di un'asta infuocata, un manoscritto inedito di Giacomo Casanova viene venduto per una cifra astronomica a un anonimo compratore. Sono pagine perdute delle Memorie del grande seduttore, ma nessuno sa con esattezza che cosa contengano.
Intanto in Sicilia, a Cefalù, vengono trovati nove corpi carbonizzati, cinque uomini e quattro donne. Pare siano stati uccisi in un rito sacrificale da Dioniso, il guru della setta di cui facevano parte. Solo una donna, Anaïs, è riuscita a fuggire e ha fatto perdere le sue tracce.
Quando nella capitale francese il ministro della Cultura traccia col proprio sangue una stella sul muro della sua camera prima di sprofondare nella pazzia, le strade del commissario massone Antoine Marcas, di Anaïs e di Casanova si intrecciano. Perché la stella è una carta dei tarocchi di Thot, ideati alla fine dell'Ottocento da Aleister Crowley, discussa figura di massone e satanista. Ed è a Crowley, la Grande Bestia come si faceva chiamare, che si rifà Dioniso. E Crowley a sua volta era un ammiratore di Casanova.
Che cosa può aver nascosto di così prezioso in quelle pagine il veneziano, noto massone di alto grado e appassionato esoterista, da spingere persone a uccidere, o a impazzire? Marcas stavolta scoprirà a suo rischio che il connubio amore e morte è molto più di un luogo comune.
Giovanni Carta è un esordiente già maturo nello stile e nella narrazione, afferra storie e le regala al lettore prima che diventino storia, romanzo, omaggiando in questo il racconto orale piuttosto che l'imperialismo del personaggio. I racconti sono però legati in una struttura a cerchi concentrici che tende a imitare l'intreccio dei cesti di giunco, manufatti ricorrenti sia nella narrazione che nella vita quotidiana di un tempo nei paesi dell'entroterra sardo. Non essendo presente in Sardegna nessuna forma di letteratura scritta in lingua (le uniche sono le trascrizioni delle poesie, improvvisate o meno), fino a poco tempo fa questi cesti, con le loro decorazioni raffiguranti scene di caccia o balli, costituivano una delle poche forme di narrazione non orale, sebbene ristretta a pochi temi. Allo stesso modo, la progressione dei racconti è concentrica: i racconti esterni (il primo, il secondo, il sesto e il settimo) sono i più recenti e concatenati, quelli interni (il terzo, il quarto e il quinto) i più lontani nel tempo. La successione delle storie costruisce una sorta di ironica Vita Rustica, ostentando i particolari toponomastici, economici e sociali in un ricco apparato di note, e calando veramente il lettore nella quotidianità sarda contemporanea: giocando con i cliche regionalistici, liberandoci così da essi.

