
Chi era Alessandro, il giovane re macedone considerato un dio? Manfredi ci porta nel cuore della sua avventura: dopo aver indagato con estremo rigore storico, racconta nella forma di un meraviglioso romanzo una delle più belle storie dell’umanità.
In un freddo pomeriggio d'inizio gennaio 1930, alla stazione di Bellano scendono sei uomini malvestiti e con la barba lunga. È la squadra di meccanici che dovrà montare i nuovi telai elettrici nel cotonificio: come spesso accade nei momenti di crisi economica, servono macchine moderne per produrre di più con meno operai. Ma non è questo l'unico turbamento che gli intrusi portano nella piccola e quieta cittadina. Perché si trovano subito al centro di una memorabile rissa, che turba il ballo organizzato per festeggiare le nozze del principe Umberto con Maria José. Nel gruppetto c'è un meccanico dall'aria fascinosa e dal nome bizzarro: Landru. Saranno in molti, e per diversi motivi, a sperare che il misterioso ospite possa aiutarli a realizzare i loro desideri.
Con Il meccanico Landru, Andrea Vitali conferma le sue straordinarie qualità di narratore: a cominciare dalla capacità di reinventare una storia (una prima versione del romanzo era stata pubblicata nel 1992), riequilibrando divagazioni e aneddoti, arricchendola di vicende e personaggi, ma soprattutto della sua esperienza umana e artistica.
Attraverso una vicenda di apparente semplicità, Il meccanico Landru racconta come l'irruzione di un elemento estraneo possa alterare i fragili equilibri di una comunità. E lo mostra con grazia e leggerezza, attraverso una piccola folla di personaggi destinati a imprimersi nella memoria dei lettori. In sottofondo c'è la lotta tra due giovani politici in carriera, l'irruente Aurelio Pasta e l'astuto Eumeo Pennati. Intorno a loro, l'intrigante prevosto don Ascani e il dottor Lieti, che cura gratuitamente gli operai, il direttore dello stabilimento ingegner Galimbelli e il capostazione Amedeo Musante, puntuale confidente del maresciallo Rodinò. Poi ci sono loro, le tre giovani protagoniste: la rossa e focosa Mirandola, la timida ma determinata Emilia e Maddalena, alla ricerca di un possibile riscatto.
Una grotta, un cranio, una iena, più Pennacchi.
Ma non è un po' strano che una iena all'improvviso, dopo migliaia e migliaia d'anni che s'è portata solo carcasse d'animali nella sua tana, un giorno finalmente si porti a casa un cranio umano, gli allarghi il foro occipitale per mangiarsi il cervello esattamente come fanno anche i cannibali (e fin qua non ci sarebbe ancora niente da ridire), ma poi ci costruisca un cerchio di pietre attorno, ci lasci cadere il cranio dentro ed in quel preciso e stesso istante scatti una frana che chiude la grotta e venga giù tutto il monte Circeo come neanche nell'Isola misteriosa di Giulio Verne? E chi era, Capitan Nemo quella iena?
Dice: «Vabbe', ma c'era proprio bisogno di farci duecento pagine di libro, di andare a scomodare i vivi e i morti, di partire da Adamo ed Eva e dalla lunga notte del fascismo, per raccontarci poi in quattro e quattr'otto che anche il federale Finestra da ragazzo è andato in bicicletta a Grotta Guattari, s'è infilato lì dentro e ci ha visto il cranio ben prima che arrivasse Blanc?».
Sì che ce n'era bisogno. Se no non mi credevi.
a.p.
“Il colore della storia è soprattutto affidato al continuo, simbolico gioco di buio e di luci, di albori e di notti. Così come è altra metafora l’insistenza del ritratto etico che punta tutto sullo sguardo o sul dettaglio. Ma il collante del romanzo è affidato alla secchezza e alla spezzatura di uno stile senza trasalimenti. Impeccabile nel rendere il tono da cronaca esistenziale di un animo.” Giovanni Pacchiano, “Il Sole 24ore”
“Il trentenne Davide Longo ha scritto un libro scabro, essenziale, che ricorda da vicino le pagine di Fenoglio e Pavese, per via di una narrazione fatta di vuoti ed elisioni, e tuttavia perfettamente tornita e compiuta. Molto belle le descrizioni del paesaggio africano, vuoto e misterioso. Alla pari del tenente di Flaiano, Pietro esprime un male di vivere, un senso di disagio, che in Tempo di uccidere prende la forma della paura e dello squilibrio mentale, mentre qui quella di un impulso improvviso e inatteso,un piccolo colpo di scena nella storia. Il destino manovra la vita e Pietro si culla nell’illusione di esserne fuori, mentre è già stato giocato. Scritto con piglio sicuro, Un mattino a Irgalem è decisamente una storia del nostro tempo, un buon esempio di romanzo italiano di cui si erano smarrite le tracce.” Marco Belpoliti, “L’Espresso”
Etiopia 1937: lo scenario insolito di una guerra che si è preferito per questo bellissimo romanzo
d’ esordio di Davide Longo. Pietro, tenente avvocato torinese, viene mandato in Africa per difendere la causa del sergente Prochet, un uomo che nessuno difenderebbe, perché ha commesso atrocità ingiustificabili, con una ferocia che si spiega solo con le parole del medico Viale, “ne vedo tutti i giorni di gente che dà fuori per colpa di questo posto”. In realtà il destino di Prochet è già segnato da tempo: è stato uno strumento nelle mani di superiori che si sono serviti di lui e della sua natura indubbiamente violenta, per poi sbarazzarsene quando è diventato una figura scomoda e fuori controllo. Pietro tenta di aprire un varco nel silenzio ostinato di Prochet, per alcuni un eroe della guerra che ha dato all’Italia un impero, secondo i più “un matto, una bestia, uno che l’Africa gli ha fatto male”. Scortato da un “ragazzino dagli occhi azzurri, in una divisa cachi troppo grande”. Incalzato dai superiori, che vogliono il caso chiuso al più presto. Accompagnato dalle partite a scopa e dalle conversazioni con il tenente medico Viale, gay e amico di vecchia data rifugiatosi nell’altipiano per non incappare nell’intransigenza fascista. Ma… perché hanno affidato proprio a lui quel caso a duemila chilometri dal suo Paese? Si sale sul treno polveroso dei militari, al primo capitolo, e fra una sigaretta fumata “stretta” da Pietro e un ruvido paesaggio africano, non si scende fino all’epilogo. In meno di 200 pagine, con uno stile asciutto e un’economia di linguaggio che gli è valso nel 2001 il Premio Grinzane Cavour come miglior esordio dell’anno, Davide Longo racconta attraverso la storia personale di un singolo, quella“impresa d’Africa” che è stata uno sfogo delle manie di grandezza e di imperialismo di tutta una nazione.
Davide Longo è nato a Carmagnola, nei pressi di Torino, nel 1971. È scrittore, documentarista e insegnante. I suoi romanzi Un mattino a Irgalem (Premio Grinzan e Opera Prima 2001 e Premio Via Po) e Il Mangiatore di pietre (Premio Città di Bergamo e Premio Viadana 2004) sono stati pubblicati da Marcos y Marcos e poi da Fandango Libri. Per Corraini, dopo La vita a un tratto (2006) e Lettera prima (2007) ha scritto il libro per bambini Pirulin senza parole, con Chiara Carrer. Ha curato la raccolta Racconti di montagna (Einaudi, 2007). Collabora con la Scuola Holden di Torino e insegna lettere in un piccolo paese tra le colline del Roero.
Ishtar 2 è un reparto di Rianimazione, dove Antonia Arslan, inghiottita dal coma all’improvviso, è stata ricoverata per 20 giorni, angoscianti per chi le voleva bene e spaventosi per lei, che forse non era così assente. Eppure in quella nuova dimensione la sua vita si è accesa come per incanto, l’ospedale si è fatto ora castello in cui si aggirano dolci presenze capaci di fugare paure e solitudine, ora giardino dove l’erba è un tappeto morbido. Il lento recupero ha avuto il sapore di una rinascita. La gola, come carta vetrata subito dopo il risveglio, ha ritrovato il respiro e restituito la voce a una generosa e affascinante cantastorie. Le sue dita si sono messe a correre sulla pagina trasformando quell’esperienza in racconto.
Ne sono nate queste pagine toccanti e allegre perché, persino tra le pareti di quella stanza d’ospedale, Antonia Arslan è rimasta una bambina capace di osservare il mondo con lo sguardo rapito di chi ancora non sa. Quello sguardo che le ha permesso di commuovere i suoi lettori narrando l’eccidio armeno e l’incendio di Smirne. E di dirci oggi ciò che ha visto dalle finestre di quel castello sul mare.
Antonia Arslan è autrice di saggi fondamentali sulla narrativa popolare e la letteratura femminile tra Ottocento e Novecento. Ha riscoperto le proprie origini armene traducendo le opere del grande poeta Daniel Varujan. Nel 2004 ha dato voce alle memorie familiari ne La masseria delle allodole, premiato con moltissimi riconoscimenti e tradotto in 15 lingue, da cui i fratelli Taviani hanno tratto l’omonimo film.
Quattro amici, due uomini e due donne, riuniti in un momento cruciale della loro esistenza. Quattro vite che si ritrovano dopo molti anni, solo apparentemente per caso. Che cosa può intrecciare i destini di un noto giornalista televisivo, di una celebre stilista di moda, di un affermato imprenditore, di una monaca di clausura? Trent’anni prima avevano condiviso un momento speciale: due ragazzi e due ragazze attorno a un fuoco acceso sull’Appennino dell’Italia centrale a parlare di loro, dei loro desideri e del loro futuro. Uno strano gioco chiamato dagli stessi “Un Sogno per te”. Un’esperienza che avrebbe legato e segnato per tutta la vita ciascuno di loro. Beatrice, la stilista di moda; Cristiano, il giornalista televisivo; Dimitri, l’amministratore delegato; Aurora, la monaca di clausura. E sarà proprio Aurora a fare sì che i suoi amici di sempre, costretti a compiere un bilancio del prezzo pagato per raggiungere il loro obiettivo, sappiano ritrovare se stessi. Quarantotto incredibili ore in cui si rincorrono e si incrociano, quasi misteriosamente, una madre disperata che ha perso l’amore della figlia; una donna inglese emersa dal passato che cerca di scoprire il vero padre; una ragazza salvata da una coppia di anziani… Il tutto con un susseguirsi incalzante deciso dal destino, per ritrovare, insieme, la forza di comprendere davvero quel sogno tanto desiderato. Un racconto dei giorni nostri che parla di amore, amicizia e, perché no, anche di fede.
Inizio del Duecento. Due fratelli gemelli, dai temperamenti opposti, che sognano di diventare cavalieri e si trovano a combattere l’uno contro l’altro. Una bella ragazza siciliana e il suo amore, un giovane musulmano. I loro destini sono mossi da Federico II, lo svevo dai capelli fulvi e lo sguardo acuto, che li costringe a congiungersi o scontrarsi seguendo l’amore e la gelosia, il tradimento e la vendetta. Fino al rogo della città di Victoria, alle porte di Parma, dove ogni destino troverà compimento.
Il protagonista di questo libro è Nico. Ventotto anni, un lavoro di deejay radiofonico, un discreto successo con le donne, Nico vive una vita felice, ma si sente profondamente immaturo, un adolescente intrappolato nel corpo di un uomo e senza alcuna volontà di crescere. Come un bambino, del tutto privo di pudori e inibizioni, Fabio Volo ci accompagna in un divertente viaggio nell'universo giovanile, il proprio corpo come unica bussola. Sesso, canne, musica, amicizia e tanta voglia di mettere a nudo la parte di noi che teniamo nascosta, con la polvere, sotto il tappeto.
Il percorso di Francesco è quello di molti ragazzi d'oggi, che si accorgono di esistere senza vivere davvero, come se mancasse loro qualcosa, e un giorno decidono che così non va. Ha un lavoro stressante, amche se remunerativo, che fa per comprarsi cose che gli riducano lo stress. Ha storie con tipe tanto diverse tra loro. Sente il bisogno di star solo ma ha paura di essere "tagliato fuori", adora i genitori ma non è mai riuscito a comunicare con il padre, si fa le canne ma vuole smettere di fumare...
Diego lavora alla revisione di un vocabolario. Nei barattoli delle parole chiude tutto quello che riesce a definire. È pratica che gli viene naturale anche nella vita. Cataloga ogni istante: luogo data ora. In uno dei suoi continui spostamenti tra Roma e Pisa, dove insegna, il treno si ferma in galleria per un guasto, le luci si spengono. Nel buio Diego sviene. Una voce arriva lontanissima a tirarlo fuori dalla vaghezza: Antonia.
Ieri diventa oggi e domani ieri, l'ordine e la memoria di Diego si allentano. È come se Antonia ci fosse sempre stata eppure non c'era. La loro è una storia d'amore che vuole la perfezione. Più sono vicini, più forte è il rischio che il cerchio si spezzi. Basta una menzogna.
Contro ogni logica, l'inganno si rivela più forte della verità e la verità più forte dell'inganno.
Tre amici milanesi, Scheggia, Accio e Ragno, si ritrovano al funerale di un loro caro amico, Fedro, morto in uno strano incidente mentre si trovava in Africa, da solo, in moto. Già, la moto, e nello specifico la Harley Davidson, era ciò che aveva cementato l’amicizia del quartetto, in tanti anni di viaggi, prima che ognuno prendesse strade diverse – e meno spensierate. E lì, davanti a quella bara, scatta un’idea pazza: partire di nuovo, insieme e senza esitazioni, lasciandosi tutto per un po’ alle spalle, per portare le ceneri dell’amico nel luogo che amava di più, «in fondo» al Sahara algerino. Ne nasce un viaggio eccezionale, fitto di ricordi, di storie, di incontri e scontri, di amori, di avventure e disavventure. Un viaggio che cambierà i tre amici e in fondo al quale la moto, l’Harley, così inadatta ad attraversare il deserto, diventa simbolo di una libertà riconquistata e del desiderio di sognar e ancora, anche quando sembra irragionevole.
Sam è una donna realizzata. Ha quarantaquattro anni, una galleria d’arte, una vita sociale ricca e piena. Le manca solo l’amore, ma è certa che prima o poi qualcuno la prenderà per mano. Per il momento, gli uomini sono solo un breve lampo nel cielo sereno dell’amicizia.
Una sera, dalla radio accesa, una voce sembra rivolgersi proprio a lei. Le parla di musica e di bellezza, le apre le porte di un mondo fino a quel momento quasi sconosciuto. Sam ascolta, sempre più attratta da quelle sfumature sonore così calde e avvolgenti. Ma ci si può innamorare di una voce? Sam è decisa a scoprirlo. Esce allo scoperto, dalla quieta riservatezza in cui vive. Contatta la Voce, che da quel momento in poi parla davvero solo con lei. Il dialogo cresce, la confidenza aumenta fino a trasformarsi in passione: un rapporto vissuto senza mai vedere l’altro, scoprendolo attraverso le parole, i profumi, il gusto e le carezze, in un universo di sensazioni che va dritto all’anima, oltre la superficie, oltre la pelle. Un amore cieco, assoluto, che minaccia di inghiottire ogni certezza, e che rischia di svanire al primo sorgere del sole...