
Roma, 1938. Alessandro Borghesi, ingegnere minerario neolaureato e pieno di entusiasmo, viene assunto in una missione archeologica destinata a scavare nell'oasi di Siwah, nel deserto del Sahara, alla ricerca della tomba perduta di Alessandro Magno. Ma ben presto il giovane Borghesi viene a sapere che secondo un antico papiro a Siwah è nascosto un tesoro ben più prezioso, di valore inestimabile: la fonte di un potere misterioso, un segreto celato da quattro ideogrammi - una lingua arcana e sconosciuta - che nessuno studioso al mondo è ancora riuscito a decifrare. Arrivato al Cairo, Alessandro si rende conto che intorno alla missione archeologica ruotano enormi interessi economici e politici: il tedesco Hans Brunner, morto in circostanze sospette, aveva infatti individuato proprio dove sorge l'oasi di Siwah un giacimento di greggio, ora conteso tra gli italiani - che occupano la Libia - e gli inglesi che controllano l'Egitto. Nel seguire le tracce di questa scoperta, Alessandro incontra l'affascinante Elisabeth Rosenheim, egittologa allieva del defunto professor Brunner, e decide di inoltrarsi con lei tra i tanti, troppi misteri della missione. Giunto nel cuore del Sahara, scoprirà che nemmeno il recupero del giacimento di greggio è il suo unico scopo. Nel viaggio si nascondono un'altra verità e nuovi, inquietanti interrogativi: perché l'Ovra ha intercettato una telefonata tra il cardinale di Chicago e la Segreteria di Stato di Pio XI
Aveva chiesto a sua madre di non dire a nessuno che sarebbe tornata a casa, e invece quando Manuela Paris scende dalla macchina, davanti al portone di casa sua, trova un comitato d’accoglienza grande quanto Ladispoli intera. È la vigilia di Natale, Manuela non ha ancora ventotto anni ed è alta e sottile, il suo sarebbe un corpo da atleta, non fosse che ora è fragilissimo - le ossa frantumate ricomposte dalle operazioni, la fisioterapia, le stampelle che chissà quando si potranno mettere via.
Manuela è tornata a casa, in Afghanistan era a capo di un plotone di trenta alpini – la realizzazione di un desiderio che nasceva nell’infanzia, il sogno di una bambina magra e selvatica con l’anima di una principessa guerriera - adesso è una sopravvissuta. Per caso. In balistica si chiama «teoria della divergenza»: Dovevo trovarmi in un punto, che era l’incrocio di una serie di linee, e queste linee sono sempre la conseguenza logica e matematica di una catena di azioni, decisioni, movimenti, gesti. Invece, per un caso, non c’ero. Ero dieci metri piú indietro, anche se non dovevo esserci, e l’esplosione mi ha fatto a pezzi, ma non del tutto. È per quella divergenza che sono viva.
Viva ma incapace di vivere, Manuela, incapace di pensare a un futuro che non sia tornare sul campo e far ripartire l’esistenza nel punto esatto in cui si è interrotta, un istante prima dell’attentato che adesso, invece di rassegnarsi a diventare passato, è intrusione continua nel presente. I medici le hanno detto che ricordare è importante, che ricostruire la sua storia fino al giorno del disastro può aiutarla ad andare avanti. E Manuela, che della disciplina ha imparato a non poter fare a meno, fa i compiti: ricorda, racconta dell’Afghanistan, della guerra, di un popolo sprezzante del pericolo e che più di tutto amava la libertà, scrive del deserto delle pietre e del sangue. Anche se le parole, le sembra, non servono a dissolvere i fantasmi: piuttosto li evocano, ne mettono a fuoco i dettagli.
Ogni sera, quando la casa è già silenziosa, Manuela esce sul balcone e accende una sigaretta. Dall’altra parte della strada, sul balcone dell’hotel Bellavista, un uomo nascosto dal buio fa la stessa cosa. Lui sa che lei si alza prima di tutti e va a letto per ultima, che dorme con la luce accesa, che a volte di notte si sveglia e cammina, che al posto del pigiama usa una maglietta bianca. Lei di lui sa che corre tanto e bene, che beve acqua gassata, che prima di spegnere la luce legge un libro e che fuma troppo. Non sanno nulla del passato che li ha costruiti, di quello che vogliono dimenticare, o magari nascondere, ma ognuno, dal suo limbo, studia il limbo dell’altro: le azioni minime, le espressioni, i gesti che parlano al posto della voce. E forse proprio nell’incontro con quest’uomo che sembra appena venuto al mondo, e che come lei sembra paralizzato in un presente di speranza e attesa, Manuela riuscirà a trovare il punto in cui si ricomincia a vivere. Un punto che dovrebbe stare lì, nell’incrocio delle linee determinate dalle azioni e dalle decisioni, ma che invece, contro ogni previsione logica e matematica, forse va cercato dieci metri più in là.
A sette anni dal successo di Un giorno perfetto, Melania Gaia Mazzucco (Premio Strega nel 2003 per Vita) passa a Einaudi con una storia epica e appassionante, che ci parla del nostro tempo e ci interroga sulle nostre responsabilità di uomini. Il grande romanzo contemporaneo di una delle autrici italiane più conosciute e amate nel mondo.
Annemarie fu scrittrice, fotografa, giornalista; colta, ricca e bellissima, "sembrava incarnare tutta la storia d'Europa". Sullo sfondo della società letteraria cosmopolita degli anni Trenta fu una donna sempre in attesa, in fuga, che non smetteva mai di cercare: parole per i suoi libri, immagini per i suoi reportage, donne da sedurre, uomini da incantare. Senza realizzare mai il suo sogno di vivere di scrittura. Avrebbe potuto avere una vita agiata e oziosa invece ha scelto di portare il suo corpo androgino, il volto nobile, i fluenti capelli biondi tagliati corti continuamente in viaggio: ha attraversato l'Europa in guerra, l'Afganistan, l'Iran, il Congo da sola per far fotografie, alla ricerca di un senso. Scelse di essere fedele a se stessa pagandone le conseguenze. Ruppe con la famiglia, con una madre che detestava la sua libertà, e scivolò in una vita errabonda, in amicizie appassionate e distruttive, come quella con i terribili figli di Thomas Mann che la iniziarono alla tossicodipendenza, fino alla morte. Melania Mazzucco, con "Lei così amata", toglie dall'oblio "una vita che riassume in sé i grandi classici delle esperienze della gioventù del '900: dalla ribellione contro la società borghese, al desiderio di essere eterni adolescenti, senza doveri e responsabilità. Eppure è anche la storia di un'utopia: di essere salvati dalla scrittura. Quella che si infila nelle crepe della vita"
Pubblicato nel 1947 e accolto da Einaudi nel 1958, "Se questo è un uomo" viene da allora continuamente ristampato e tradotto in tutto il mondo. È nota la misura, la compostezza di questo classico dell'esperienza della deportazione, il suo intento di descrivere l'indescrivibile, che ha portato l'autore a affermare "se c'è Auschwitz, quindi non può esserci Dio". Questa edizione commentata è ricca di riferimenti testuali e per l'acume interpretativo, con note, sin dalla prefazione, sulla struttura, le scelte linguistiche e di contenuto (fornendo particolari sui personaggi descritti nel campo). Cavaglion compie uno scrupoloso lavoro di analisi stilistica, studiando le influenze letterarie (prima di tutto "La Bibbia" e la "Divina Commedia") ed illuminando di volta in volta interi periodi o singole parole come "gioia", "fortuna" e "felicità", paradossalmente i vocaboli più ricorrenti in tutta l'opera di Levi. Un lavoro che "pesa, separa e distingue" in un'opera che non si leggerà mai abbastanza
Un giorno il mondo si sveglia e scopre che sono finiti il petrolio, il carbone e l'energia elettrica. È pieno inverno, soffia un vento ghiacciato e i denti aguzzi del freddo mordono alle caviglie. Gli uomini si guardano l'un l'altro. E ora come faranno? La stagione gelida avanza e non ci sono termosifoni a scaldare, il cibo scarseggia, non c'è nemmeno più luce a illuminare le notti. Le città sono diventate un deserto silenzioso, senza traffico e senza gli schiamazzi e la musica dei locali. Rapidamente gli uomini capiscono che se vogliono arrivare alla fine di quell'inverno di fame e paura, devono guardare indietro, tornare alla sapienza dei nonni che ancora erano in grado di fare le cose con le mani e ascoltavano la natura per cogliere i suoi insegnamenti. Così, mentre un tempo duro e infame si abbatte sul mondo intero e i più deboli iniziano a cadere, quelli che resistono imparano ad accendere fuochi, cacciare gli animali, riconoscere le erbe che nutrono e quelle che guariscono. Resi uguali dalla difficoltà estrema, gli uomini si incammineranno verso la possibilità di un futuro più giusto e pacifico, che arriverà insieme alla tanto attesa primavera. Ma il destino del mondo è incerto, consegnato nelle mani incaute dell'uomo... Mauro Corona ancora una volta stupisce costruendo un romanzo imprevedibile. Un racconto che spaventa, insegna ed emoziona, ma soprattutto lascia senza fiato per la sua implacabile e accorata denuncia di un futuro che ci aspetta
Il segretario del maggiore partito d'opposizione, Salvatore Oliveri, dopo il crollo dei sondaggi e l'ennesima, violenta, contestazione, decide di scomparire e si rifugia in segreto a Parigi, in casa di un'amica che non vede da trent'anni, Danielle, una segretaria di edizione conosciuta all'epoca in cui ancora accarezzava l'idea di fare il regista. Unici, e parziali, depositari della scomoda verità, Andrea Bottini, collaboratore di Oliveri, e Anna, la moglie dell'onorevole, in realtà continuano ad arrovellarsi sul perché della fuga e sulla possibile identità di un eventuale complice. Bottini propone ad Anna di usare il fratello gemello di Oliveri, un filosofo geniale segnato da una depressione bipolare, come sostituto dello scomparso. Il filosofo si trasferirà a casa sua, avviando uno strano mènage e un'involontaria carriera politica. Un affresco sull'Italia di oggi, una favola filosofica sulla politica e i misteri della vita
Dopo questo libro, pubblicato per la prima volta nel 1984, l'isola Ferdinandea è diventata una delle immagini più ricorrenti di sicilianità, scelta da giornalisti, scrittori e commentatori. E la storia della comparsa, nel luglio del 1831, di un isolotto (che i geologi oggi sanno vulcanico) al largo della cittadina siciliana di Sciacca; e del suo repentino riaffondare nei flutti pochi mesi dopo. Nel frattempo, ogni tipo di appetiti, di curiosità, di fantasie e di avventure si accese, dietro le sollecitazioni di una campagna di tipo comunicativo premonitrice di futuri eventi mediatici. Un teatro del mondo che Salvatore Mazzarella racconta con una erudizione ricchissima di riferimenti e con una ironia da cronaca illuminista, che la casa editrice Sellerio ripubblica in memoria dell'autore nel decennale della morte
"Il rosso è decisamente il colore di questa serata, come se una luna anemica avesse chiesto un contributo cromatico per alzare un po' il suo sorriso..." Con la luna piena, verso l'una di notte, tutto può succedere: un giovane naufraga tra ricordi sepolti che tornano a galla, un uomo senza ambizioni torna a essere il re della foresta, dettagli affiorano inaspettatamente dopo tanti anni e suggeriscono la soluzione di misteri irrisolti... Due protagonisti e i loro inconfessabili segreti in un'unica, travagliata e calda notte di fine luglio, dominata dalla luna e dal beffardo gioco delle coincidenze... "Le Girandole" si arricchiscono di un originalissimo libro di esordio, scritto in una prosa precisa ed elegante, che modula il registro accordandolo con le situazioni e che in pochi tratti crea personaggi capaci di imprimersi nella memoria: dalle intense figure femminili di Anna, Paola e Marta a quella tenera e ambigua di Enrico, solo rievocata eppure nitidissima, ai due protagonisti, Giovanni e Alfio, apparentemente agli antipodi eppure potenzialmente così simili. Due destini, i loro, che per una vita si sono sfiorati senza mai conoscersi, e che nel delirio ora si intrecciano, si avvicinano e preparano il colpo di scena finale
"Venga, le ho detto. Perché? Guardi fuori, è già l'alba. E allora? È ora che lei torni a casa a dormire. Cosa c'entra che ora è, sono mica una bambina. Non è questione di ore, è una questione di luce. Che cavolo dice? È la luce giusta per tornare a casa, è fatta apposta per quello. La luce? Non c'è luce migliore per sentirsi puliti. Andiamo". Si incontreranno per tre volte, ma ogni volta sarà l'unica, e la prima, e l'ultima
"I segreti di Milano" appartengono alla prima grande avventura narrativa e teatrale di Giovanni Testori. Come un Balzac ipnotizzato da una società che il secondo dopoguerra rivela fortemente caratterizzata e mobile, Testori penetra nella sua Milano: la città popolare e nuova degli anni Cinquanta, segnata dalla presenza di una forte e agguerrita classe operaia. Dagli scenari delle periferie che stanno crescendo e dilatandosi alla dialettale irruenza di figure avvitate nella loro apparente aneddoticità, alla nettezza con cui mettono in scena interni di torbidi intrecci famigliari, "I segreti di Milano" vengono disegnando - e mai come in questa edizione - un mondo, un mondo che ha continuamente bisogno di localizzazione (il Mac Mahon, Roserio, la Ghisolfa) per poter reggere l'ampiezza umana dei gesti, la potenza della rappresentazione, la grandezza, anche melodrammatica, delle vicende. I segreti di Milano appaiono in questo volume secondo la progressione voluta dall'autore: "Il ponte della Ghisolfa", "La Gilda del Mac Mahon", "La Maria Brasca", "L'Arialda", "Il Fabbricone"
Elena è una giovane donna cresciuta in un podere nel Reggiano, a pochi chilometri dal Po. Dalla famiglia ha preso la vitalità del legame con la terra, con la natura e con il calendario immutabile delle stagioni. Ma anche l'asprezza della vita quotidiana sui campi, che le generazioni passate hanno vissuto garantendo agli Adorni il benessere attuale. Una ricchezza che le consente di essere oggi una ragazza libera, al passo coi tempi, non una semplice contadina: Elena infatti legge, va al cinema, a teatro, all'opera. Ha il carattere forte e deciso del nonno Evaristo, tanto che, quando i due fratelli maggiori scelgono di diventare avvocati, Elena sarà la prima donna a prendere le redini dell'azienda di famiglia. Una trasgressione alle leggi non scritte della terra che salva la continuità del patrimonio. Nella vita privata ha le idee altrettanto chiare: il matrimonio non fa per lei e, lasciato a vent'anni il suo primo e unico fidanzato, sembra aver cancellato completamente l'amore dalla sua vita. Finché un incontro inaspettato la mette di fronte a un bivio: continuare a negarsi la felicità o riconoscere che dal germe ribelle che l'ha sempre guidata può nascere un amore autentico, anche se proibito? "Non è te che sceglierò" è una saga familiare che dal primissimo Novecento arriva ai giorni nostri ma soprattutto la storia di una donna coraggiosa, in bilico tra i valori della tradizione e il bisogno di riconoscere la parte più vera di sé
Per riprendersi dalla scomparsa del padre, l'autore ha un'idea: fare un'inchiesta sulla felicità degli altri e verificarne le proprietà terapeutiche. Per questo distribuisce in bar, chiese, carceri, manicomi, scuole, negozi, banche e supermercati di Milano e hinterland migliaia di questionari, chiedendo di descrivere e cronometrare i propri momenti di felicità nel corso di una settimana qualsiasi. Poi incontra e intervista tutti quelli che li hanno compilati. Il risultato è un'avventura in una normale metropoli alla scoperta delle sue allegrie quotidiane e della sua gioia nascosta. Pagina dopo pagina, scorre una serie di incontri che incantano per originalità e delicatezza. E alla fine riscaldano e, forse, un po' curano

