
Dicembre è lo scrigno di ogni festa futura. Se ne contano i giorni, uno per uno. Quattro sono le settimane dell'Avvento, quattro le candele che si devono accendere sul davanzale della finestra, una per ogni domenica. Mentre l'anno e la luce del giorno precipitano verso il buio, quelle piccole luci coraggiosamente dichiarano una speranza. Alfa e Omega, principio e fine, nascita e morte. E in mezzo il respiro di un'attesa. La parabola esistenziale di ciascuno di noi è fatta di piccole e grandi sospensioni: la trepidazione per una nascita, la fiducia in una nuova stagione, la realizzazione di un progetto, la preghiera per una guarigione, il desiderio di un ritorno. Aspettare non è mai atto passivo. Come per i bambini, che a Natale non riescono a star fermi, l'attesa è movimento, creazione, passione. Questo vogliono rappresentare le storie di questo piccolo libro, familiari e fantastiche, che attingono a tradizioni diverse, occidentali e orientali, seguendo un ritmo musicale, sensibile, per declinare quel senso della vita che tutti cerchiamo e che risuona nella voce del verbo "attendere".
Il fronte è vicino, gli americani sono alle porte e, insieme all'eco delle esplosioni, si fanno sempre più inquietanti le voci su cosa accadrà all'arrivo degli Alleati. Spinta dalla minaccia di un destino funesto, una famiglia contadina decide dunque di fare i bagagli nella speranza di trovare la salvezza. È così che il vecchio Mangano, con al seguito moglie, figli, nuora e nipotino di pochi anni, abbandona la cascina che fino a quel momento è stata il centro della sua esistenza e intraprende un viaggio senza meta precisa. Steso nel 1944 durante la prigionia dell'autore in Texas, "Le opere di Dio" è il primo romanzo che Giuseppe Berto abbia scritto: una metafora narrata degli orrori della guerra, vista come catastrofe e come enigma, sconfitta della pietà, inspiegabile silenzio di Dio. Preceduto da "L'inconsapevole approccio". Prefazione di Cesare De Michelis.
"Nel 2160 la questione del Mezzogiorno era irrisolvibile e occorreva mandare tutti su Saturno. Su Saturno i terroni avrebbero potuto riprodursi senza pericolo per via del pianeta molto grande e non avrebbero potuto diventare pigri, perché il Sole era lontano e Saturno perennemente ricoperto da nebbie." "La fantarca", scritto da Giuseppe Berto nel 1965, è la storia dell'ultimo contingente che dalla Terra parte per Saturno a bordo della nave Speranza N. 5, comandata dal capitano Don Ciccio Torchiaro. Un viaggio nello spazio, ma anche nel tempo e nelle piccolezze grottesche e amare dell'umanità, una favola sorprendente che, dietro al tono scanzonato e sorridente, mette in ridicolo le assurdità che la miope superbia dell'uomo è in grado di generare: oggi come cinquant'anni fa. Prefazione di Giuseppe Lupo.
Giorgio, studente modello figlio di intellettuali borghesi, ha ventidue anni e una vita normale e un po' noiosa. Senza crepe, in apparenza. Francesco è torbido, misterioso e affascinante. E baro. Le loro vite viaggiano separate fino all'incontro che segnerà il destino di entrambi. I due diventano amici e passano da una partita di carte truccata all'altra, da una bravata all'altra, in un vortice ubriacante che a poco a poco diventa un'inarrestabile discesa agli inferi. In parallelo corre un'indagine dei carabinieri su una serie di misteriose violenze. Una storia struggente sull'amicizia e il tradimento. Un'avventura picaresca in una Bari segreta e allucinata.
Può una buona bottiglia raccontare il carattere delle persone, i vizi, le avventure, i loro desideri? In un’ideale carta dei vini e della varia umanità, i personaggi escono dalla penna di Camilla Baresani con la stessa impertinenza con cui Gelasio Gaetani d’Aragona interpreta i migliori frutti dell’enologia. Per ogni bottiglia, un racconto in cui il vino, l’amore e tutti gli incontri che rendono la vita interessante si intrecciano in un libro prezioso e divertente, un inno ai piaceri innocenti, e non solo, dell’esistenza.
Il segretario del maggiore partito d'opposizione, Salvatore Oliveri, dopo il crollo dei sondaggi e l'ennesima, violenta, contestazione, decide di scomparire e si rifugia in segreto a Parigi, in casa di un'amica che non vede da trent'anni, Danielle, una segretaria di edizione conosciuta all'epoca in cui ancora accarezzava l'idea di fare il regista. Unici, e parziali, depositari della scomoda verità, Andrea Bottini, collaboratore di Oliveri, e Anna, la moglie dell'onorevole, in realtà continuano ad arrovellarsi sul perché della fuga e sulla possibile identità di un eventuale complice. Bottini propone ad Anna di usare il fratello gemello di Oliveri, un filosofo geniale segnato da una depressione bipolare, come sostituto dello scomparso. Il filosofo si trasferirà a casa sua, avviando uno strano mènage e un'involontaria carriera politica. Un affresco sull'Italia di oggi, una favola filosofica sulla politica e i misteri della vita.
Nelle lettere dei protagonisti di "Posta prioritaria" si scopre una commedia umana fatta di gelosie, amori, ambizioni, affetti dove tutti dovranno conoscersi, scontrarsi e ferirsi per scoprire finalmente il proprio destino. Un romanzo corale che lascia sconcertati e smarriti come può accadere davanti a uno specchio. In questa nuova edizione le storie inedite "Raggio di sole", "Ma se ghe pensu", "Il custode, Ama il prossimo tuo" e quelle della nuova sezione "Il tempo passa", "West African Lion", "Messaggi nella teiera" e "Adiòs".
Questa è la storia di Alessandro ed Ettore, due ragazzi genovesi a cui la vita ha tirato presto uno dei suoi colpi peggiori: la perdita del padre. Alessandro è ambizioso, egocentrico e fragile. A diciannove anni si ritrova già a essere un perdente: suo padre, il "faccendiere", si è ucciso dopo la scoperta di un giro di corruzione e malaffare, facendogli conoscere la povertà e il desiderio di ritrovare il suo posto nel mondo. Ettore è figlio del primo italiano morto a Kabul, ed è diventato un piccolo criminale irresponsabile a causa dell'abbandono e dei privilegi a cui l'ha abituato il fatto di avere avuto per genitore un "eroe" - il fatto che al posto di suo padre ci sia il poliziotto più marcio della città non aiuta. Alessandro ed Ettore sono due kickboxer che vengono da esperienze estreme, al margine della legalità, in una Genova in bianco e nero che è un porto delle nebbie, e non solo esteriori. Sono in guerra con il mondo, con le donne e con gli uomini. Il loro coraggio, la loro volontà di sacrificio sono sempre sul punto di trasformarsi in odio e risentimento. Due vite abbandonate a un vortice autodistruttivo che si incroceranno in un incontro decisivo di fronte a una platea molto più vasta di quanto potessero immaginare, sotto lo sguardo corrosivo dei media. Ma alla fine saranno loro due soli, uno di fronte all'altro sul ring, armati solo di se stessi, dei loro corpi mortali e delle loro esistenze scheggiate dal caso, dal destino, dagli amori incompiuti.
In un regno sorto dopo il Secondo Diluvio Universale, il re vieta di piangere. Qual è il mistero di una lacrima? Perché i bambini nascono piangendo? Da queste domande hanno inizio gli amori, le avventure, i sogni di donne, uomini, angeli e animali che vanno alla ricerca della sorgente del pianto. Attraverso un cammino di conoscenza di sé, Camilla scopre una nuova strada per salvare l'umanità e ricondurla nel primo giardino dell'Eden.
Gioconda detta Giò ha trentacinque anni, una storia familiare complicata alle spalle, un'anima inquieta per vocazione o forse per necessità e un unico, grande amore: Leonardo. Che però l'ha abbandonata. Smarrita e disperata, si ritrova a vivere a casa dei suoi nonni, morti a distanza di pochi giorni e simbolo di un amore perfetto. La notte di San Valentino, Giò trova un biglietto che sua nonna aveva scritto all'angelo custode, per ringraziarlo. Con lo sconforto, ma anche il coraggio, di chi non ha niente da perdere, Giò ci prova: scrive anche lei al suo angelo. Che, incredibilmente, le risponde. E le fa una promessa: avrò cura di te. L'angelo ha un nome: Filemone, ha una storia. Soprattutto ha la capacità di comprendere Giò come Giò non si è mai compresa. Di ascoltarla come non si è mai ascoltata. Nasce così uno scambio intenso, divertente, divertito, commovente, che coinvolge anche le persone che circondano Giò. Uno scambio che indaga non solo le mancate ragioni di Giò: ma le mancate ragioni di ognuno di loro. Perché a ognuno di loro, grazie a Filemone, voce dell'interiorità prima che dell'aldilà, sia possibile silenziare la testa e l'istinto. Per ascoltare il cuore. Anche e soprattutto quando è chiamato a rispondere a prove complicate, come quella a cui sarà messa davanti Giò proprio dal suo fedele Filemone, in un finale che sembrerà confondere tutto. Ma a tutto darà un senso.
Susanna Bo non è soltanto autrice di una storia autobiografica come tante, ma è, a differenza di molti che raccontano se stessi in versi o in prosa, una scrittrice con un suo stile e una vocazione narrativa molto forte, grazie a cui sa ben dosare gli elementi del racconto per spingere il lettore alle risa e alle lacrime, a volte nello stesso tempo, e ad alzare lo sguardo. Questa è una "storia vera" e però è allo stesso tempo un "romanzo", con una sua struttura che man mano si è imposta alla spontaneità diaristica e ubbidisce allo statuto narrativo proprio del genere letterario, grazie a una scansione degli avvenimenti non solo cronologica. Al suo interno campeggiano i due protagonisti: Susi, "la brava ragazza" tutta casa e chiesa ma insofferente degli stereotipi, inguaribilmente ironica e autoironica; Luigi, "l'ateo", più esperto di discoteche che di chiese, l'ingegnere di poche parole che diventerà l'amore della sua vita e la guida, anche per lei, nel condurre la sua e la loro "buona battaglia"; intorno si muovono altri personaggi reali, l'amico di infanzia, le giovani coppie, i genitori: e lo sfondo è, per quanto volutamente sfumato, una piccola città di provincia a forte vocazione turistica, inquadrata con la sua riviera da un obiettivo che non è quello del turista. Prefazione Enrico Rovegno.
Un romanzo che intreccia la storia di dieci donne del popolo vissute oltre settant'anni fa in un borgo toscano. Sono donne che l'autore ha voluto far risorgere. I loro mariti - operai, carbonai, fabbri, stagnini, fornai, muratori stanno in secondo piano, perché sono le donne che vivono l'intera giornata nelle case del borgo. Erano case? Era vita, quella? "Non chiamatele case" - vengono a raccontarci - "sono quelle dei Casalini, sopra le balze, appiccicate le une accanto alle altre, le une rette dalle altre. E ditelo voi se è stata vita, la nostra". Sono loro - Lina, Melita, Corrada, Sofia, Marianna e tante altre - a fare la storia del borgo, con i loro patimenti, le loro illusioni, le loro speranze attese e troppo spesso negate. L'autore le ha fatte risorgere, ma sono loro stesse che dicono alle donne di oggi: "Anche noi siamo parte integrante della vostra storia. Siamo le donne dalle lacrime asciutte: quelle che piangevano dentro".