
Un bracciante siciliano si è chiuso a chiave nella sua stanza e ogni giorno, dal 1968 al 1975, senza dare spiegazioni a nessuno, ingaggiando una lotta contro il proprio semi-analfabetismo, ha digitato su una vecchia Olivetti la sua autobiografia. Ha scritto, una dopo l'altra, 1027 pagine a interlinea zero, senza lasciare un centimetro di margine superiore né inferiore né laterale, nel tentativo di raccontare tutta la sua "maletratata e molto travagliata e molto desprezata vita". Ne è venuta fuori un'opera monumentale, forse la più straordinaria tra le scritture popolari mai apparse in Italia, sia per la forza espressiva di questa lingua mescidata di italiano e siciliano, sia per il talento narrativo con cui Rabito è riuscito a restituire da una prospettiva assolutamente inedita più di mezzo secolo di storia d'Italia.
È una limpida notte di luna piena, una notte di gioia e di festa, quando il Villaggio Alto subisce l'improvviso attacco di un manipolo di spietati cavalieri che portano morte e devastazione. In pochi sopravvivono: tra questi la giovane Ailis, mentre la sua migliore amica Vevisa viene rapita. Seguendo il folle proposito di vendicare la furia distruttrice che ha falcidiato il suo popolo e ritrovare Vevisa, Ailis, che è poco più di una bambina ma ha lo spirito audace e temerario di un guerriero, intraprende la sua lunga e perigliosa ricerca. Attraversando lande sconosciute e meravigliose conoscerà la schiavitù, la battaglia, le illusioni della magia e dell'amore, vedrà le molte facce della morte e capirà che senza questo iniziatico viaggio non avrebbe mai sollevato il velo sulle proprie arcane origini e sul proprio enigmatico destino: da lei potrebbe infatti dipendere l'equilibrio e il futuro stesso delle Terre Occidentali. Il primo volume di una saga che mescola fiaba, azione, epica cavalleresca e mito classico.
Dopo il successo di "Nordest" e di "Arrivederci amore ciao", Carlotto ritorna a un personaggio dell'Alligatore, ma non per raccontare un nuovo episodio di quella serie, bensì per raccontare la storia vera di un malavitoso "dal cuore d'oro". L'autore padovano, che in questi anni ha rovesciato l'immagine romantica dei criminali e ne ha invece sottolineato la crudeltà e la spietatezza, fa qui una "eccezione", scrivendo la storia commovente del suo amico Rossini. Un'amicizia nata in carcere, in condizioni estremamente difficili, a cui Carlotto rende ora omaggio con questo romanzo.
Le reducciones settecentesce del Paraguay offrono il lussureggiante ma anche drammatico contesto in cui si muove una storia tutta «visiva», costruita secondo i canoni insieme classici e moderni della sceneggiatura cinematografica e misteriosamente ancorata a un'efficacissima regia interiore (pp. 488).
Dall'autore de 'I giorni della diossina', una raccolta di racconti di varia natura, dalla ricostruzione storica all'amore, dalla devozione al sogno, con il filo comune del mistero della vita e dell'uomo. Sono storie vissute nel vivere quotidiano dell'autore. Lasciano intravedere sotto un velo quello che si agita in tutto ciò che vive, visibile e invisibile, e parlano dell'Onnipotente, di Gesù Cristo e sua Madre, di angeli e demoni, di fatti belli belli di amore e orribili di odio, cioè del mistero della vita e dell'uomo...
Teresa è in fuga. Dalla sua terra – la Sicilia. Da un padre ostinato che non c'è più. Da una madre lamentosa e implacabile. Eppure Teresa è una ragazza che sa sorridere e ridere della vita. Trova riparo a Roma. L'amica Gisella le ha offerto un lavoro: tenere compagnia ai malati terminali. Teresa accetta, titubante. Scopre un'umanità vigorosa, uomini e donne feriti a morte ma capaci di sorprendenti impennate di vitalità, quella vitalità che anche lei sembrava aver smarrito e che ora, lentamente, tenacemente, sta riacquistando. Le cose cominciano a girare per il verso giusto – trova addirittura un ragazzo che sembra troppo perfetto per essere vero – ma un passato archiviato in fretta torna ad affacciarsi e non le dà tregua. Teresa mastica pensieri di rabbia. All'inizio sono soltanto pensieri, ma quando conosce il suo nuovo assistito – Libero Ferrari, un ruvido e scorbutico ex brigatista, condannato per omicidio – allora quei pensieri vogliono l'azione.
È giunto il momento di saldare i conti?
Due adulti sposati (non tra loro) che si ritrovano uniti da una passione incontrollabile e da un amore coriaceo, particolarmente resistente alle intemperie. Viviana è sexy, vitale e intrigante, e ha un notevole talento per i discorsi intorcinati. È combattuta fra restare amante e alleviare cosi le infelicità matrimoniali o sfasciarsi la vita per investire in un'altra. Modesto è meno chic, decisamente più sboccato e sbrigativo nella formulazione dei concetti, ma abilissimo nell'autoassoluzione. Spara battute a sproposito per svicolare, e fa pure ridere. Moderatamente vigliacco, aspirerebbe alla prosecuzione a tempo indeterminato della doppia vita piuttosto che a un secondo matrimonio, visto che già il suo non è che gli piaccia granché. È nella crucialità del dilemma che Viviana trascina Modesto dall'analista, cercando una possibilità di salvezza per il loro rapporto ormai esasperato da conflitti e lacerazioni continue. Il dottore è spiazzato nel trovarsi di fronte una coppia non ufficiale, libera da vincoli matrimoniali e familiari, che non ha nulla da perdere al di là del proprio amore. Accetterà l'incarico per questa ragione, trovandosi nel mezzo di una schermaglia drammatica e ridicola insieme, e rischiando di perdere la lucidità professionale.
La mattina del 24 marzo 1946 Alexandre Alekhine, detentore del titolo di campione del mondo di scacchi, venne trovato privo di vita nella sua stanza d'albergo, a Estoril. L'esame autoptico certificò che il decesso era avvenuto per asfissia, e che questa era stata provocata da un pezzo di carne conficcatosi nella laringe - escludendo qualsiasi altra ipotesi. La stampa portoghese pubblicò la versione ufficiale, e il caso fu rapidamente archiviato. Da allora, però, sulle cause di quella morte si sono moltiplicati sospetti e illazioni. Qualcuno ha insinuato che le foto del cadavere facevano pensare a una messinscena; qualcun altro si è chiesto come mai Alekhine stesse cenando nella sua stanza indossando un pesante cappotto - senza contare che il defunto aveva un passato di collaborazionista, e che i sovietici lo giudicavano un traditore della patria... Con il fiuto e il passo del narratore di razza, e con la sua profonda conoscenza del mondo degli scacchi ("lo sport più violento che esista", ha detto uno che se ne intendeva, Garri Kasparov), Paolo Maurensig indaga sulla morte di Alekhine cercando di scoprire, come dice Kundera citando Hermann Broch, "ciò che solo il romanzo può scoprire".
Due fratelli indagano sulla morte del padre, ex operaio Fiat ucciso nel suo bar di Centocelle durante una rapina. A raccontare è il più giovane, che scopre una misteriosa dedica in codice - "Non lasciarmi sola, Clelia1979" - sul retro di una cornice. Si apre così uno spiraglio sul passato insospettabile del padre. Dietro all'immagine del barista ironico e tifoso della Roma emerge uno sconosciuto segnato da segreti e contraddizioni che affondano negli anni della contestazione e della lotta armata. Tito, il primogenito, di quel passato è certo: ha raccolto con scrupolo le prove che dimostrano come il padre abbia sempre fatto la scelta più onorevole, dalla parte dello Stato. Il minore invece, tormentato dai dubbi, si trova a fare i conti con il fantasma del padre, che gli appare in forme e visioni sempre più allucinate per dire la sua storia e mostrare una strada verso la possibile verità sul suo omicidio. I due fratelli - che da anni non si parlano, schierati su versanti ideologici opposti - sono costretti a collaborare, diffidano l'uno dell'altro, si rinfacciano colpe, si passano alcune informazioni ma ne omettono molte altre. Il maggiore, un poliziotto convinto protagonista dei fatti avvenuti alla Diaz e a Bolzaneto, è aiutato dall'accesso a documenti riservati dei servizi segreti attorno agli anni di piombo; il minore ha al suo fianco due amici scalcagnati e irresistibili. E poi c'è Elena, un'hacker che lo accompagna con intuito e rigore matematico nella ricerca dell'assassino, sciogliendo la sua cronica incapacità di decidere e spingendolo oltre l'indolenza e la paura. Per svolte inaspettate, supposizioni e disvelamenti, la domanda "chi ha ucciso il padre?" trascina il lettore in un groviglio di colpe e responsabilità dove, in un crescendo hitchcockiano, sembra impossibile giungere alla verità. E, più che mai, essere in grado di dimostrarla.