
Sergio viene abbandonato dopo tanti anni di matrimonio dalla moglie Gianna, stanca dell'aura di indifferenza calata sul loro rapporto. Sergio è distrutto. Si lascia tentare da amori mercenari ma non si consola, perché, apparentemente, non ci può essere consolazione. Eppure, a poco a poco, qualcosa di profondo, che era come assopito, si ridesta. Sergio comincia a entrare in sintonia col mondo circostante, ed ecco allora fiorire delle "rose", un giardino di nuove consapevolezze dove le donne appaiono a Sergio in tutta la loro forza, fragilità, il loro coraggio. E neppure il tarlo della gelosia nei confronti di sua moglie, che pure sembra dettargli atti estremi, riuscirà a uccidere quella struggente fioritura. Perché Sergio ha imparato sulla sua pelle che le donne sono dei fiori, delicati ma pungenti come e più delle rose.
Dopo un divorzio doloroso, Laura ritrova finalmente la serenità. Ha un buon lavoro e le è tornata la voglia di fare progetti, nuove amicizie. Inspiegabilmente, però, iniziano a manifestarsi strani malesseri che sulle prime sembrano dovuti a stanchezza. Ansia da stress è la diagnosi del medico. Pian piano questi episodi si trasformano in crisi di panico, al punto da costringerla, una volta uscita dal pronto soccorso, a vivere nella sua automobile a pochi passi dall'ospedale. A nulla servono la vicinanza della migliore amica e di un ragazzo conosciuto per caso in ospedale, che lei allontana pur sentendosene attratta. Non vuole sentire ragioni: rifiuta i farmaci che le vengono prescritti e conduce ormai un'esistenza da senzatetto, pur consapevole di vivere in una prigione, in spazi delimitati autoimposti. Dopo aver allontanato tutti gli affetti, Laura rimane sola, nel mirino di loschi individui, appartenenti alla malavita organizzata. Riuscirà la consapevolezza di essere in pericolo di vita a farle accettare quella terapia farmacologica in grado di restituirle a poco a poco la forza di reagire? Riuscirà, insieme alla voglia di amare, a recuperare la libertà che ha perso? In questo romanzo Rosario Sorrentino affronta, grazie alla sua esperienza professionale, la tematica degli attacchi di panico, disturbo invalidante che colpisce sempre più persone. Ma da cui si può guarire.
1992: vent'anni dopo la morte di Mussolini, il nuovo Duce non è stato proclamato. Un Triumvirato, espressione delle varie correnti del Partito Nazionale Fascista, regge l'Impero, nell'attesa di un difficile accordo che risolva il grave nodo della successione. Nonostante l'incertezza politica, l'Italia continua a essere una superpotenza che estende il suo dominio dalla Russia alla Somalia. Nel Medio Oriente, però, la situazione precipita. A Baghdad, Yasser Arafat, presidente della Federazione Araba, costituita da un potente gruppo di nazioni musulmane, viene ucciso in seguito a un attentato messo in atto da un partito estremista, che ha per simbolo la mezzaluna nera, guidato da uno sceicco imprendibile e sanguinario.
Vanni Cascione ha un'unica fede, il calcio, e un unico dio, José Mourinho. Dopo anni da mister di squadre scalcagnate della provincia campana e con un'infinita collezione di esoneri, è incaricato dal direttore sportivo Lucio Magia, faccendiere dal viso gitano, di allenare l'Atletico Minaccia Football Club. Alla promessa di poter disporre di una rosa di calciatori eccellenti corrisponde però un reclutamento spericolato, tra patteggiamenti, prostitute nigeriane e reduci di reality show. Cascione si ritrova in squadra un attancante schiavo della colite cronica, un mediano clandestino schierabile solo in trasferta perché in casa è piantonato dalla polizia, un portiere cocainomane, uno stopper detto "Trauma" e non per caso, un ex concorrente di Sarabanda e persino un meccanico e un cuoco... Con questa improbabile formazione, vincere il torneo si prospetta complicato. Figuriamoci se ci si mette pure la camorra. Marco Marsullo dà vita a una figura poetica e maldestra di allenatore di provincia, abituato a perdere e ostinato a vincere. E si diverte a giocare con gli stereotipi del nostro Sud liberandoli, finalmente, dalla retorica del lamento consolatorio.
I protagonisti di una civiltà letteraria, anche i più originali, non vivono mai isolati. Sono maestri o allievi, sono intellettuali in competizione fra loro o solidali nella lotta per una certa idea di letteratura e, magari, di società. Nessuna isola è un'isola, ogni scrittore è riconducibile a un mondo.
Le mappe, i grafici e i racconti che compongono questo Atlante della letteratura italiana individuano, attraverso la geografia, le trame della nostra cultura letteraria, e strada per strada, città dopo città, collocano nel posto preciso del tempo e dello spazio tutto quanto contava nel paesaggio sociale e mentale di scrittori e intellettuali.
«Pensata nello spazio oltreché nel tempo, la storia della letteratura italiana assume un profilo estremamente mosso, che restituisce tutto il loro rilievo alle presunte periferie di un'Italia troppo a lungo disegnata intorno a un unico asse toscano. Ne emerge un dato evidente e mai messo a fuoco con tanta nettezza, anche se da tempo risaputo: l'Italia letteraria ha conosciuto, dal Duecento all'Ottocento, una geografia policentrica, come non è avvenuto per nessun altro paese europeo; ha ruotato, spesso e lungamente, intorno a città diverse da Firenze o da Roma, o addirittura esterne ai confini della penisola, com'era l'Avignone trecentesca dei papi. Si può dire che fino allo spartiacque del 1860-61, cioè fino alle sorprendenti e quasi mirabolanti vicende che propiziarono l'Unità, la civiltà italiana abbia vissuto al ritmo di una singolare alternanza tra città-perno: capitali in pectore di Italie probabili o improbabili, possibili o impossibili, capitali letterarie elettive che l'Atlante identifica, illustra, e alle quali intesta un'età della nostra storia».
Comitato scientifico: Mauro Bersani, Amedeo De Vincentiis, Erminia Irace, Michele Luzzatto, Sergio Luzzatto, Gabriele Pedullà, Domenico Scarpa
Nel suo letto di morte, in uno stato sospeso fra il sogno e iI ricordo, sperando di ricevere notizie del figlio Raul disperso, il leggendario moschettiere Athos rivede la sua vita tempestosa, in perpetua relazione con il mistero, l'intrigo, il pericolo. Fra tutte, torna a lui la prima avventura che segnò il suo destino: quando, poco più che ragazzo, dopo un fortunoso naufragio rifiutò l'invito a entrare nell'Ordine dei Cavalieri di Malta e accettò invece un incarico assai più rischioso. Sfidando il mistero del momento ineffabile dell'ultimo passaggio, Alberto Ongaro fa proprio il personaggio di Dumas, amatissimo insieme agli inseparabili Porthos, Aramis e D'Artagnan, in un romanzo che interroga il senso dell'avventura umana di fronte all'ineluttabilità della sua fine.
Alessandro ha sempre la testa fra le nuvole: è impiegato alle Ferrovie dello Stato ma scrive racconti per il «Corriere dei Piccoli», è marito e padre di famiglia ma sembra dare il meglio di sé negli scherzi e nelle chiacchiere con gli amici. Nella sua vita però, quando è stato necessario, non sono mancati piccoli atti di eroismo, come quando, durante la prima guerra mondiale, è riuscito coraggiosamente a evitare una tragedia in caserma, o come quando diffondeva l'«Avanti!» nella Roma occupata dai tedeschi.
Assunta ha sempre i piedi per terra: concreta, precisa, volitiva, per non dire testarda. Ama la campagna, le persone umili, gli animali. Ama il lavoro silenzioso e le cose essenziali, il figlio prima di tutto.
La storia di Assunta e Alessandro è la vicenda umana di due italiani lungo gran parte del Novecento. È la storia delle loro origini, delle loro formazioni, del loro incontro, del loro matrimonio, della loro felicità e delle loro delusioni. Raccontata dal figlio, che un po' fa lo storico familiare, un po' divaga e commenta con ironia: due strategie complementari per distanziare la commozione. Così come il ricordo doloroso della vecchiaia dei genitori, e delle loro morti, mantiene tutto il calore affettivo ma riesce a trasformarsi in alta meditazione di stampo classico, cercando di inseguire il senso che si cela dietro alla vicenda di ogni esistenza.
Ma nel libro c'è, fortissima, la presenza di un ulteriore protagonista dopo Alessandro, Assunta e l'ombra del narratore. È la città di Roma, che pulsa nelle descrizioni e nei ricordi dando ritmo a tutta la narrazione. Una Roma non da cartolina, collettore affettivo, legame fra generazioni diverse e simbolo difficilmente superabile degli infiniti avvicendamenti umani.
Raccontare la vita della gente comune, la «polvere degli umili» negli ingranaggi della Storia, è il compito principale che il romanzo moderno si è dato.
Ma qui Asor Rosa si occupa di due persone normali che hanno per lui un valore del tutto speciale: i suoi genitori. Riportare alla luce le loro vicende, attraverso i documenti e lo scavo memoriale, significa raccontare un uomo e una donna che hanno attraversato il Novecento, ma anche interrogarsi sul senso delle vicende umane: mai insignificanti se osservate dal punto di vista delle conseguenze.
Da una storia familiare, intrecciando toni diversi - oggettivo, ironico, affettivo, meditativo - Asor Rosa è riuscito a dar vita a un romanzo coinvolgente ed emblematico per tutti.
Alberto Asor Rosa (Roma 1933) ha segnato i suoi esordi con la demistificazione dei principali «luoghi comuni» della cultura letteraria contemporanea (Scrittori e popolo, 1965; nuova ed. Einaudi, Torino 1988), per occuparsi poi di argomenti relativi al Trecento e Cinquecento, al Seicento (La cultura della Controriforma, Laterza, Bari 1974), all'Ottocento (Manzoni, Verga e il verismo), al Novecento (La cultura, Einaudi, Torino 1975), nonché di critica militante (ha seguito e continua a seguire la produzione letteraria contemporanea). Recentemente ha raccolto in volume i suoi saggi sulla cultura e la letteratura italiana ed europea del secolo passato (Un altro Novecento, La Nuova Italia, Firenze 1999). Ha pubblicato una Storia della letteratura italiana (La Nuova Italia, Firenze 1973, piú volte ristampata) e ha diretto la Letteratura italiana Einaudi. Nel 2002 sono usciti il romanzo L'alba di un mondo nuovo, «Supercoralli» e La guerra. Sulle forme attuali della convivenza umana. Nel 2005 ha pubblicato nella collana «L'Arcipelago Einaudi» Storie di animali e altri viventi, nel 2009 i tre volumi della Storia europea della letteratura italiana («Piccola Biblioteca Einaudi») e nel 2010 il romanzo Assunta e Alessandro. Storie di formiche («Supercoralli»).
Un uomo, forse un ragazzo, ama una donna, forse una ragazza, e ne è riamato. Ma lei muore. E lui rimane solo. Il mito di Orfeo e Euridice ci parla di questo. Ma ci parla ancora? E cosa può dirci di questo accadimento così comune eppure così unico, definitivo, irripetibile, come la perdita della persona amata? Valeria Parrella torna a confrontarsi con la classicità e, in questa novella, che contemporaneamente diventa uno spettacolo teatrale, rielabora il mito con forza, originalità, coraggio e lo fa parlare ancora alle donne e agli uomini di oggi.
Villa Borghese - un enorme parco nel centro di Roma, grande più della Città del Vaticano e poco meno del principato di Monaco - è un luogo meraviglioso. Ci sono musei, teatri, la Casa del Cinema, ludoteche, chiese. E poi le mille piante, i corsi d'acqua e le tante specie animali ospitate al Bioparco. Un'isola di verde incantevole. Affascinante, colta, misteriosa. Il sindaco, malato d'amore per la Villa, muovendo mari e monti riesce a far aprire un commissariato al suo interno. Per la gestione del nuovo ufficio, i vertici della polizia decidono di radunare un gruppo di soggetti che altrove non hanno certo brillato. Come i magnifici sette, ma al contrario. A guidarli viene chiamato Giovanni Buonvino, ispettore superiore che, quindici anni prima, è stato condannato alle retrovie da un bruciante errore. «Occhio ai palloni Super Santos» ironizzano i colleghi, «possono contenere esplosivo.» Pochi giorni dopo l'inaugurazione del commissariato, però, il pacifico tran tran viene interrotto dalla scoperta di un cadavere orrendamente straziato. Da quel momento a Villa Borghese - insanguinata da una lunga scia di morte - nulla sarà più lo stesso.
I racconti che compongono questo libro hanno una doppia anima: guerra e natura si alternano in un contrappunto che la scrittura di Rigoni sa modulare con verità. Così, accanto alla storia di Romedio e della sua mula che salvarono decine di feriti in Russia, o a quella di una bottiglia di grappa nascosta in una trincea da un soldato nel 1917, e ritrovata trent'anni dopo, o ancora a quella di un ritorno, dopo sessant'anni, sul luogo della sofferenza e della morte - il Lager 1B, in Polonia - trasformato in un impossibile paesaggio bucolico, possono trovare posto due piccoli caprioli che si avvicinano alle case in cerca di cibo e di riparo, una lepre inseguita nel bosco, la legna messa da parte per l'inverno o per chi verrà dopo di noi.