
È una domenica mattina di fine giugno e Sergio e Giovanna, come d'abitudine, hanno invitato a pranzo nel loro appartamento al Testaccio due coppie di cari amici. Stanno facendo gli ultimi preparativi in attesa degli ospiti quando una sconosciuta si presenta alla loro porta. Molti anni prima ha vissuto in quella casa e vorrebbe rivederla un'ultima volta, si giustifica. Il suo sguardo sembra smarrito, come se cercasse qualcuno. O qualcosa. Si chiama Elsa Corti, viene da lontano e nella borsa che ha con sé conserva un fascio di vecchie lettere che nessuno ha mai letto. E che, fra aneddoti di una vita avventurosa e confidenze piene di nostalgia, custodiscono un terribile segreto. Riaffiora così un passato inconfessabile, capace di incrinare anche l'esistenza apparentemente tranquilla e quasi monotona di Sergio e Giovanna e dei loro amici, segnandoli per sempre. Ferzan Ozpetek, al suo terzo libro, dà vita a un thriller dei sentimenti, che intreccia antiche e nuove verità trasportando il lettore dall'oggi alla fine degli anni Sessanta, da Roma a Istanbul, in un susseguirsi di colpi di scena, avanti e indietro nel tempo. Chi è davvero Elsa Corti? Come mai tanti anni prima ha lasciato l'Italia quasi fuggendo, allontanandosi per sempre dalla sorella Adele, cui era così legata? Pagina dopo pagina, passioni che parevano sopite una volta evocate riprendono a divampare, costringendo ciascuno a fare i conti con i propri sentimenti, i dubbi, le bugie. Il presente si mescola al passato per narrare la potenza della vita stessa, che obbliga a scelte da cui non si torna più indietro. Ma anche per celebrare - come solo Ozpetek sa fare - una Istanbul magica, sensuale e tollerante, con i suoi antichi hamam, i palazzi ottomani che si specchiano nel Bosforo, i vecchi quartieri oggi scomparsi.
I gialli non gli piacevano nemmeno. Poi un'estate, grazie a un libraio, Giancarlo De Cataldo ha cambiato idea. Ed è diventato l'autore di indimenticabili storie di genere, capace di tradurre in fiction la dura realtà del crimine in bestseller come "Suburra" e "Romanzo criminale". In questo libro ricorda le molte e varie letture che hanno costellato il suo percorso, ripercorre le lezioni apprese nel tempo anche nel prezioso laboratorio della scrittura a quattro mani con Carlo Bonini, riassume il grande cambiamento che il genere poliziesco ha conosciuto in questi anni anche grazie ad altre forme narrative, come le serie televisive. E si pone domande fondamentali per chi aspiri a diventare autore di "storie nere". Quanto pesa la contaminazione della realtà? C'è differenza tra "raccontatore di storie" e scrittore? Come si costruisce un personaggio? Come ci si immedesima nel "cattivo"? Come si trasforma un romanzo in un film?
«"Come fai a sapere tutto questo?" "Tutto so. So anche che lavori al tuo capolavoro: una messa. Una messa al buio, come se credessi. Ma non ti basterà la vita per finirla. E scusa se oggi non ti ho fatto ridere"». Il rapporto dialettico fra il giovane Mico, accordatore di strumenti musicali, e il suo fratello adottivo Klaus, compositore geniale eppure irrisolto, costituisce l'asse portante di Come se. Questa conversazione tra Mico e Klaus sembra quasi una dichiarazione autobiografica. Rispondendo a una domanda di Giliolo Badilini che gli chiedeva se si sentisse più Klaus o più Mico, Santucci ha dichiarato: «Mi sento un Klaus che di giorno in giorno si sforza, con alterni esiti, di diventare un buon alunno di Mico». Come se è l'opera «teoreticamente più densa di Santucci», secondo le parole di monsignor Ravasi, e la più cara al suo autore. Quello di Santucci è un itinerario della fede nel raggio della poesia, una fede vissuta come scommessa pascaliana, una letteratura vissuta come esercizio profetico, un itinerario che dalla «imperfetta letizia» dei «non santi» arriva al «come se» dell'omonimo romanzo, ove si contrappone il «così è», ovvero il regno di Dio, al «come se», ovvero il regno dell'uomo. Pochi scrittori come Santucci hanno saputo coniugare la gioia e il senso della tragedia, la disperazione e l'accettazione religiosa della vita, la peregrina eresia del vivere con la certezza di quella fede che sembra sempre più proporsi all'uomo come l'unica felicità possibile.
Quattro scarafaggi a Parigi, un best seller da scrivere, 57 giorni per portare a termine l’impresa. Ma le loro zampe sono troppo corte per tenere una penna.
– Dobbiamo scrivere un romanzo sentimentale, alla Via col vento, guerra di secessione e amori tormentati, soldati e corna. – Ambientiamolo nel medioevo, alcuni alieni rapiscono un gruppo di monaci, un romanzo di fantascienza retroattiva. – Io scriverei un western ambientato ai giorni nostri, dove i duelli con le pistole si svolgono a Wall Street, dopo un conflitto nucleare. Io avanzai l’ipotesi di un thriller con protagonista un anatomopatologo. Avevo sentito dire che gli anatomopatologi andavano per la maggiore nei best seller, anche se avrei avuto qualche problema a spiegare quale professione svolgessero di preciso...
Indice
1. Morosità – 2. La giovinezza non è mai servita a nessuno – 3. Un best seller! – 4. Tentativi a vuoto – 5. Cyrano de Bergerac – 6. Infarinatura e qualche grattacapo – 7. I primi 25 giorni – 8. Una settimana di pausa – 9. I secondi 25 giorni – 10. Dopo il best seller scritto in 57 giorni - Ringraziamenti
In una stanza immersa nella penombra un donna, giunta all'autunno della vita, si muove lentamente appoggiandosi a un bastone. Intorno a lei sculture di ogni tipo. La donna le sfiora e insegue il ricordo di un uomo. Un uomo schivo, selvatico, che però ha saputo rendere eterno nel legno il sentimento che li ha uniti. Ogni statua evoca un episodio della vita avventurosa che quell'uomo ha vissuto e amava condividere con lei, le difficoltà di un'infanzia di povertà e abbandoni, in cui la più grande gioia era stare con i fratelli e i nonni attorno al fuoco, la sera, imparando a intagliare legno, o sentire la vibrante intensità della natura durante una battuta di caccia. Ogni angolo arrotondato delle sculture fa affiorare in maniera dirompente l'orgoglio e la rabbia di quel giovane che, crescendo, aveva voglia di farcela da solo, cancellando le ombre del passato che lo tormentavano. Ma quei profili, quelle figure che ancora profumano di bosco, raccontano anche che l'amore può trovare pieno compimento solamente nella trasfigurazione, nel sogno, perché l'unica via per non rovinare quel sentimento vero e cristallino è allontanarlo dalle mani dell'uomo che, nella sua intrinseca incapacità di essere felice, finirebbe inevitabilmente per sprecarlo. Dai boschi che Mauro Corona ci ha insegnato ad ascoltare e ad amare si leva in questo romanzo una voce nuova, per molti versi inaspettata, a tratti dolente ma non perciò men energica.
Dalla dura lezione delle pandemie al razzismo, dal virus della corruzione alla tensione per l'innovazione, l'epopea di Roma - a saperla leggere - può scacciare il buio che spesso ci inghiotte, illuminare il nostro presente, edificare il nostro futuro.
Molti imperi scompaiono avendo lasciato dietro di sé un campo di sterminio, rovine, massacri e... niente altro. Roma ha lasciato una civiltà. Viviamo ancora nella sua legge, ci avvantaggiamo del suo sistema di comunicazione, delle poderose e geniali tecniche costruttive, parliamo la sua lingua, in tante e diverse parti del mondo. Alcuni dei popoli che sono stati interessati dalla dominazione romana non avrebbero poi avuto alcuna pietà quando, a loro volta, si sarebbero trovati nel ruolo degli invasori. Avrebbero distrutto, ucciso, saccheggiato: in questo, la storia del genere umano è tristemente quella che è. Gli "altri" non erano migliori. Una volta ancora la differenza è in ciò che rimane dopo. O che non rimane affatto. La narrazione storica rifugge illusorie classifiche morali, ma quel che è certo è che bisogna sentirsi orgogliosi della civiltà che l'antica Roma ci ha lasciato, orgogliosi di esserne, in tanti, eredi.
Si può leggere nella ricostruzione di una vicenda il senso di un'altra? Silvia, la ragazza che raccoglie le fila della propria sgangherata famiglia dopo aver completato una tesi su Mario Segni e il fallimento del suo progetto di rigenerazione del Paese, non ne è proprio sicura, ma comunque ci prova. Una comunità che per caso si trova padrona di una villa bellissima in un parco incontaminato dissipa ottusa ricchezza e benessere, tormentandosi dispettosamente gli uni con gli altri. In realtà ci sarebbe la possibilità di sottrarsi a questo paradossale destino, basterebbe unire le forze e perseguire un progetto, smettere di litigare e crederci tutti insieme. Invece il progetto va in fumo senza ragione apparente, anche se mille malesseri corrodono affetti, sentimenti, rapporti. Un tempo la sorte ha loro donato la villa e il suo parco, per caso, per culo, per via di una scala reale di cuori che ha battuto a poker un'altra scala di fiori (come quando fuori piove); ora il destino continua a divertirsi inventando nuove sorprese. Non ha funzionato il progetto. Peccato! Davvero allo scacco non c'è rimedio, oppure l'azzardo prevede che finito un giro si ricominci da capo a giocare? Dopo dieci giorni di interrogatori e sondaggi l'unica certezza è che nella vita vale sempre la pena di rischiare.
Pietro apre gli occhi e vede una realtà sconosciuta: un collegio, un posto squadrato anche fisicamente, cinto da un muro oltre il quale s'intuisce l'acqua. Forse è un'isola. Ma lui non sa perché è lì. Nella sua mente ci sono sprazzi di Eden: c'è una ragazza che corre con lui, è Irina, la sua fata compagna di giochi. E da qualche parte, altrove, ci sono le immagini di un corpo femminile impossibilitato a muoversi, in un luogo misterioso. Tornato a casa, vedrà la madre, bellissima e terribile, intrattenersi con stranieri che lui solo non vuole riconoscere come nazisti e sulla lapide di Irina e fra le pagine del suo diario segreto apprenderà infinite cose sulle persone e sui tempi attorno a lui.
"Ho scoperto l'arte giapponese del kintsugi quando ho dovuto riparare una statuina di porcellana preziosa andata in frantumi. Ho pensato che sarebbe stato bello poter fare lo stesso con le persone e ho deciso di usare quell'arte antica per rimettere insieme anche i pezzi della mia vita, per guardarli uno a uno e incollarli amorevolmente. Avevo passato tanto tempo a far credere agli altri che tutto andasse sempre bene, nella speranza di non essere considerata diversa o guardata con compassione. A nascondere la mia storia raccontando altre storie. Qualcosa è successo, poi, che mi ha fatto accettare le difficoltà e mi ha portata a trarre un insegnamento anche dalle esperienze più dolorose. Cadi, ti rialzi. Non sempre ci sono riuscita ma ci ho sempre provato. Ho imparato a valorizzare le mie ferite, a mostrarle, perché sono proprio loro a rendermi una persona unica e preziosa. Come in un rituale antico, ho riempito con l'oro le cicatrici della mia vita e ho scritto sul mio corpo la mia storia." In questo piccolo libro sapienziale, Gioia Di Biagio, affetta da una sindrome rara che rende anche la sua pelle estremamente fragile, insegna come non arrendersi ai limiti del proprio corpo, trasformando la fragilità in bellezza e le cicatrici in rifiniture dorate, come nella tecnica del kintsugi. Il suo è un esempio di resilienza, un insegnamento per tutti: è davvero possibile abbracciare il proprio dolore e trasformarlo in una forma d'arte quotidiana. Perché nessuno sa essere forte come una persona fragile.
Al centro delle storie che Renga viene raccontando c'è un uomo che si aggira raccogliendo oggetti, oggetti raccolti apparentemente senza motivo. Un mazzo di chiavi trovato in strada. Un aquilone. Una vecchia sveglia. L'uomo raccoglie quello che trova in una stanza illuminata dai raggi del sole che passano tra le assi malferme del tetto. Sono piccoli oggetti che assumono via via la forma di ali, ali che sono scampoli di vita delle persone che li hanno posseduti, usati, persi. Finestre aperte su altre esistenze. E finestre su altre esistenze o su segmenti diversi della vita dell'io narrante sono le storie che fanno corona a questo episodio. L'infanzia dolceamara della campagna, l'adolescenza che morde il freno, la vita adulta avvitata dolorosamente intorno alle fatiche della vita coniugale. Attraverso continui flashback, i singoli episodi vengono stabilendo la distanza fra il superstite che ora si guarda esistere e la forza del suo passato, fra la sua inadeguatezza e l'ansia di volare via.
"Hanno ucciso papà. Ma queste cose succedono nei film, non può essere vero. I compagni dell'asilo non mi credono. Allora insisto: 'Hanno ammazzato papà, gli hanno sparato, bum! bum! bum! con la pistola' e mimo con le dita la forma dell'arma. Una P38". Walter Tobagi è morto a Milano il 28 maggio 1980, assassinato sotto casa da una semisconosciuta formazione terroristica. Era una delle firme piú prestigiose del "Corriere della Sera". Aveva trentatre anni. La figlia Benedetta aveva tre anni. Era lí. Oggi Benedetta vuole capire. Con forza, con delicatezza, ricostruisce la figura pubblica e privata del padre in un racconto che intreccia spietate vibrazioni intime ad analisi storiche lucide e rigorose. Cercando di comprendere cos'erano gli anni Settanta. Un libro tenero e terribile in cui batte il cuore di un padre ritrovato.
Molto è già stato detto su Antonia Pozzi, ragazza "imperdonabile" che, nonostante la sua breve vita, ha lasciato più di trecento poesie, numerose lettere, pagine di diari e circa tremila fotografie, e la cui figura è oggetto di una straordinaria riscoperta di pubblico e di critica. Eppure c'e sempre, quando si parla di lei, l'impressione di qualcosa di incompiuto. Come se la "troppa vita" che le scorreva nel sangue non si sia mai voluta lasciare decifrare fino in fondo. Come se ci fosse sempre troppo da dire e nello stesso tempo un'urgenza di silenzio avesse costantemente percorso lei e le persone che le stavano accanto. Per raccontare questo personaggio complesso, profondo e a tratti enigmatico, che ha attraversato gli anni Trenta con intelligenza e passione, sofferenza e determinazione, Gaia De Pascale ha scelto la via del romanzo. Il libro dà la parola alla stessa Antonia, scavando nell'animo della protagonista e restituendo le persone, i luoghi e le atmosfere di un tempo cruciale sotto ogni punto di vista per la storia del nostro Paese. In bilico tra realtà e finzione, "Come le vene vivono del sangue" usa il verosimile come unico mezzo possibile per accedere al fondo segreto dell'esistenza di Antonia Pozzi, e rende omaggio a una figura femminile che ha saputo attraversare con la stessa profondità tanto la vita quanto la morte.

